L’impronta è ancora lì?

Non tutti lo sanno, ma non fu lasciata dal primo uomo a mettere piede sulla Luna: fu il secondo, invece

di Giuditta Nacamulli

Una delle prime impronte lasciate sulla Luna da Buzz Aldrin, il 21 luglio 1969 (NASA)
Una delle prime impronte lasciate sulla Luna da Buzz Aldrin, il 21 luglio 1969 (NASA)

L’immagine dell’impronta dello scarpone sulla superficie lunare è una delle più famose ed emblematiche dell’Apollo 11, la missione spaziale che cinquanta anni fa portò i primi esseri umani sulla Luna. Nell’immaginario collettivo quell’impronta è associata al piede di Neil Armstrong, il primo che calpestò il suolo lunare il 21 luglio 1969, anche se in realtà appartiene a Buzz Aldrin, che scese per secondo. Oltre a essere diventata uno dei simboli dell’impresa – pubblicata e ripubblicata, proposta e stampata sulle copertine di riviste, libri, gadget – l’impronta continua a esistere sulla Luna: gli scienziati sostengono che possa rimanere impressa sul polveroso suolo lunare per molti anni ancora.

Il primo passo sulla Luna era stato seguito in diretta televisiva mondiale da mezzo miliardo di persone: averne un’immagine è un cimelio irrinunciabile per l’umanità, malgrado quell’immagine non sia appunto quella del primo passo. L’allunaggio fu un’operazione piuttosto complicata che rese secondario per Armstrong scattare la foto del suo primo passo. Uscito dal modulo lunare, percorse gli scalini con indosso una pesante e ingombrante tuta, tenendosi alla scaletta, cosa che gli impedì di scattare fotografie con la macchina che si era portato dietro. Poggiò il piede per la prima volta saggiando la consistenza del terreno. Dopodiché scese anche Aldrin e a questo punto Armstrong ebbe tempo e modo di registrare la documentazione fotografica che conosciamo oggi.

L’attenzione di Armstrong nel mettere piede per la prima volta sulla Luna era concentrata su come sarebbe stato il suolo. Prima che l’Apollo 11 atterrasse, infatti, gli scienziati della NASA si erano domandati se il suolo lunare avrebbe resistito sotto il peso dell’astronauta e della sua tuta spaziale, quale sarebbe stata la sua consistenza, se duro, granuloso, sabbioso, se si sarebbe crepato, rotto o persino aperto fino a far sprofondare il piede.

La seconda frase che Armstrong pronunciò rivolgendosi al centro di controllo sulla Terra fu: “Affondo di una piccola frazione di pollice, forse un ottavo di pollice, ma riesco a vedere le impronte dei miei scarponi e la trama della suola sui granelli di sabbia fine”. Questo primo dato fu poi corredato da diversi chilogrammi di campioni di suolo lunare che dalla missione dell’Apollo 11 e da quelle successive vennero portati sulla Terra: rocce molto diverse da quelle terrestri, la cui composizione chimica deriva anche dalla continua caduta di meteoriti.

La superficie della Luna è caratterizzata da pianure – quelle scure visibili anche a occhio nudo – più o meno grandi, derivanti dalla solidificazione di lava basaltica di antiche attività vulcaniche, e da crateri, risultato dell‘impatto di meteoriti o comete sulla superficie lunare (sulla Luna si possono verificare terremoti, anche se con cause diverse da quelle terrestri). Inoltre l’assenza di atmosfera comporta che la caduta al suolo di corpi esterni, senza che si distruggano a causa dell’attrito con l’aria, sia più frequente rispetto alla Terra. La mancanza di atmosfera fa anche sì che non ci siano vento né pioggia che possono erodere la superficie. Perciò, a meno che non siano cancellate da altri corpi, le orme degli astronauti rimarranno sulla Luna per sempre.

Buzz Aldrin lascia un’impronta sulla Luna, 21 luglio 1969 (NASA)

Una polemica successiva al ritorno degli astronauti sulla Terra mise in evidenza che l’impronta non coincideva con gli stivali indossati dagli astronauti. Se si osservano le foto originali dell’equipaggiamento, si può vedere però che l’ingombrante tuta spaziale prevedeva due paia di calzature: uno stivale alto la cui parte superiore si infilava sotto la parte finale del pantalone della tuta spaziale e caratterizzato da un piede affusolato e da una suola piuttosto sottile e liscia, ed un secondo scarpone più basso, largo e spesso, con un’alta suola rigata che girava sulla punta della scarpa; è a questa foggia che si è ispirato il disegno del celebre Moon Boot con il quale affrontiamo la neve nei weekend in montagna ed è questa seconda scarpa che Armstrong e gli astronauti utilizzarono per camminare sulla Luna. La scarpa sottile fu invece usata per le immagini ufficiali prima e dopo la partenza.

L’uniforme che sarebbe stata indossata dagli astronauti dell’Apollo 11 che prevedeva due paia di calzature (NASA)

Nel luglio 2007, in occasione dell’incontro annuale del Comitato Consultivo della NASA presso il Marshall Space Flight Center in Alabama, Neil Armstrong accettò di fare un calco della sua impronta con indosso il secondo tipo di scarpone.

Neil Armstrong nel 2007 mentre fa un calco della sua impronta con uno scarpone analogo a quelli con cui gli astronauti camminarono sulla Luna (Wikimedia)

Un’altra questione di accuratezza sull’immagine dell’impronta riguardò l’informazione italiana: nella fretta di accontentare gli sguardi di chi l’aspettava, Il Messaggero pubblicò in prima pagina il 21 luglio 1969 l’immagine di un’impronta fasulla, usando quella di uno stivale qualunque sul volgarissimo suolo terrestre.

Tra le eventualità che potrebbero cancellare o rovinare l’impronta di Aldrin ci sono gli interventi potenziali di nuove missioni lunari nell’area. L’Outer Space Treaty, un accordo del 1967, obbliga infatti i paesi firmatari a non avanzare nessuna pretesa di sovranità sul territorio della Luna e limita la protezione degli oggetti lasciati dall’Apollo 11 e delle impronte stesse. Nel 2011 la NASA catalogò gli oggetti lasciati sulla Luna e fissò alcune regole per assicurarne la preservazione: per quanto riguarda il Mare della Tranquillità, chiunque approdi sulla Luna dovrebbe mantenersi ad almeno 75 metri dall’area, garantendo la protezione delle impronte lasciate da Armstrong e Aldrin.

Questo e gli altri articoli della sezione Come andammo sulla Luna sono un progetto del workshop di giornalismo 2019 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.

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