I Tool (la band) per chi non li sa

Sono una band metal con seguito fedelissimo, che ha infine pubblicato un disco dopo 13 anni in cui si era costruita un'attesa divenuta parte della loro fama

I Tool in concerto in Messico nel 2014. (AP Photo/Felix Marquez)
I Tool in concerto in Messico nel 2014. (AP Photo/Felix Marquez)

Venerdì è uscito Fear Inoculum, il quinto disco dei Tool, una band metal statunitense che non ne pubblicava uno da tredici anni: anche se non siete appassionati del genere, è probabile che abbiate almeno un amico che da stamattina ha il disco in ripetizione nelle cuffie. Perché i Tool sono un gruppo con un seguito fedelissimo, che va ben oltre la nicchia degli appassionati di metal e che aveva costruito una specie di tormentone sul lungo periodo di assenza della band.


I Tool sono originari di Los Angeles, e sono composti da un cantante, un chitarrista, un bassista e un batterista. Cominciarono a suonare insieme nel 1990, dopo che il chitarrista Adam Jones conobbe il cantante Maynard James Keenan tramite amici comuni, e dopo che inclusero il vicino di casa Danny Carey, batterista, aggiungendo poi il bassista Paul D’Amour, sostituito cinque anni dopo da Justin Chancellor. Dopo un paio d’anni passati a suonare nella zona di Los Angeles, nel 1992 pubblicarono l’EP Opiate, che fu seguito l’anno successivo dal primo disco, Undertow.

Fu lì che i Tool diventarono i Tool. Nel 1993 gli Stati Uniti arrivavano da un decennio di band di hard rock patinate e tamarre, appariscenti e ormai musicalmente logore, che da anni proponevano variazioni della stessa formula, con più o meno originalità. Gli anni Ottanta erano stati gli anni dei Kiss, dei Van Halen, degli Aerosmith e dei Guns N’ Roses, tutti gruppi popolarissimi e che godevano ancora di un gran successo, ma la cui offerta musicale non era più percepita come fresca da tempo. Fu proprio in reazione all’hard rock e all’heavy metal di quegli anni, e a tutto quello che erano diventati, che nel nord ovest degli Stati Uniti nacque il grunge, grazie a band come i Mudhoney, i Pearl Jam e i Nirvana.


I Tool non nacquero come band grunge, e fin da subito furono difficilmente etichettabili in un genere, una caratteristica che li accompagnò per tutta la carriera. Ricordavano un po’ i Jane’s Addiction, un’altra storica band rock di Los Angeles nata pochi anni prima, ma erano parecchio più arrabbiati e soprattutto si distinsero da subito per una notevole sofisticatezza musicale. La principale caratteristica dei Tool, quella che ancora oggi è la prima con cui vengono descritti, è infatti il grande virtuosismo strumentale dei singoli componenti.

Le prime canzoni dei Tool avevano dei tratti grezzi e sporchi come quelle grunge, ma erano anche costruite su ritmi velocissimi e complessi, e contenevano fraseggi raffinati di basso e chitarra. Molte loro canzoni erano (e sono tuttora) costruite su tempi dispari, un tipo di costruzione ritmica poco diffuso nella musica occidentale che sposta gli accenti a cui siamo normalmente abituati, disorientando l’ascoltatore e soprattutto rendendo molto difficile la vita ai musicisti. Questi elementi emersero soprattutto nei dischi successivi: Ænima del 1996, Lateralus del 2001 e 10,000 Days del 2006.


In questa ricerca di continui tecnicismi erano simili alle band di progressive rock, la musica cervellotica e intricata nata negli anni Settanta, e ricordavano in particolare i King Crimson. Nel tempo qualcuno ha definito questo genere come alternative metal, progressive metal, power metal, ma i Tool rimasero sempre un po’ a metà tra questi generi, anche perché a differenza di altre band metal di virtuosi, come i Dream Theater, cercarono da subito di subordinare la tecnica alla melodia.

I Tool sono una band complicata da ascoltare: piacciono a un pubblico molto più trasversale rispetto ad altri gruppi che bazzicano lo stesso genere – e infatti i loro dischi sono finiti diverse volte in cima alla classifica di Billboard – ma la loro musica difficilmente piace a chi è maldisposto verso il metal. Insieme alla raffinatezza musicale, fecero molta presa sui fan perché dedicarono molta attenzione all’aspetto visivo dei propri concerti e dei propri – rari – video, in un modo che ha ricordato a molti i Pink Floyd. E soprattutto, riuscirono a costruirsi una specie di alone mistico, disseminando citazioni erudite nei testi e ponendosi come band vagamente intellettuale ed esplicitamente “superiore” rispetto alla musica mainstream, un gruppo “vecchia scuola” di musicisti “duri e puri”.


Questo atteggiamento ha fatto guadagnare alla band un pubblico molto fedele, e contemporaneamente ha attirato le critiche e le prese in giro – sulla band e sui suoi stessi fan – di chi ritiene la loro musica pretenziosa e artificiosa, inutilmente ricercata. Le cose che rendono i Tool speciali per i loro fan sono un po’ le stesse che li rendono sopravvalutati e irritanti per i loro molti detrattori. Per fare un esempio: il numero delle sillabe delle parole della canzone “Lateralus”, dell’omonimo album del 2001, segue avanti e indietro la serie matematica di Fibonacci, la sequenza di numeri in cui ciascuno è la somma dei due precedenti. I testi dei Tool parlano di religione, dello psicanalista Carl Jung, di evoluzionismo e di un sacco di cose colte, e questo ha contribuito ad alimentare il culto della band, che per molti versi ha preso il metal e gli ha dato un nuovo tipo di dignità, sostituendo con i riferimenti eruditi il fantasy e l’horror della sua tradizionale iconografia.


Nei dieci anni in cui si concentrò la loro popolarità, tra il 1996 e il 2006, i Tool vendettero milioni di dischi, diventando una delle più celebrate band metal del mondo. Per questo quando annunciarono di volersi fermare un po’, dopo 10,000 Days, in pochi immaginarono che sarebbero rimasti 13 anni senza pubblicare dischi. In quest’arco di tempo, in cui comunque hanno continuato a esibirsi dal vivo, erano circolate più volte voci sul loro imminente ritorno, puntualmente smentite. Nel frattempo crebbe una grandissima attesa, finché a inizio agosto la band ha annunciato il nuovo album, provocando una reazione che a molti ha ricordato quella per Chinese Democracy, il disco con cui tornarono dopo 15 anni i Guns N’ Roses, nel 2008 (in quel caso però fu un riconosciuto disastro).

La band ha quindi pubblicato “Fear Inoculum”, il primo singolo in studio dal 2006, e contemporaneamente ha messo a disposizione la sua musica sui servizi di streaming, dove prima non c’era. Sono immediatamente diventati l’unica band a occupare tutti e dieci i primi posti della classifica di Billboard delle vendite digitali per le canzoni rock, e “Fear Inoculum”, con i suoi 10 minuti e 22 secondi, è diventata la canzone più lunga a entrare nella Hot 100, la classifica più importante della musica americana.