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  • Martedì 25 febbraio 2020

Macron ha un piano per l’Islam in Francia

È diverso da quelli adottati dai governi precedenti, più pragmatico e meno ideologico, e per questo è piaciuto anche a sinistra

Un poliziotto e una donna fuori dalla Grande Moschea di Parigi, 20 novembre 2015 (Thierry Chesnot/Getty Images)
Un poliziotto e una donna fuori dalla Grande Moschea di Parigi, 20 novembre 2015 (Thierry Chesnot/Getty Images)

Martedì 18 febbraio a Mulhouse, città nell’est della Francia vicino al confine con la Svizzera, il presidente francese Emmanuel Macron ha affrontato una questione molto sentita e delicata: la riorganizzazione delle istituzioni dell’Islam in Francia, per modificarne le strutture in modo da contrastare la diffusione delle sue versioni più radicali e violente e soprattutto combatterne il separatismo, cioè la tendenza a creare comunità indipendenti dall’entità statale alla quale appartengono.

Nel suo discorso ci sono stati diversi elementi di novità, apprezzati anche nella sinistra che aveva molto criticato in passato come la Francia aveva gestito la questione. Il fatto che esista un problema è ampiamente riconosciuto in Francia, come ha riassunto in un editoriale Libération:

«È un dato di fatto che alcune correnti dell’Islam politico, i Fratelli musulmani o i salafiti, predicano valori contrari allo spirito repubblicano, che alcuni propagandisti cercano di mettere i loro principi arcaici al di sopra delle leggi della Repubblica, di far prevalere la loro visione distorta della storia o della scienza sull’educazione comune delle scuole di tutto il paese. La cosa è stata descritta in molte inchieste, documentata in monografie accademiche, analizzata in opere ben poco discutibili»

Ma Macron, secondo Libération, ha saputo mantenere un buon equilibrio, tenendosi lontano dall’ideologia e attirando complimenti fin dalle scelte linguistiche che ha fatto. Principalmente, però, è piaciuto il metodo non ideologico ma pragmatico che ha annunciato di voler adottare, che non si propone di rivoluzionare dall’alto le strutture della comunità islamica francese. Il senso del suo discorso è stato riassunto dai giornali francesi con una delle frasi che ha usato: «Lottare contro il “separatismo islamico”, senza costruire un piano contro l’islam».

Che cosa ha detto Macron
A Mulhouse, scelta perché ospiterà una delle più grandi moschee del paese in parte finanziata dal Qatar, attualmente in costruzione, Macron ha prima difeso la laicità dello Stato, per poi spiegare che «il separatismo è alimentato dall’assenza, in alcuni territori, di un’offerta alternativa». E ha fatto tre proposte, orientate a interrompere le influenze straniere sull’Islam in Francia.

Per evitare predicazioni non conformi alle leggi della repubblica, ha detto, la Francia smetterà di accogliere gli imam inviati da paesi come Turchia e Algeria, e aumenterà il numero di imam che si sono formati in Francia. Interromperà anche l’accoglienza dei circa trecento religiosi (i “salmodianti”) che arrivano ogni anno in occasione del Ramadan. Ha poi annunciato un rafforzamento del controllo sui finanziamenti esteri ai luoghi di culto: «Dobbiamo sapere da dove provengono i soldi, chi li ottiene e a cosa servono».

Macron ha parlato poi della fine, a partire dal prossimo anno scolastico, del sistema dei corsi opzionali in lingua straniera tenuti da insegnanti nominati da governi di altri paesi. Il sistema era stato istituito solo qualche anno fa, si chiama Elco ed era stato avviato attraverso l’accordo con nove stati tra cui Algeria, Marocco, Tunisia e Turchia. Coinvolge 80 mila studenti all’anno e permette a docenti stranieri di insegnare in Francia a studenti immigrati. «Non mi sento a mio agio con l’idea di avere donne e uomini nella scuola della Repubblica che possano insegnare senza che il sistema educativo nazionale possa esercitare il ​​minimo controllo. Non si possono insegnare cose che chiaramente non sono compatibili né con le leggi della Repubblica né con la storia per come noi la vediamo», ha detto Macron.

Perché le proposte sono piaciute
Fin dagli anni Sessanta, quando in Francia si stabilì una comunità musulmana che nel frattempo è più che quintuplicata (ora ci sono circa 6 milioni di persone tra praticanti e non praticanti), tutti i governi di destra e di sinistra hanno cercato di risolvere la questione dall’alto, «in modo napoleonico» come ha spiegato su Slate un giornalista esperto di questioni religiose. Volendo, in pratica, far emergere una rappresentazione unica e strutturata dell’Islam: una sorta di Chiesa musulmana francese. L’opinione è che gli sforzi di tutti i governi, fin qui, abbiano fallito.

La gestione securitaria, che anche prima degli attentati del 2015 puntava a isolare e ad arrestare reti di estremisti, a rintracciare e a espellere imam politicizzati, e a bloccare fonti sospette di finanziamento, non ha frenato la diffusione della radicalizzazione. Soprattutto la destra ha provato poi la cosiddetta “gestione consolare”, scegliendo un interlocutore privilegiato – la moschea di Parigi – per cercare di influenzare tutti gli altri. Ma nemmeno questo approccio ha avuto successo: la moschea è troppo dipendente, anche finanziariamente, dall’Algeria, e non è mai stata in grado di assicurare una leadership musulmana in Francia, essendo particolarmente scollegata dalla società civile.

Un terzo tentativo di intervento fu la gestione collegiale, preferita dalla sinistra. Ma anche questa proposta ha dato risultati poco convincenti. L’organo di rappresentanza con presidenza a rotazione (il CORIF, Consiglio per la riflessione sul futuro dell’Islam in Francia), istituito dal Partito Socialista nei primi anni Novanta, fallì a causa delle divisioni interne. Un decennio dopo ci riprovò Nicolas Sarkozy quando era ministro dell’Interno: riuscì a ottenere un accordo tra correnti rivali dell’Islam francese creando un organo centrale, il Consiglio francese per il culto musulmano (CFCM), con un chiaro mandato: organizzare l’Islam in Francia, diventarne il portavoce, gestire tutto ciò che aveva a che fare con il culto e le controversie interne. Per quasi vent’anni, in un contesto di rivalità tra musulmani di origine algerina, marocchina o turca, il CFCM si è dimostrato però incapace di lavorare in modo collegiale e ha finito col diventare praticamente irrilevante.

Senza ignorare o respingere tutti questi tentativi passati, a Mulhouse Macron ha preferito tener conto della situazione esistente nella comunità islamica, rinunciando al tentativo di creare un grande progetto unificante, un organo inserito nelle istituzioni del paese e capace di controllare da sé le derive più radicali dell’Islam. Ha proposto invece interventi più pragmatici e specifici, il primo dei quali è dissociare l’Islam dalle sue influenze straniere, come ha spiegato Henri Tincq su Slate:

«I suoi predecessori hanno a lungo chiuso gli occhi, in nome di una laicità non interventista, sui sussidi dei paesi arabi al culto musulmano in Francia. Fu l’Arabia Saudita a pagare per la costruzione della Grande Moschea di Lione negli anni Novanta e il Marocco a finanziare, in parte, quella di Evry. È l’Algeria che sovvenziona la grande moschea di Parigi, furono i paesi del Golfo a fare da donatori del primo istituto scolastico islamico, vicino ai Fratelli Musulmani di Nièvre. Sono l’Egitto, l’Algeria, la Turchia che ancora inviano i loro imam in Francia per predicare nelle moschee, ogni anno, durante il mese di Ramadan»

Per mettere fine a queste interferenze straniere che si concretizzano nell’invio di imam, nel costruire moschee e sale di preghiera, e nell’influenza sul sistema educativo, Macron avrà bisogno di interlocutori nella comunità musulmana per gestire il controllo delle moschee, la formazione degli imam, l’educazione nelle scuole. «Tutto questo», conclude Tincq, «avrà un costo che è senza dubbio difficile da conciliare con gli obblighi di una repubblica laica. Ma si possono trovare formule flessibili. Tutta la storia del secolarismo in Francia, per più di un secolo, ha infatti dimostrato che lo Stato e le religioni hanno sempre saputo trovare compromessi: tra il libero esercizio dei culti e l’impossibilità per lo Stato di sovvenzionarli».