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(AP Photo/Musa Sadulayev)

L’unità segreta russa che vuole destabilizzare l’Europa

È la numero 29155, scrive il New York Times, ed è responsabile di tentati omicidi e colpi di stato

Il New York Times ha ricostruito un pezzo di storia di un’unità segreta russa responsabile di alcuni crimini commessi negli ultimi dieci anni in Europa, che per molto tempo erano stati ritenuti episodi non collegati tra loro. Basandosi sulle informazioni ottenute da diverse fonti rimaste anonime, il giornalista Michael Schwirtz ha raccontato per la prima volta quello che si sa dell’unità 29155, una parte dei servizi segreti militari russi, specializzata in sovversione, sabotaggi e omicidi mirati, con l’apparente obiettivo di destabilizzare l’Europa e il suo ordine democratico e liberale.

Le quattro operazioni finora attribuite all’unità 29155 sono state compiute negli ultimi anni in diversi paesi europei: sono la destabilizzazione della Moldavia, con il forte appoggio a partiti antieuropei; l’avvelenamento di Emilian Gebrev, trafficante d’armi bulgaro; il tentato colpo di stato in Montenegro, con l’uccisione del primo ministro e l’occupazione dell’edificio del Parlamento; il tentato omicidio di Sergei Skripal, ex spia russa avvelenata con il novichok.

Secondo la ricostruzione del New York Times, l’unità 29155 opera all’interno della struttura dell’intelligence militare russa, più nota in Occidente con sigla GRU, responsabile tra le altre cose delle interferenze nelle elezioni statunitensi del 2016 e dell’annessione della Crimea alla Russia, nel 2014. Rispetto alle unità incaricate di operare negli Stati Uniti, la 29155 è dedicata espressamente all’Europa: è formata da alcuni militari che negli ultimi quarant’anni hanno partecipato ai conflitti più violenti combattuti dalla Russia, tra cui le guerre in Afghanistan, Cecenia e Ucraina.

Nonostante l’unità sia stata identificata per la prima volta dopo il tentato colpo di stato in Montenegro, nel 2016, l’intelligence europea cominciò a legarla a diversi crimini commessi in Europa solo dopo l’avvelenamento di Sergei Skripal e della figlia, avvenuto a Salisbury, in Inghilterra, nel marzo 2018. Da indagini successive, gli investigatori scoprirono infatti che un anno prima dell’avvelenamento tre operativi dell’unità viaggiarono nel Regno Unito, forse per raccogliere informazioni. Due di loro, identificati con gli alias Sergei Pavlov e Sergei Fedotov, erano stati parte del gruppo che nel 2015 aveva tentato di uccidere per due volte il trafficante di armi bulgaro Emilian Gebrev: una a Sofia, la capitale della Bulgaria, l’altra un mese dopo nella sua casa sul Mar Nero.

Nonostante sia una forza di élite, ha scritto il New York Times, l’unità 29155 ha a disposizione un budget piuttosto limitato.

Per esempio il suo attuale comandante, il generale Andrei Averyanov – veterano delle due guerre cecene e premiato con la medaglia di Eroe della Russia (il più alto titolo onorifico del paese) – vive in un edificio in rovina dell’era sovietica che si trova a pochi isolati dal quartier generale dell’unità. Averyanov guida una VAZ 21053 del 1996, una vecchia berlina a quattro porte fabbricata in Russia. Gli agenti della 29155, inoltre, sostengono spese molto limitate anche quando sono in viaggio, condividendo spesso alloggi economici per risparmiare qualcosa: sembra per esempio che gli uomini sospettati dell’avvelenamento di Skripal abbiano dormito in un hotel molto economico a Bow, un quartiere povero dell’est di Londra.

Il New York Times ha scritto che i funzionari europei sono abbastanza perplessi per l’apparente trascuratezza delle operazioni dell’unità 29155 in Europa, che finora si sono risolte praticamente sempre con fallimenti: Skripal e Gebrev sono sopravvissuti ai rispettivi avvelenamenti e il tentato colpo di stato in Montenegro è fallito, e lo scorso anno il paese è entrato nella NATO. L’esito delle operazioni, comunque, potrebbe non essere così importante per il governo russo. Eerik-Niiles Kross, ex capo dell’intelligence in Estonia, ha detto che queste operazioni di intelligence sono diventate parte della cosiddetta “guerra psicologica”, dove più che l’esito conta il fatto di essere continuamente “sentiti”, di esercitare continua pressione: «Fa parte del gioco», ha detto Kross.

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