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  • Martedì 25 febbraio 2020

Non è chiaro cosa stia accadendo in Iran col coronavirus

C'è il sospetto che i numeri ufficiali non siano reali e che le rotte dei pellegrinaggi siano una delle principali vie di diffusione del virus

Un uomo mentre disinfetta un autobus pubblico, Ahvaz, Iran, 25 febbraio 2020 (Alireza Mohammadi/ISNA via AP)
Un uomo mentre disinfetta un autobus pubblico, Ahvaz, Iran, 25 febbraio 2020 (Alireza Mohammadi/ISNA via AP)

In Iran la situazione sui contagi del coronavirus (SARS-CoV-2) non è molto chiara: ci sono diverse preoccupazioni che l’infezione possa essersi diffusa attraverso una delle principali rotte di pellegrinaggio del paese, che il regime stia mentendo sui numeri e che le conseguenze sui rifugiati e gli sfollati dei paesi vicini possano essere devastanti.

Qualche giorno fa Ahmad Amiriabadi Farahani, un deputato di Qom, città che è un’importante meta di pellegrinaggio sciita, ha detto in Parlamento che solamente nella sua città il numero dei morti per coronavirus era circa quattro volte superiore al numero ufficiale diffuso dal governo per l’intero paese. Ahmad Amiriabadi Farahani ha detto che i morti erano 50 e che 250 persone erano state messe in quarantena, compreso il direttore dell’ospedale universitario. Il vice ministro della Sanità Iraj Harirchi aveva immediatamente risposto sostenendo che gli unici dati da tenere in considerazione fossero quelli comunicati dal governo: «Nessuno ha titolo per discutere questo tipo di informazioni», aveva detto Haririchi. «Quel numero (50 morti, ndr) è falso. Questo non è il momento per degli scontri politici».

Nelle ultime ore il dato sui decessi e le persone contagiate in Iran è stato aggiornato. Martedì 25 febbraio un funzionario del ministero della Sanità ha detto che i morti finora sono 16, e che i casi confermati sono 95. Lunedì il ministero aveva poi fatto sapere che i casi sospetti e in corso di verifica erano 900, ma non è chiaro quante persone siano attualmente in quarantena. L’agenzia di stampa semi-ufficiale Mehr, citata da Reuters, parla di 320 persone. E da oggi è noto anche che il vice ministro della Sanità ha a sua volta contratto il coronavirus.

Tenendo conto dei dati ufficiali, il numero di morti in Iran è comunque superiore a quello di molti altri paesi esclusa la Cina. L’Iran ha anche la più alta incidenza di decessi in relazione agli infetti, pari a circa al 17 per cento; il tasso di mortalità mondiale dovuto al virus è di circa il 2 per cento.

Molti dei contagi e alcuni decessi in Iran si sono verificati effettivamente a Qom, che geograficamente si trova all’incrocio di 17 province e che è uno dei più importanti centri di pellegrinaggio del paese. Qualche giorno fa il direttore dell’ospedale universitario di Qom, Mohammad Reza Ghadir, attualmente in quarantena, aveva detto che la situazione in città non era buona, in termini di gestione dell’epidemia. Il deputato Amirabadi Farahani ha poi denunciato che agli infermieri e agli altri operatori sanitari mancavano gli strumenti di protezione necessari per curare i pazienti infetti.

Il sospetto è che Qom sia il luogo da cui il coronavirus si è diffuso altrove nel paese e anche negli stati vicini. Si pensa cioè che i pellegrini musulmani sciiti che hanno visitato Qom costituiscano la maggior parte del numero di persone infette in Kuwait, Bahrein, Iraq e Libano. Risulta che sei paesi arabi abbiano casi di coronavirus e che i pazienti contagiati abbiano tutti legami con l’Iran, scrive Reuters, e il Kuwait proprio oggi ha sospeso tutti i voli dall’Iran. A conferma dei timori che le rotte di pellegrinaggio potrebbero essere coinvolte nella diffusione del coronavirus c’è il fatto che lunedì è risultato positivo ai test un pellegrino di Najaf, in Iraq, altra città santa sciita. I funzionari sanitari locali hanno chiuso e disinfettato la moschea e gli esperti di sanità pubblica hanno avvertito dell’elevato rischio di diffusione, in mancanza di un rapido contenimento.

Adam Coutts, specialista in sanità pubblica in Medio Oriente all’Università di Cambridge, ha spiegato al Guardian che «In Iraq il coronavirus rappresenta una grave minaccia per la salute pubblica perché il sistema sanitario è molto debole». Se inoltre la malattia colpisse i rifugiati o gli sfollati non ci sarebbe modo di contenerlo, data la loro mobilità, le condizioni in cui vivono, il sovraffollato senza servizi igienico-sanitari dei centri, la mancanza di accesso alle cure e i sistemi immunitari già compromessi.

Nel frattempo Iraq, Turchia e Afghanistan hanno chiuso i loro confini con l’Iran, che ha comunque adottato delle misure restrittive: scuole e università sono state chiuse in diverse province, alcuni spettacoli teatrali sono stati cancellati ed è stato deciso che le partite di calcio saranno giocate a porte chiuse. L’epidemia minaccia comunque di isolare ulteriormente l’Iran, già colpito dalle sanzioni internazionali. Molti paesi hanno sospeso i voli provenienti dal paese, e il porto di Khasab in Oman ha deciso da domani di bloccare l’importazione e l’esportazione di merci da e verso l’Iran.