Da dove arrivano le emissioni inquinanti

Che percentuale dei gas serra prodotti dall'uomo dipende dagli allevamenti? E dai trasporti? Una guida rapida

Uno stabilimento siderurgico in Cina. (Kevin Frayer/Getty Images)
Uno stabilimento siderurgico in Cina. (Kevin Frayer/Getty Images)

I gas serra sono quei gas presenti nell’atmosfera che lasciano passare molte delle radiazioni che dal Sole raggiungono la Terra, ma che trattengono parzialmente le radiazioni infrarosse emesse dalla Terra, provocando l’effetto serra. Questo fenomeno è naturale, e regola la temperatura del pianeta permettendo la vita: ma come è noto, l’attività umana ha causato un innaturale aumento dell’effetto serra, che sta comportando un allarmante aumento delle temperature. Il riscaldamento globale è in buona parte causato dall’aumento dei gas serra nell’atmosfera, causato dalle attività umane. Ma da quali attività?

I gas serra possono essere il risultato di processi naturali, come nel caso del vapore acqueo, o di processi naturali e artificiali, come l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4), oppure di processi soltanto artificiali, come i gas fluorati. Quello più citato quando si parla di riscaldamento globale, però, è l’anidride carbonica, che rappresenta oltre il 75 per cento delle emissioni causate dall’uomo ed è il principale responsabile dell’aumento della temperatura sul pianeta, un fenomeno ormai provato scientificamente e che secondo l’IPCC, il comitato sul cambiamento climatico dell’ONU, entro il 2030 sarà superiore agli 1,5 °C ritenuti la soglia massima di sicurezza per avere effetti contenuti e gestibili, seppure con grandi spese di denaro e risorse.

L’effetto serra, abbiamo visto, è un fenomeno in parte naturale: sulla percentuale di origine artificiale ci sono stime diverse, non tutte affidabili. Ma dato che è proprio l’attività umana – lo dice la scienza – la principale responsabile dello sbilanciamento che porta al riscaldamento globale, a interessarci sono la composizione e le fonti delle emissioni di gas serra antropiche. È infatti riducendo questa percentuale, dicono ormai da decenni scienziati e organizzazioni internazionali, che possiamo provare a mitigare gli effetti del riscaldamento globale.

I gas serra per settore
Esistono varie stime su quanto i diversi settori delle attività umane contribuiscano, in percentuale, alle emissioni globali di gas serra. Sono valutazioni molto complesse e che possono cambiare a seconda dei parametri considerati. Una delle stime più citate è quella del’IPCC che si basa sui dati del 2010: il 25 per cento deriva dalla produzione di elettricità e calore, dalla combustione di carbone, gas naturali o petrolio; il 24 per cento dall’agricoltura, dall’allevamento e dalla deforestazione; il 21 per cento dall’industria; il 14 per cento dai trasporti; il 6 per cento dal consumo di combustibili fossili per uso residenziale e commerciale; e per il 10 per cento da una serie di altre attività come l’estrazione di combustibili fossili, la raffinazione del petrolio, la sua lavorazione e il suo trasporto.

(IPCC)

Ma tenendo conto di altri parametri, le stime possono cambiare: l’Università della California, per esempio, ha fatto una stima globale che tiene conto delle emissioni dovute alla produzione di cibo che viene poi sprecato (e che quindi nel grafico precedente rientra un po’ nell’agricoltura, un po’ nel trasporto, eccetera). Questa percentuale ammonta al 6,7 per cento delle emissioni globali, una parte molto significativa.

(University of California)

Queste suddivisioni possono essere raggruppate in modo diverso: l’elettricità, per esempio, viene prodotta per essere usata negli altri settori delle attività umane, dai trasporti all’industria passando per l’utilizzo nelle abitazioni.

Nel caso degli Stati Uniti, per esempio, ridistribuendo le emissioni della produzione di elettricità nei vari settori si ottiene un grafico molto diverso. Il settore che contribuisce di più alle emissioni diventa con il 31% quello delle abitazioni e degli esercizi commerciali, in cui sono incluse le emissioni degli impianti di riscaldamento e condizionamento, l’energia consumata dagli elettrodomestici, eccetera; l’industria diventa il secondo settore, con il 30%, seguito dai trasporti con il 29% e dall’energia con il 10%.

(EPA)

Trasporti
Per quanto riguarda il settore dei trasporti, invece, le stime più precise riguardano gli Stati Uniti, un paese che a differenza per esempio dell’Europa dipende in grandissima misura dalle automobili. Il 59% delle emissioni dovute ai trasporti è causato proprio da auto, furgoni e piccoli camion; il 23% da camion di medie e grandi dimensioni; il 9% dagli aerei; il 3% da barche e navi; il 2% dai treni; il 4% da altri mezzi di trasporto.

(EPA)

Agricoltura, allevamento e deforestazione
Per quanto riguarda invece la percentuale che nel primo grafico era rappresentata dall’agricoltura, dall’allevamento e dalla deforestazione, ci sono un po’ di cose da dire. Secondo la FAO, gli allevamenti contribuiscono per più del 14% al totale delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo; di questa percentuale, il 65% è rappresentata dagli allevamenti di bovini, sia per la carne che per il latte (gli allevamenti per la carne però causano quasi il doppio delle emissioni di quelli per il latte). Sono seguiti con il 9% dagli allevamenti di suini, con l’8% dai bufali, con l’8% da polli e galline, e con il 6% da altri animali da latte e carne (come pecore e capre). Per la maggior parte, le emissioni legate all’allevamento sono causate dalla produzione di mangimi e dalla loro digestione, per il 45 e il 39 per cento rispettivamente. A differenza degli altri settori, però, l’allevamento produce per la maggior parte gas serra sotto forma di metano (per il 44%), seguito da ossido di diazoto e anidride carbonica, entrambi sotto il 30%.

C’è poi un altro aspetto che complica le stime del settore perché le piante e il suolo immagazzinano carbonio, sottraendolo all’atmosfera, ma lo fanno in misura diversa a seconda delle coltivazioni e dell’utilizzo delle terre. Nel mondo esistono tendenze opposte: negli Stati Uniti, per esempio, dal 1990 a oggi la conversione di terreni agricoli in praterie e la riforestazione hanno fatto sì che in totale il settore dello sfruttamento delle terre e delle foreste contribuisse a ridurre le emissioni di anidride carbonica, invece che ad aumentarle. Ma in altre parti del mondo sta avvenendo l’opposto.

Le emissioni nel mondo
Per quanto riguarda la distribuzione delle emissioni per paesi, il principale responsabile globale è la Cina, con circa il 28% delle emissioni totali. Al secondo posto ci sono gli Stati Uniti, con il 15%, seguiti dall’India con il 6%, dalla Russia con il 5% e dal Giappone con il 4%. L’Unione Europea a 28 paesi rappresenta il 9%, mentre i suoi 15 paesi più industrializzati arrivano quasi al 7,5%. L’Italia ha quasi le emissioni della Francia, di poco inferiori all’1%.

Ma queste percentuali raccontano solo un pezzo della questione: ha infatti senso fino a un certo punto confrontare un paese di quasi 1,5 miliardi di persone come la Cina con gli Stati Uniti, che ne hanno circa 330 milioni. Per questo è utile il dato delle emissioni pro capite: al primo posto in questa classifica c’è il Kuwait, piccolo stato ricco di giacimenti petroliferi, con oltre 50 tonnellate di anidride carbonica pro capite all’anno. Nei primi dieci posti ci sono gli altri principali paesi produttori di petrolio mediorientali, insieme ad altri piccoli paesi come Brunei e Belize. Il primo grosso paese della lista è l’Australia, con 25 tonnellate pro capite all’anno; il Canada ne conta quasi 21, gli Stati Uniti quasi 20. Per trovare la Cina bisogna scendere molto più in basso: i suoi abitanti causano in media l’emissione di 8,4 tonnellate di CO2 pro capite. L’Italia è ancora più in basso, con circa 7 tonnellate pro capite, mentre la Germania è a 11.