In Canada l’economia cresce grazie all’immigrazione

In controtendenza rispetto a quasi tutti i principali paesi sviluppati, ma ci sono alcuni "ma"

(Joe Raedle/Getty Images)
(Joe Raedle/Getty Images)

Nel 2019 l’economia del Canada è cresciuta dell’1,7 per cento circa: un risultato rispettabile, considerato il generale rallentamento che ha colpito quasi tutti i principali paesi sviluppati, oltre a Cina ed India. Francia e Germania, per esempio, sono cresciute di circa lo 0,8 e lo 0,4 per cento, l’Italia soltanto dello 0,3. Ma è ancora più insolita la fonte di gran parte di questa crescita: fatti tutti i conti, infatti, gli economisti hanno scoperto che l’economia canadese è cresciuta nel 2019 soprattutto grazie all’immigrazione.

– Leggi anche: Il Canada ha trovato la soluzione all’immigrazione?

Per far crescere il PIL – una misura approssimativa di tutti i beni e i servizi che si producono in un paese nel corso di un anno – ci sono essenzialmente due modi.

Il primo è aumentare i macchinari con cui si produce e introdurre nuovi processi produttivi: si può in altre parole “fare meglio” di come si faceva prima, introducendo nel sistema innovazioni materiali o immateriali. Quest’ultimo è un aumento “qualitativo”, ma un’economia può crescere anche per ragioni “quantitative”: per esempio perché nuove terre vengono messe a coltura, o perché iniziano a lavorare sempre più persone. Più gente che produce, infatti, equivale in genere a più cose prodotte e quindi a un’economia che cresce. Più persone al lavoro ci sono in un paese più ci sono persone in grado di comprare case, automobili, cene al ristorante, passeggini per bambini e scarpe da corsa.

Quello che è accaduto in Canada nel 2019, e che accade nel paese da diversi anni, è che l’economia cresce soprattutto grazie al secondo fattore: l’aumento della popolazione.

La forza lavoro, cioè la quantità di canadesi in età lavorativa, è cresciuta nel 2019 del 2 per cento, ha raccontato il Wall Street Journal. Quest’aumento è dovuto in gran parte alla crescita della popolazione canadese, che a sua volta è per l’80 per cento frutto dell’immigrazione.

Il Canada è da tempo considerato uno dei paesi più aperti all’immigrazione e il suo sistema di integrazione è tra i più efficienti e dotati di risorse al mondo, mentre il multiculturalismo è inserito come valore fondamentale per la nazione nella sezione 27 della sua Costituzione. Il risultato è un costante afflusso di nuovi immigrati, un fenomeno che ha invertito il declino demografico e l’invecchiamento della popolazione che affligge gran parte dei paesi più sviluppati.

A partire dagli anni Duemila, per esempio, la popolazione canadese è tornata a crescere dell’1 per cento annuo e negli ultimi tempi questa crescita ha accelerato. Nel 2016 il governo liberale guidato da Justin Trudeau ha abbassato i limiti all’immigrazione e la crescita della popolazione è salita a 1,4 per cento nel 2018, il livello più alto tra tutti i paesi del G7. Non ci sono ancora dati per il 2019, ma secondo il Wall Street Journal l’aumento dovrebbe essere stato ancora più consistente.

Il Canada ha una popolazione di 38 milioni di persone e nel 2019 ha accolto 340 mila nuovi residenti, un numero in crescita rispetto ai 270 mila del 2015. Ha inoltre concesso 810 permessi per studenti internazionali e lavoratori temporanei, rispetto ai 470 concessi nel 2015. Secondo David Rosenberg, economista di un centro di ricerca di Toronto intervistato dal Wall Street Journal, «senza il boom dell’immigrazione, l’economia canadese sarebbe persa in questo momento».

La crescita economica canadese dovuta all’immigrazione ha comunque alcuni limiti evidenti.

Il primo è che è una crescita “estensiva”, una crescita che cioè deriva soprattutto dall’aumento dei fattori di produzione, in questo caso il numero dei lavoratori, e solo secondariamente da innovazioni tecnologiche o dall’investimento di nuovi capitali. Questo significa che, potenzialmente, l’economia potrebbe crescere ma senza produrre grandi miglioramenti di vita per i canadesi. Se infatti la popolazione aumentasse del 2 per cento, e il PIL crescesse della stessa cifra, il risultato sarebbe una torta più grande ma divisa per un numero maggiore di persone, con poco beneficio per ciascuno.

Il Canada comunque non sembra arrivato a questo punto. L’economia cresce leggermente più in fretta della popolazione, mentre gli indicatori di benessere, come gli stipendi medi e il tasso di povertà, continuano a mostrare miglioramenti dopo che, tra gli anni Settanta e i primi anni Duemila, erano sensibilmente peggiorati.

L’altro limite di questa crescita è la sua replicabilità. Il Canada infatti è un paese unico per moltissimi motivi: è enorme e molto poco popolato (ha una densità di appena 3,9 abitanti per chilometro quadrato contro i duecento del nostro paese), e questo significa che i nuovi arrivati hanno un ampio territorio che possono sfruttare. È inoltre ricco di materie prime, soprattutto gas e petrolio, e una parte cospicua della sua economia (anche di quella alimentata da nuovi migranti) si regge sulla costruzione di oleodotti e sul mantenimento di grandi raffinerie, che a sua volta causano molti conflitti con la parte di popolazione più sensibile alle questioni ambientali.

Anche l’isolamento del Canada, che confina soltanto con gli Stati Uniti e con l’oceano, è altrettanto importante.

Il Canada può permettersi di selezionare gran parte degli immigrati sulla base degli interessi economici delle sue imprese e non ha mai dovuto affrontare improvvise crisi migratorie come si sono viste per esempio in Europa, quando centinaia di migliaia di persone, spesso in fuga dalla guerra, arrivano di colpo alle frontiere.

Tutti questi fattori peculiari hanno contribuito a tenere lontana l’immigrazione dal centro del dibattito politico.

Fino a oggi l’accoglienza non è mai divenuta un tema di scontro come è stato in Italia o nei vicini Stati Uniti. In Canada non esistono partiti populisti o di destra radicale che utilizzano l’immigrazione come argomento per attaccare i governi in carica, i quali non hanno mai avuto la necessità di limitare gli accessi al paese per evitare di perdere consenso. È questa possibilità “politica” che fino a oggi ha permesso di tenere “aperte” le porte del paese e, di conseguenza, continuare a far crescere l’economia locale.