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  • Giovedì 25 luglio 2019

Il nuovo governo di Boris Johnson

È più di destra e più pro-Brexit del precedente: il nuovo primo ministro britannico ha sostituito quasi tutti i ministri del governo May

La prima riunione del nuovo governo di Boris Johnson (Aaron Chown/PA Wire)
La prima riunione del nuovo governo di Boris Johnson (Aaron Chown/PA Wire)

Il rimpasto di governo deciso dal nuovo primo ministro britannico Boris Johnson è stato descritto sulle prime pagine dei giornali britannici di oggi come “massacro“, “vendetta” e “carneficina“, solo per citare alcune delle espressioni usate. È stato il più profondo rimpasto degli ultimi 60 anni, ha scritto il Telegraph, e ha portato alla formazione di un governo molto di destra, molto a favore di Brexit e – secondo diversi osservatori – molto pronto per andare presto alle elezioni.

I rimpiazzi di ministri e sottosegretari non erano del tutto inattesi, ma nel sistema britannico non era scontato che fossero così radicali: la maggioranza di governo non è cambiata, il governo non è “caduto” come succede in Italia quando viene votata la sfiducia, e tecnicamente Johnson avrebbe potuto continuare a governare senza sostituire nemmeno un ministro. Ha invece deciso di sostituirne tanti, licenziando quasi tutti i ministri e i sottosegretari che non lo avevano sostenuto come candidato segretario e quelli che considerava troppo vicini alla ex prima ministra Theresa May (quelli che erano rimasti, visto che molti si erano già dimessi). I sostituti sono quasi tutti suoi storici alleati, membri della campagna “Vote Leave” ai tempi del referendum su Brexit ed esponenti della destra del partito Conservatore.

La nuova home secretary, la ministra degli Interni, sarà Priti Patel, di cui si era parlato nel 2017 quando Theresa May la licenziò da ministra dello Sviluppo internazionale per aver organizzato incontri segreti con funzionari e affaristi israeliani senza avvisare il suo governo. Di lei oggi i giornali ricordano anche quando nel 2011 sostenne la necessità di reintrodurre la pena di morte nel Regno Unito, salvo poi cambiare idea qualche anno più tardi. Patel, che aveva fatto parte di “Vote Leave”, ha preso il posto di Sajid Javid, che Johnson ha spostato al ministero dell’Economia nominandolo Cancelliere dello scacchiere. Javid – figlio di immigrati pakistani che prima di entrare in politica aveva un ricco lavoro da investitore finanziario – è uno con idee molto liberiste che il Guardian ha descritto come un “devoto di Margaret Thatcher”.

Al ministero degli Esteri, Johnson ha nominato Dominic Raab, un altro ex di “Vote Leave” che durante l’ultimo governo May era stato brevemente segretario per Brexit, salvo poi dimettersi perché considerava l’accordo trovato dalla prima ministra «una minaccia all’integrità del Regno Unito». Raab, molto sostenitore di Brexit, sarà anche il sostituto di Johnson per i question time in parlamento (le sessioni settimanali di domande e risposte tra il primo ministro e i parlamentari). Ha preso il posto di Jeremy Hunt, ben più moderato e sconfitto da Johnson nelle elezioni per il nuovo leader dei Conservatori: ad Hunt era stato offerto il ministero della Difesa, ma lui ha rifiutato il declassamento e tornerà a fare il parlamentare.

Tra le nomine più discusse di Johnson ci sono poi quella dell’ex direttore di “Vote Leave” Dominic Cummings a senior advisor (consigliere anziano) del primo ministro e quella di Jacob Rees-Mogg a leader della Camera dei Comuni, un ruolo che garantisce grande controllo sulla programmazione dei lavori parlamentari. Rees-Mogg è un parlamentare Conservatore ma è soprattutto il capo dell’European Research Group, l’influente gruppo di parlamentari conservatori che vorrebbe un’uscita radicale del Regno Unito dall’Unione Europea (senza un accordo), ed è stato il più attivo oppositore di Theresa May e la persona che di fatto l’ha costretta alle dimissioni.

Micheal Gove, che insieme a Johnson era stato il principale sostenitore del referendum su Brexit, sarà il nuovo chancellor of the duchy of Lancaster, un ruolo ministeriale ma per lo più cerimoniale che comunque garantirà a Gove una certa vicinanza al potere. A lui è stato affidato il compito di preparare il Regno Unito alla possibilità del no-deal, l’uscita dall’Unione Europea senza un accordo. Jo Johnson, fratello di Boris Johnson, è stato invece scelto come ministro dell’Università e dell’Energia: una nomina che testimonia la volontà del nuovo primo ministro di circondarsi di alleati molto stretti.

Tirando le somme, il Telegraph ha comunque contato nel nuovo governo 14 ministri che votarono per lasciare l’Unione Europea e 16 che votarono per restarci, una cosa comunque inevitabile per evitare di perdere in partenza il sostegno di gran parte dei parlamentari Conservatori. Ma considerando anche gli incarichi non ministeriali, l’opinione quasi unanime dei giornalisti britannici è che il nuovo governo si sia spostato decisamente a destra e decisamente su posizioni più a favore della Brexit. Johnson, nei suoi primi discorsi da primo ministro – mercoledì, poco dopo la nomina, e giovedì durante la prima riunione di governo – ha ribadito la sua intenzione di uscire dall’Unione Europea non oltre il 31 ottobre, l’attuale scadenza per i negoziati stabilita prima dell’estate e le scelte che ha fatto per i ruoli chiave del governo vanno in quella direzione.

Comunque vada, se Johnson manterrà la promessa anche a costo di uscire dall’Unione Europea senza un accordo, è ritenuto molto probabile che presto ci saranno nuove elezioni. Se Johnson riuscirà a rinegoziare l’accordo con l’UE potrebbe capitalizzare su un grosso successo politico; se invece dovesse uscire dall’Unione senza un accordo potrebbe comunque sperare di ottenere una maggioranza migliore e togliere peso al Brexit Party, il nuovo partito di Nigel Farage arrivato primo alle ultime elezioni europee. Il fatto che abbia nominato così tanti nuovi ministri e che abbia scelto come suo consigliere uno molto bravo con le campagne elettorali – Cummings – è considerato un grosso indizio in questo senso.