Le banche centrali contro il coronavirus

Dagli Stati Uniti al Giappone hanno annunciato misure straordinarie per combattere gli effetti dell'epidemia, mentre in Europa siamo divisi e in ritardo

(Joe Raedle/Getty Images)
(Joe Raedle/Getty Images)

Martedì il presidente della banca centrale americana (la Federal Reserve) Jerome H. Powell ha annunciato il più grande taglio del tasso di interessi dall’inizio della crisi nel 2008: mezzo punto percentuale. Il tasso di interesse di riferimento della Federal Reserve, quello che la banca centrale usa per prestare soldi alle altre banche, è sceso dall’1,75 per cento all’1,25 per cento. Con questa mossa la Federal Reserve ha reso più economico prendere a prestito denaro, nella speranza che questo serva a sostenere l’economia nonostante i potenziali effetti negativi dell’epidemia di coronavirus. «Abbiamo visto un rischio per l’economia e abbiamo deciso di agire», ha detto Powell.

È oramai chiaro che l’epidemia avrà pesanti ripercussioni negative sull’economia mondiale, che già alla fine dell’anno scorso si era avviata a una fase di rallentamento e recessione, soprattutto a causa dei timori di una guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. In risposta, tutte le principali banche centrali del mondo hanno fatto sapere che utilizzeranno gli strumenti a loro disposizione per cercare di contrastare il rallentamento. La Federal Reserve è stata la prima ad agire, mentre la Banca d’Inghilterra ha fatto sapere di essere pronta a fare altrettanto e la Banca del Giappone ha detto che inizierà a iniettare nuova liquidità nell’economia molto presto.

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Tra le poche banche centrali che per il momento sembrano restie ad agire c’è la BCE, la Banca Centrale Europea, che questa settimana si è limitata ad annunciare di essere pronta ad adottare «azioni appropriate» per contrastare l’attuale situazione, ma non ha ancora intrapreso alcuna azione concreta. La banca e la sua nuova presidente, la francese Christine Lagarde nominata lo scorso ottobre, si trovano infatti in una situazione difficile: «tra l’incudine e il martello», come ha scritto il Financial Times.

Da un lato infatti, la zona euro è una delle regioni nel mondo sviluppato che avrebbero più bisogno di sostegno. Qui il rallentamento economico alla fine del 2019 è stato particolarmente forte e paesi come l’Italia e persino la Germania hanno un alto rischio di trovarsi in recessione. Inoltre, numerosi paesi dell’area sono fortemente indebitati e quindi più a rischio in caso di forte rallentamento.

Dall’altro lato, però, la BCE sta già facendo moltissimo per rivitalizzare l’economia europea. Il suo tasso di interesse di riferimento è a -0,5 per cento, significa che la BCE oggi paga un interesse affinché le banche per prendere a prestito il suo denaro. E inoltre è in corso un programma di QE, cioè l’acquisto diretto di titoli da parte della banca centrale. Il fatto che la banca centrale sia già così attiva significa che è sempre più complicato, e potenzialmente rischioso, fare ancora di più. Tassi di interessi negativi, prestiti alle banche e QE sono tutte misure che immettono denaro nel sistema, e che quindi possono ad esempio contribuire ad alimentare bolle speculative.

Questi interventi, soprattutto in Europa, hanno poi un forte costo “politico”. I paesi europei più ricchi, in particolare la Germania, sono ostili a queste misure che, abbassando i tassi di interesse e quindi il costo del denaro in generale, riducono il ritorno gli investimenti della classe media (per esempio i fondi pensione privati). Questa ostilità si ritrova anche nel consiglio di governo della BCE che l’anno scorso, quando il presidente uscente Mario Draghi ha imposto la riapertura del QE, si è diviso come mai in precedenza sulle misure di stimolo economico.

Ma anche l’inattività ha un suo costo. Di fronte all’azione delle altre banche centrali e al panico crescente per gli effetti dell’epidemia, la BCE rischia molto se dà l’impressione di essere in ritardo sugli eventi. Era già accaduto nel 2011, quando la crisi dei debiti sovrani stava rischiando di mandare in bancarotta paesi come Spagna e Italia, ma la BCE decise comunque di alzare – invece che abbassare – i suoi tassi di interesse.

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La ripetizione di quello che accadde nel 2011 sembra oggi praticamente impossibile e, secondo gli analisti, nelle prossime settimane la BCE taglierà ulteriormente il suo tasso di interesse, dal -0,5 al -0,6 per cento. La domanda è se questo taglio sarà sufficiente a limitare i danni economici e a contenere i danni dell’epidemia. La maggior parte degli osservatori sembra scettica e per ora si interroga su cosa farà la BCE se e quando le sue azioni si riveleranno insufficienti a proteggere l’economia europea.