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  • Domenica 16 febbraio 2020

L’Africa vuole iniziare a fare da sola sull’antiterrorismo

I paesi del Sahel vorrebbero creare una propria forza militare che non renda più necessaria la presenza di soldati stranieri, in particolare francesi

Soldati francesi nel nord del Mali, nel 2014 (AP Photo/Jerome Delay, File)
Soldati francesi nel nord del Mali, nel 2014 (AP Photo/Jerome Delay, File)

I paesi del Sahel, regione dell’Africa subsahariana che comprende tra gli altri Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, vorrebbero cominciare a fare da soli per quanto riguarda l’antiterrorismo. Il loro obiettivo, così come quello degli altri paesi africani che si sono incontrati domenica scorsa nella sede dell’Unione Africana ad Addis Abeba, in Etiopia, è di aumentare il coordinamento tra forze locali che si occupano di antiterrorismo, e limitare la presenza militare straniera, soprattutto francese, che negli ultimi anni si è rafforzata.

La gestione dell’antiterrorismo in questo pezzo di Africa non è un tema solo locale. Da diverso tempo il numero di attacchi terroristici compiuti nel Sahel da gruppi radicali jihadisti legati sia all’ISIS che ad al Qaida è aumentato, con conseguenze anche per i paesi vicini. La difficoltà di garantire sicurezza in paesi come Niger e Sudan ha per esempio facilitato lo spostamento di armi e miliziani da e verso la Libia, dove dal 2011 si combatte una guerra civile quasi senza interruzione e dove diversi paesi europei, tra cui l’Italia e la Francia, hanno importanti interessi.

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Uno dei dati più rilevanti della riunione di domenica ad Addis Abeba è la volontà dei paesi del Sahel di ridurre il numero dei soldati francesi nella regione (oggi circa 4.500), diversamente da quanto sembrava essere emerso dalla riunione tenuta tra i leader africani e il presidente francese Emmanuel Macron a Pau, in Francia, lo scorso gennaio.

Il presidente francese Emmanuel Macron accoglie i leader del G5 del Sahel a Pau, in Francia, il 13 gennaio 2020 (AP Photo/Alvaro Barrientos)

In realtà, ha scritto Politico, già allora era emerso qualche dubbio sulle reali intenzioni dei leader del cosiddetto “G5 del Sahel”, che include Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger: i presidenti dei cinque paesi avevano firmato una dichiarazione congiunta in cui ribadivano l’importanza di avere soldati francesi nel proprio territorio, ma alla fine della riunione solo il presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kaboré, aveva partecipato alla conferenza stampa, mentre gli altri «erano rimasti in un imbarazzante silenzio».

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Ci sono comunque diversi ostacoli alla creazione di una forza antiterrorismo solo africana, che escluda la presenza di truppe straniere.

Anzitutto per la natura degli eserciti dei paesi del Sahel, che a differenza di quello francese sono formati da soldati poco addestrati e molto poco motivati, sia per gli stipendi bassi che per l’alto numero di morti e feriti tra i loro membri a causa di aggressioni e attentati. Andrew Lebovich, esperto di Nord Africa e Sahel per il think tank European Council on Foreign Relations, ha detto a Politico che l’idea di mettere in piedi una forza antiterrorismo solo africana potrebbe incontrare diversi ostacoli logistici, per la mancanza di cooperazione tra gli eserciti dei vari paesi e la loro scarsa interoperabilità: «Queste sono cose che i soldi da soli non possono risolvere, perché è una questione di organizzazione e riforma del settore della sicurezza», ha detto Lebovich.

C’è poi da considerare il fatto che Macron, presidente che si è mostrato finora molto favorevole a intervenire militarmente in diversi paesi nel Nord Africa e nel Sahel, non sembra intenzionato a ritirare i propri soldati dalle aree dove i gruppi terroristici continuano a essere particolarmente attivi.

A inizio febbraio il governo francese ha annunciato l’invio di altri 600 soldati nel Sahel, principalmente nelle aree di confine tra Mali, Burkina Faso e Niger, con l’obiettivo di rinforzare le operazioni antiterrorismo. La decisione è stata presa dopo la morte di 13 soldati francesi in un incidente, lo scorso novembre, causato dalla collisione in volo di due elicotteri. L’incidente, il più grave per le forze francesi avvenuto in un singolo giorno negli ultimi tre decenni, aveva provocato l’inizio di un dibattito in Francia sull’opportunità per il paese di mantenere una presenza militare nel Sahel, che però non aveva fatto cambiare idea al governo francese e al presidente Macron.

La presenza militare francese nel Sahel potrebbe diventare ancora più complicata non solo per la volontà espressa dai leader della regione di mettere in piedi una forza di antiterrorismo locale, ma anche per l’intenzione del governo statunitense di ritirare i propri soldati impiegati nell’area.

A gennaio il ministero della Difesa statunitense aveva proposto di ridurre il numero di militari americani presenti oggi in Africa occidentale, quindi anche in un pezzo di Sahel. Gli Stati Uniti vorrebbero ricollocare quelle truppe in altre zone del mondo che ritengono più importanti da un punto di vista strategico, per esempio quelle che servono per contenere la Russia e la Cina. In generale da tempo l’amministrazione Trump sta chiedendo all’Europa di fare di più, sia in Medio Oriente che in Africa, investendo più risorse e più soldati soprattutto in operazioni antiterrorismo.

La prossima riunione dell’Unione Africana si terrà in Sudafrica a maggio e sarà dedicata a come mettere fine ai conflitti armati nel continente e a come combattere il terrorismo. In quella sede la creazione di una forza antiterrorismo nel Sahel sarà di nuovo un tema di discussione.