Cosa mangeremo quest’anno

Secondo gli esperti di mode alimentari: carne impossibile, pancake soufflè, cibo blu e nippo-italiano

(Pascal Deloche / Godong/picture-alliance/dpa/AP Images)
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Secondo Kim Severson, la critica gastronomica del New York Times, in fatto di cibo il 2020 sarà un anno senza fronzoli, dominato da sobrietà e misura; si farà attenzione alla sostenibilità ambientale, si preferiranno ingredienti che fanno bene alla salute, si mangeranno meno carne e più prodotti a base vegetale. Queste grosse tendenze sono condivise dalla maggior parte degli esperti che hanno cercato di indovinare cosa mangeremo di più nel 2020 e come, mentre altre sono più confuse e contraddittorie: per qualcuno è arrivata la fine delle bacche di açai, del carbone vegetale, del seitan e dell’hummus, altri invece parlano del successo della cucina mediorientale e insistono sull’imporsi della kombucha, un tè fermentato proveniente dall’Oriente che, perlomeno in Europa, fatica ad attecchire.

Di tutte queste congetture – raccolte in un esaustivo elenco dal sito Eater – alcune non si avvereranno mai, altre saranno alimentate dai giornali e dai social network che convinceranno molte persone ad assaggiarle e rilanciarle online, altre saranno una moda estremamente passeggera, soprattutto con i cibi che vengono bene nelle foto su Instagram, com’è accaduto con il cibo colorato, il latte di unicorno (latte di cocco colorato di blu dall’alga spirulina) o con i disegnini sulla schiuma del cappuccino.

Annika Stensson, direttrice delle comunicazioni per la National Restaurant Association, ha spiegato al New York Times che «le vere tendenze nel mondo del cibo avvengono a un ritmo da glaciazione. Possono volerci dieci anni o anche più perché diventino popolari». In breve, non è facile indovinare quali mode spuntate nelle nicchie di appassionati diventeranno un fenomeno di massa, ma di seguito abbiamo raccolto quelle date più probabili da autorevoli siti ed esperti di gastronomia: anche quest’anno, sono previsioni ritagliate sugli Stati Uniti ma che in tempi più o meno rapidi potrebbero arrivare anche in Europa.

Il comfort food ai tempi della sobrietà
Secondo Kim Severson del New York Times la sobrietà di questi tempi incerti si rifletterà nei comfort food, i cibi rassicuranti e consolatori che un tempo erano le patatine fritte, il gelato, la torta della nonna. Quest’anno, dice, si faranno strada il jook – un porridge di riso cinese simile al nostro risotto «ma meno pretenzioso», che si mangia soprattutto a colazione dopo una cena abbondante (qui la ricetta) – e l’arroz caldo, la sua versione filippina importata dagli immigrati cinesi, spesso arricchita da pollo, zenzero, cipolle e salsa di pesce.

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Cibo dipinto di blu
Dopo il successo dei cibi Millennial pink (tra cui il cioccolato rosa) e rainbow, cioè con i colori dell’arcobaleno, quest’anno la sfumatura dominante sarà quella indicata anche da Pantone, che ha scelto come colore dell’anno il Classic Blue, elegante, rassicurante, che dà «solidità e fiducia». All’alga spirulina, considerata salutare da anni e usata come anche come colorante blu, si affiancherà la polvere di clitoria ternatea, una pianta i cui fiori in inglese sono chiamati butterfly pea flowers (fiori di pisello farfalla): Severson la definisce addirittura il nuovo matcha (la polvere di tè verde che ha spopolato negli ultimi anni soprattutto nelle grandi città). È usata da secoli in Asia per colorare il riso glutinoso o servita come tè insieme alla citronella; in Thailandia e in Vietnam si beve dopo cena con limone e miele, come facciamo in Italia con la camomilla.

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Anche la nuova radice del momento ha una tinta simile: l’ube è una pianta originaria dell’Asia tropicale da cui si ricavano tuberi violacei dal gusto simile a quello delle noci e delle patate americane, usata nella cucina filippina per preparare gelati, crostate, biscotti, torte e altri dolcetti. L’analisi sulle ricerche del 2019 e sulle tendenze del 2020 pubblicata da Uber Eats, la popolare app di food delivery, ha invece notato una crescita di cibi colorati con il nero di seppia: un po’ per il colore, un po’ per la nota sapida che conferirebbe, un po’ perché si crede – senza fondamento scientifico – che faccia bene alla pressione.

L’ortaggio del momento
L’anno scorso Severson aveva predetto un testa a testa tra i funghi e le alghe di mare, quest’anno indica l’atriplice rossa, un ortaggio a foglia molto diffuso in Europa prima che venisse rimpiazzato dal simile spinacio; si cucina più o meno nello stesso modo, viene chiamato anche bietolone rosso o spinacione (in inglese è orache o spinacio di montagna). Il rapporto già citato di Uber Eats segnala un aumento di richiesta di ortaggi come i cavolini di Bruxelles che «stanno attraversando un momento di rinascita», il kale (il cavolo riccio da anni di moda negli Stati Uniti), il cavolo cappuccio e altri cibi perfetti per Instagram, come la carambola, un frutto a forma di stella. Continua anche la moda, iniziata da qualche anno, del cavolfiore.

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– Leggi anche: Il cavolfiore va di moda

Il paese del momento
Qui le opinioni degli esperti si dividono. Severson è convinta che sarà il Giappone, in parte per le Olimpiadi che ospiterà quest’estate e in parte per l’aumento del turismo nel paese. Una crescita di interesse è dimostrata anche alla diffusione sui social dei tipici pancake soufflè giapponesi (molto più soffici perché cotti con il coperchio) e dei coni gelato taiyaki, dove il cono è a forma di pesce. Severson segnala anche un interesse per il cibo indiano, soprattutto per i piatti a base di riso e spezie dello stato del Kerala, e per quello proveniente da Vietnam, Laos e Africa Occidentale. Quest’ultima era già considerata una zona in ascesa nel 2019: le sue spezie, i suoi condimenti e alcuni ingredienti considerati salutari come il tamarindo finiranno, scrive Food & Wine, in nuovi succhi, condimenti e miscele di spezie.

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Secondo Food & Wine ci sarà una nuova ondata di cucina asiatica: gli udon (cioè gli spaghetti) giapponesi, il kimchi coreano (il piatto tipico a base di verdure fermentate) e piatti vietnamiti come il pho, una popolare zuppa a base di brodo, spaghetti di riso, coriandolo e diversi tipi di carne (solitamente manzo) o pesce, e i panini banh mi, delle baguette monoporzione retaggio della colonizzazione che mescolano ingredienti locali (come le salsicce di maiale, coriandolo, daikon) e francesi (paté, maionese).

C’è particolare incertezza sulla cucina mediorientale, che sta conoscendo anni di fortuna in tutto il mondo. Una ricerca di Uber Eats sostiene che sia in calo ma secondo altre ricerche, come quella della società di analisi Market Watch, avrebbe ancora successo trascinata anche dalla diffusione dell’hummus, come attesta la crescita di richiesta di ceci, il suo ingrediente principale: dal 2014 al 2018 è aumentata del 6,5 per cento. A favore di questa tesi c’è anche la recente pubblicazione di ricettari di cucina israeliana e palestinese e la persistente moda del cavolfiore, lanciata dagli chef israeliani Yotam Ottolenghi ed Eyal Shani. Pare invece che non abbia ancora fatto presa la cucina di Georgia, Armenia e dei vari -stan (Kazakhstan, Tajikistan e Uzbekistan), come previsto da alcuni l’anno scorso.

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Salvare il pianeta e salvarsi mangiando
Anche nel mondo gastronomico l’attenzione all’ambiente sarà fondamentale, sotto molti aspetti: potrà tradursi in una riduzione del consumo di carne (tra le fonti principali di emissioni di gas serra) sostituita da alimenti a base vegetale; nell’abbandono dell’uso di plastica compresi i giochini regalati ai bambini nei fast food e nell’introduzione di cannucce biodegradabili, contenitori compostabili e utensili di fibre di legno; nella lotta agli sprechi di ristoranti e supermercati; nello sviluppo dell’agricoltura rigenerativa che, servendosi delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie moderne, cerca di proteggere il terreno e migliorarne la fertilità. L’attenzione per l’ambiente si intreccia alla ricerca di un cibo più sano e di una dieta salutare, in corso già da anni: secondo Market Watch il mercato del cibo del benessere crescerà, da quest’anno al 2024, del 5,7 per cento.

Una ricerca della catena di supermercati Whole Foods prevede la diffusione di snack monoporzione sani, come zuppe da bere, pacchettini di sottaceti, confezioni di frutta, salse con pochi grassi da aggiungere ai piatti, uova sode (non fatevi ingannare e ricordate che le chips di mela e barbabietola sono snack golosi e calorici). I cosiddetti superfood – come bacche, semi e tisane che avrebbero effetti miracolosi, mai dimostrati – saranno affiancati dall’aggiunta di integratori ai cibi. L’ultima novità è la polvere di collagene (una proteina che mantiene l’elasticità della pelle e minimizza le rughe) in frullati, tè e caffè: anche in questo caso i benefici non sono stati scientificamente provati.

Carne sintetica e proteine a base vegetale
Da anni sempre più persone mangiano meno carne e più prodotti a base vegetale, sia per ragioni ambientali sia salutistiche. Fino a poco tempo fa, questi prodotti – come la carne di soia o il latte di avena – erano comprati soprattutto da persone vegane o vegetariane, mentre ora il 90 per cento di chi lo fa, sempre negli Stati Uniti, mangia abitualmente carne e latticini e vuole semplicemente ampliare il repertorio di cibi che consuma facendo più attenzione alla salute.

Secondo la Plant-Based Foods Association, nel 2019 la vendita al dettaglio di cibi a base vegetale è aumentata, negli Stati Uniti, dell’11,3 per cento, contro una crescita del 2 per cento della vendita di cibo in generale. Il 2019, sempre negli Stati Uniti, ha visto il successo degli hamburger vegetali, come quelli di Impossible Foods e Beyond Meat, che sono pensati per chi mangia abitualmente carne e che hanno un sapore e una consistenza molto simile; ad aprile Burger King aveva iniziato a testare gli Impossibile Whopper in alcuni ristoranti e, visto il successo, ad agosto ha deciso di estenderli in tutti gli Stati Uniti. In Italia gli hamburger di Impossible Foods non esistono ancora ma è possibile mangiare quelli di Beyond Meat, qui.

– Leggi anche: A che punto siamo con gli hamburger senza carne

Toast dolci dall’Asia
Kim Severson scrive che avrà successo un nuovo dolce dall’Asia, una specie di toast dolce, abbrustolito e farcito. Il prototipo è il Shibuya honey toast: un quadrotto di pan carrè che viene scavato all’interno, spalmato di burro e miele, caramellato in forno, imbottito a piacere di frutta fresca e secca, altro miele e sciroppi e sovrastato da gelato, panna e biscotti. Nacque nel quartiere Shibuya di Tokyo negli anni Novanta, dove veniva servito soprattutto ai bar di karaoke, e poi si diffuse in altri paesi vicini, come Taiwan e Singapore. A Taiwan c’è una versione più sobria, riempita di latte condensato o crema pasticcera, mentre a Singapore c’è il kaya toast: il pane è molto abbrustolito, ricoperto di burro salato e marmellata kaya, una cagliata di frutta con latte di cocco e foglie di pandano (una pianta tropicale molto usata in cucina), che si mangia a colazione con uova sode.

Mocktail, bevande con marijuana e vino popolare
Continua la moda delle bevande con un tasso alcolico ridotto o assente, mocktail (il nuovo modo per chiamare i cocktail analcolici), seltzer, tè, sherry e birre analcoliche. Molte bevande vengono rinforzate con sostanze estratte da piante con effetti rilassanti, a partire dal CBD contenuto nella canapa. Negli ultimi anni sempre più stati hanno legalizzato o decriminalizzato l’uso della marijuana – in Italia è legale dal 2017 quella light, con THC, il principio attivo, inferiore allo 0,6 per cento – che ha aperto un nuovo mercato di prodotti alimentari che la contengono, come cioccolatini, biscotti, caffè, caramelle e bevande.

Al momento il mercato globale della cannabis (quindi legale e non) vale 150 miliardi di dollari (134 miliardi di euro) ma, secondo proiezioni di Food Business News, quello legale crescerà fino al 77 per cento delle vendite totali e arriverà a 166 miliardi di dollari (150 miliardi di euro) entro il 2025. Food & Wine scrive che il vino, anche quello buono, si troverà confezionato in brik e lattine, come il vino rosé Babe.

Farine e burri alternativi, pane e pasta madre
Le mode del cibo senza glutine e con pochi carboidrati hanno aperto la strada a nuove farine, ottenute da tuberi, semi, amidi e ortaggi, come quella di banane verdi, noci di cocco, ceci, piselli, semi di anguria, patate dolci, mandorle (anche se «fa così 2019», scrive Severson) e soprattutto di cavolfiore. Quest’ultima funziona perché ha un sapore molto neutro ed essendo ricavata da un ortaggio ha pochi grassi e calorie: negli Stati Uniti è pieno di ricette a base di gnocchi, pasta e pizza di cavolfiore, che si trova anche surgelata nei supermercati e potrebbe prendere presto piede anche da noi. (Leggi anche: Il glutine fa male?) Contemporaneamente, scrive Food & Wine, crescerà la cura per il pane, in particolare quello fatto con la pasta madre e con grani antichi. Per finire, spunteranno anche nuovi tipi di burro – come quello di macadamia o ricavato dai semi di cocomero – soprattutto per sostituire l’olio di palma che, se non fa male alla salute, danneggia l’ambiente.

– Leggi anche: L’olio di palma fa male?

Sempre più fusion
Negli Stati Uniti ci sono sempre più chef figli della prima generazione di immigrati e di genitori provenienti da paesi diversi e con tradizioni culinarie molto distanti tra loro. Molti stanno iniziando a mescolarle, creando nuove combinazioni di sapori e di ingredienti e inventando nuovi menu. In Italia, vista la minore mescolanza etnica, è un fenomeno più sfumato e importato, che si manifesta in modo originale soprattutto nella riproposizione di piatti esotici con ingredienti tradizionali italiani: dim sum (cioè ravioli cinesi) riempiti di salsa amatriciana o sushi siciliano, con uramaki di gamberi e pistacchi di Bronte.

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Food & Wine ha chiesto a 34 importanti chef internazionali le loro previsioni per il 2020 e uno di loro, Gene Kato del ristorante Momotaro di Chicago, ha indicato la cucina itameshi, cioè la cucina nippo-italiana (meshi significa “pietanza”). Risale al 1881, quando il torinese Pietro Migliore aprì a Niigata il ristorante Italia-ken, “Casa Italia”, iniziando la diffusione dei ristoranti italiani nel Paese. Nei locali itameshiya vengono serviti piatti tipici italiani, come la pasta, il risotto e la pizza, rivisitati con ingredienti locali: i tarako spaghetti, con le uova di merluzzo (se vivete a Milano potete assaggiarli qui), i Naporitan, spaghetti conditi con ketchup, cipolle, funghi prataioli, salsiccia e tabasco, l’insalata verde con l’olio di sesamo e lo zenzero, e la pizza con i funghi shiitake e le uova di pesce essiccate. Intanto sempre più chef italiani vanno a studiare e lavorare nei ristoranti in Giappone, e viceversa, con potenziali nuovi sviluppi per la cucina itameshi.

La fine dei menu per bambini
Sia Severson del New York Times che alcuni chef intervistati da Food & Wine pensano che cambierà il modo in cui i genitori nutriranno i loro figli, al ristorante come a casa. Il motivo principale è che oltre la metà dei bambini americani è figlia di millennial, i nati tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni Duemila: è una generazione particolarmente attenta al cibo che probabilmente preparerà loro piatti più sani e internazionali. Severson scrive che potrebbero far decadere i menu riservati ai bambini, con porzioni più piccole, costo contenuto ma cibi molto semplici, golosi e sempre uguali (in Italia per esempio ci sono la cotoletta o l’hamburger con le patatine fritte, la pasta al pomodoro o al ragù). Secondo Food & Wine i piatti potrebbero restare gli stessi ma avere materie prime migliori: nuggets di pollo biologico e bastoncini di salmone non allevato. La situazione in Italia è un po’ diversa: da anni il settore del biologico si rivolge soprattutto ai genitori e i menu per bambini si trovano quasi solo nelle catene internazionali.

Cucine fantasma e cibo portato a casa dai robot
Secondo Severson i ristoranti, soprattutto delle catene fast-food, si serviranno dell’intelligenza artificiale per aggiustare i prezzi in base alla domanda e all’offerta; le app di cibo a domicilio suggeriranno piatti e locali «come Netflix fa con i film» e avranno schermate di menu con BOT e riconoscimento facciale per personalizzare gli ordini. I rider, cioè le persone che portano il cibo a domicilio, saranno rimpiazzati da robot (la catena di pizzeria Domino’s li sta testando a Houston, in Texas, e in alcune città europee, mentre Dunkin’ e Starbucks già consegnano così il caffè in alcuni college). Migliorerà anche la sicurezza alimentare grazie a sistemi che renderanno più facile controllare tutta la filiera. Per finire ci saranno sempre più “cucine fantasma” o “ghost kitchens”: ristoranti composti solo da una cucina, un bancone o una finestra da cui i fattorini ritirano il cibo da consegnare, e che si può ordinare solo online.

– Leggi anche: I ristoranti fatti di sole cucine