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  • Martedì 31 marzo 2020

La seconda quarantena di Hong Kong e quello che rischiamo

Quando sono tornati a riempirsi uffici e ristoranti i contagi sono tornati a crescere e sono state imposte nuove chiusure: tanti esperti dicono che succederà anche qui

Un ristorante di Hong Kong il 29 marzo. (Anthony Kwan/Getty Images)
Un ristorante di Hong Kong il 29 marzo. (Anthony Kwan/Getty Images)

Tra gennaio e febbraio, mentre la Cina era impegnata a fronteggiare l’epidemia di coronavirus, la situazione a Hong Kong era stata piuttosto sorprendente: per come era stata gestita l’emergenza dalle autorità pubbliche, e per come erano state applicate le misure di contenimento dalla popolazione, la regione autonoma cinese era uscita quasi indenne dall’epidemia. Il numero di contagi ufficialmente registrati era di poche centinaia, con soltanto 4 morti, nonostante la vicinanza geografica, economica e culturale con la Cina.

A partire da inizio marzo, quindi, gli impiegati degli uffici pubblici di Hong Kong, che erano rimasti a casa da fine gennaio, hanno ricominciato a tornare al lavoro. Molte persone, che per settimane avevano lavorato da casa, sono tornate negli uffici: i mezzi pubblici sono tornati a riempirsi, così come i bar, ristoranti e negozi. Lentamente la metropoli sembrava sulla strada per tornare alla normalità, dopo aver scampato il peggio dell’epidemia. Ma nell’ultima settimana a Hong Kong è successo quello che molti scienziati ritengono sia lo scenario più probabile per i prossimi mesi anche in Europa e in America. Sono stati registrati nuovi contagi, cresciute di diverse decine al giorno nell’ultima settimana: raggiungendo così un livello tale da richiedere nuove misure restrittive.

Dallo scorso weekend molti lavoratori hanno ricominciato a rimanere a casa, i parchi sono stati chiusi, gli assembramenti di più di quattro persone in pubblico sono stati vietati, i cinema hanno chiuso, i bar e ristoranti hanno cominciato a contingentare gli ingressi alla metà dei coperti, con un massimo di quattro persone per tavolo e con i tavoli distanziati. Visto che almeno in parte i nuovi casi di contagio sembrano essere arrivati dall’estero, l’aeroporto è stato chiuso agli stranieri, anche solo a quelli in transito, e i residenti di rientro sono messi in quarantena per 14 giorni. A Shanghai c’è una situazione simile: i cinema, che avevano recentemente riaperto, sono di nuovo chiusi.

Un tram a Hong Kong il 26 marzo. (Billy H.C. Kwok/Getty Images)

Come ha spiegato l’Atlantic, quello che sta succedendo a Hong Kong è una specie di anticipazione su quello che le previsioni di molti scienziati ed epidemiologi considerano l’esito più probabile della pandemia di COVID-19: questo periodo di quarantena non sarà l’ultimo nemmeno per noi.

Una volta che la diffusione dei contagi sarà riportata sotto controllo con le misure restrittive, le limitazioni agli spostamenti e le chiusure, e una volta che i sistemi sanitari nazionali torneranno in grado di poter curare gli ammalati senza collassare, in Italia, in Spagna, in Europa e negli Stati Uniti, i governi nazionali allenteranno gradualmente le misure di contenimento, come successo a Hong Kong, dove pure erano state molte più lievi di quelle adottate in Cina o in Europa. Ma il coronavirus rimarrà in circolazione, seppur molto più limitatamente: ed è più che plausibile immaginare che torni a diffondersi tra la popolazione, con la conseguente necessità di reintrodurre le misure restrittive attualmente in vigore.

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Gabriel Leung, rettore dell’Università di Medicina di Hong Kong esperto di epidemie, ha spiegato all’Atlantic che «la strategia dei periodici allentamenti e reintroduzioni delle misure restrittive è la più discussa tra gli esperti e i governi mondiali. C’è bisogno di queste misure a vari gradi di intensità finché si verifica una di due cose: l’immunità di gregge o una disponibilità sufficientemente estesa di un vaccino somministrato almeno a metà della popolazione, per raggiungere lo stesso risultato. Sono gli unici due esiti possibili». Secondo Leung attraverseremo «diversi cicli» di misure contenitive prima di uscirne.

Un matrimonio a Hong Kong il 29 marzo. (Anthony Kwan/Getty Images)

È la stessa conclusione a cui è giunto uno studio dell’Imperial College di Londra, secondo cui si può arrivare a momenti di contenimento dell’epidemia, ma le misure restrittive dovranno essere reintrodotte quando i casi di contagio torneranno a salire. La simulazione dello studio prevede che questa strategia debba essere mantenuta, almeno per quanto riguarda il distanziamento sociale e le periodiche chiusure delle scuole, per i prossimi due anni. Non si possono portare a zero i contagi, dice Leung: le quarantene imposte dai governi mondiali servono “solo” a proteggere le persone più a rischio e a permettere ai sistemi sanitari di reggere. La vera questione, secondo Leung, sarà capire come conciliare queste restrizioni con il funzionamento dell’economia.

La situazione di Hong Kong non è molto diversa da quella della Cina, un paese investito molto più duramente dall’epidemia, ma che è riuscito a tenerla sotto controllo con un’applicazione rigorosa e metodica delle misure contenitive, per ora ineguagliata dalle democrazie occidentali. Ben Cowling, epidemiologo dell’Università di Hong Kong, ha detto a Nature che la possibile seconda ondata di contagi in Cina potrebbe arrivare a fine aprile, circa un mese e mezzo dopo l’allentamento delle misure restrittive arrivato nelle scorse settimane.

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Osservare quello che succederà in Cina e in particolare nella provincia dello Hubei sarà istruttivo per l’Occidente. Tenendo conto, però, che in Cina sono state applicate strategie che per ora non si sono viste in Europa e negli Stati Uniti, a partire dai test effettuati a tappeto e dal contact tracing, la pratica di ricostruire i contatti e gli spostamenti dei casi confermati o sospetti attraverso le reti cellulari, i sistemi GPS, le transazioni effettuate con carta di credito e le telecamere di videosorveglianza. La Cina ha anche sospeso gli ingressi dall’estero, imponendo un periodo di quarantena per i residenti che rientravano da paesi stranieri.

Un parco giochi di Hong Kong chiuso, il 29 marzo. (Billy H.C. Kwok/Getty Images)

Nonostante tutte queste misure, nello Hubei la vita non è tornata normale, nonostante l’epidemia sia cominciata con diverse settimane di anticipo rispetto, per esempio, all’Italia. Le università e le scuole sono ancora chiuse, gli spostamenti per e da Wuhan sono sospesi almeno fino all’8 aprile, nonostante nelle ultime due settimane sia stato registrato soltanto un caso di contagio in città.

Il percorso per raggiungere una sorta di immunità di gregge, e la sua stessa possibilità, sono questioni ampiamente discusse dalla comunità scientifica: ma in ogni caso non è pensabile senza che venga contagiato tra il 50 e il 70 per cento della popolazione, secondo Leung. Ma perfino a Wuhan, la quota di popolazione ufficialmente contagiata è soltanto del 10 per cento, molto al di sotto. Per quanto riguarda il vaccino, non ci si aspetta che arrivi tra meno di un anno, e ci sarà poi da capire come produrlo e distribuirlo a centinaia di milioni di persone nel mondo.

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Fare previsioni esatte è naturalmente difficile, e lo ha dimostrato la rapidità con cui abbiamo rimesso in discussione le nostre convinzioni e previsioni nell’ultimo mese. Ci sono tante cose che ancora non sappiamo, per esempio quale sarà l’effetto del caldo estivo sul virus, che potrebbe attenuare la diffusione del coronavirus come no. L’assimilazione da parte della popolazione delle precauzioni igieniche che rallentano il contagio, come lavarsi di frequente le mani e mantenere il più possibile le distanze dalle altre persone, potrebbero aiutare a contenere l’epidemia facendo sì che le prossime volte le misure restrittive siano più lievi. Lo stesso vale per l’eventuale successo di alcune delle terapie sperimentate fin qui negli ospedali sui pazienti affetti da COVID-19.

A cambiare in meglio le prospettive per i prossimi mesi, poi, potrebbero essere una maggiore estensione dei test per rilevare i contagi, abbinata a una maggiore tempestività negli interventi per isolare i malati dai sani: strategie che forse permetterebbero misure restrittive più rilassate e facili da sopportare.

Ci sono insomma diversi scenari possibili: se immaginarsi grandi raduni, eventi sportivi col pubblico e concerti nei prossimi mesi e forse per il prossimo anno sembra irrealistico, ci sono attività all’aria aperta e tra un ridotto numero di persone che potrebbero tornare a essere concesse e relativamente sicure nel medio periodo, così come potrebbero riaprire bar e ristoranti applicando alcune precauzioni. Lo ha ipotizzato per esempio un lungo articolo dell’Atlantic sugli esiti possibili della pandemia.

L’ipotesi di un susseguirsi di periodi di maggiore diffusione della COVID-19, e quindi di misure dure per contenere l’epidemia, ad altri di maggiore rilassamento delle restrizioni non è una certezza assoluta, vista la difficoltà di fare previsioni su un tema in continuo sviluppo. Ma è sempre più indicata in giro come una delle più probabili.