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(AP Photo/Bruna Prado)

Il giornalista statunitense Glenn Greenwald è stato incriminato in Brasile per reati informatici

Il giornalista statunitense Glenn Greenwald è stato incriminato in Brasile per reati informatici, dopo che nei mesi scorsi il sito The Intercept, da lui fondato, aveva pubblicato un’inchiesta in cui aveva rivelato una grande quantità di documenti riservati che mostravano come magistrati e giudici brasiliani si fossero messi d’accordo per escludere l’ex presidente Lula dalle elezioni poi vinte da Bolsonaro. Greenwald, che vive in Brasile dal 2005 e ha 52 anni, è molto noto nel giornalismo investigativo per aver vinto nel 2014 il premio Pulitzer per le inchieste basate sui documenti sottratti al governo statunitense da Edward Snowden.

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I magistrati brasiliani hanno accusato Greenwald di essere parte di un’organizzazione criminale che ha hackerato i telefoni cellulari di diversi magistrati e politici per poterne leggere le conversazioni private. Greenwald ha replicato alle accuse dicendo che si tratta di un palese attacco alla libertà di stampa, seguito alle rivelazioni dell’inchiesta pubblicata da The Intercept. Secondo i magistrati, Greenwald e The Intercept non avrebbero solamente ricevuto e pubblicato il contenuto dei messaggi privati, ma avrebbero avuto “un ruolo chiave” nel facilitare il lavoro degli hacker. Greenwald, sostengono i magistrati, avrebbe avuto contatti costanti con gli hacker e li avrebbe esortati a cancellare tutti i dati raccolti dopo averli trasmessi a The Intercept per evitare di lasciare tracce.

 

Dopo la pubblicazione dell’inchiesta Greenwald era stato attaccato molto duramente da diversi membri del partito di estrema destra del presidente Bolsonaro, che volevano conoscere l’identità della sua fonte. Greenwald, che è un cittadino statunitense sposato con un uomo brasiliano, era stato anche oggetto di insulti omofobici e xenofobi. Le accuse a Greenwald si sono basate per lo più sulla questione della provenienza del materiale ottenuto dal suo giornale. Greenwald ha sempre sostenuto di avere ricevuto le informazioni da una fonte anonima, di cui non conosceva l’identità, e di avere valutato insieme ai suoi colleghi – e ai colleghi di altri giornali – la rilevanza e l’autenticità delle informazioni.

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