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  • Martedì 28 gennaio 2020

Il presidente dell’Iran minacciò di dimettersi se non fosse stata detta la verità sull’aereo abbattuto

Il New York Times ha ricostruito cosa successe dal tentativo di insabbiamento fino all'ammissione di responsabilità

Il presidente iraniano Hassan Rouhani
(AP Photo/Ebrahim Noroozi)
Il presidente iraniano Hassan Rouhani (AP Photo/Ebrahim Noroozi)

Il New York Times ha raccontato che il presidente dell’Iran Hassan Rouhani scoprì che l’aereo 752 dell’Ukraine International Airlines era stato abbattuto da due missili iraniani soltanto due giorni dopo l’accaduto: la verità gli era stata tenuta nascosta dai vertici militari iraniani e dalle Guardie rivoluzionarie, un corpo speciale e molto potente vicino all’ayatollah Ali Khamenei, la principale figura politica e religiosa dell’Iran. La situazione si sarebbe sbloccata solo quando Rouhani minacciò di dimettersi se la verità non fosse stata resa pubblica. La vicenda, scrive il New York Times, mostra in particolare la potenza delle Guardie rivoluzionarie, che «hanno aggirato il governo eletto in un momento di crisi nazionale, cosa che potrebbe rafforzare quello che molti iraniani già considerano come una crisi di legittimità».

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La storia fa parte di una ricostruzione molto dettagliata di cosa successe dall’abbattimento dell’aereo – avvenuto l’8 gennaio a pochi minuti dal decollo a Teheran, con la conseguente morte di tutte le 176 persone a bordo – all’ammissione fatta dall’Iran tre giorni dopo che l’aereo era stato colpito da un suo missile (poi rivelatisi due). Inizialmente, infatti, l’Iran aveva negato perentoriamente di aver abbattuto l’aereo, sostenendo che l’incidente fosse stato causato da un guasto. Il New York Times ha parlato con diplomatici iraniani, funzionari ed ex funzionari, membri delle Guardie rivoluzionarie (una delle istituzioni più potenti della Repubblica islamica iraniana) e persone vicine al circolo della Guida suprema Ali Khamenei, confrontandole anche con le dichiarazioni ufficiali e gli articoli usciti sulla stampa governativa in quei giorni.

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La notizia che l’aereo era stato abbattuto per un errore umano venne immediatamente comunicata da Amir Ali Hajizadeh, capo della forza aerospaziale delle Guardie, ai tre vertici delle forze armate iraniane, che lo comunicarono a loro volta a Khamenei. Un comitato investigativo segreto analizzò tutte le informazioni disponibili e concluse, nella notte di giovedì 8 gennaio, che l’aereo era stato abbattuto per un errore umano. Nonostante questo, il portavoce delle Forze armate disse alla stampa iraniana che le accuse fatte dal Canada e poi dagli Stati Uniti che l’aereo fosse stato abbattuto da un missile erano «un’assoluta menzogna». I militari iraniani ribadirono la versione per l’intera giornata di giovedì ma sempre più funzionari e politici iraniani iniziarono a sospettarne la fondatezza; Rouhani – hanno raccontato suoi funzionari – cercò di contattare più volte i comandanti militari, ma non venne mai richiamato.

Venerdì anche il governo sostenne la versione ufficiale, ma poche ore dopo i vertici militari organizzarono una riunione con Rouhani in cui gli raccontarono la verità. Rouhani «era livido di rabbia» – scrive il New York Times – e minacciò di dimettersi se non fosse stata raccontata pubblicamente la verità: sarebbe venuta fuori comunque, viste le prove in mano a Canada e Stati Uniti, e per l’Iran sarebbe stato ben più imbarazzante. L’incontro venne riportato a Khamenei, che a quel punto intervenne ordinando al governo di raccontare cosa fosse realmente accaduto. Il Consiglio di sicurezza nazionale preparò due dichiarazioni, la prima per le Forze armate e la seconda per Rouhani, che vennero lette la mattina dopo a 15 minuti di distanza. In quell’occasione Rouhani disse di aver scoperto la verità da poche ore, chiese una vasta indagine per chiarire l’accaduto e le falle nella catena di comando e ingiunse alle Guardie rivoluzionarie di ammettere le loro responsabilità, compresa la decisione di non averlo avvisato subito.