Quand’è che le pile ricaricabili sono meglio delle monouso

Quasi sempre, anche se un tempo non era così

(Ina Fassbender/picture-alliance/dpa/AP Images)
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Forse non tutti lo sanno, ma le pile ricaricabili sono per molti versi meglio delle pile monouso: sono sicure, costano meno in proporzione al loro ciclo di vita e producono meno rifiuti di difficile smaltimento. Fino a qualche anno fa la loro performance non reggeva il confronto con quella delle pile monouso, ma nel tempo sono molto migliorate anche da quel punto di vista. Un articolo del New York Times spiega però quali siano i pochi casi in cui le pile monouso sono più raccomandabili di quelle ricaricabili: qualche eccezione c’è. Per capire perché bisogna aver presente come funzionano le pile, a grandi linee.

Le primissime pile monouso erano le zinco-carbone, sostituite attorno agli anni Settanta dalle più durature pile alcaline, le pile usa e getta diffuse tuttora; si chiamano così perché contengono idrossido di potassio, uno dei principali ingredienti della liscivia e fa la parte dell’elettrolita alcalino nelle pile. Se volete saperne di più, conviene fare un ripasso di chimica: diciamo che l’unica cosa davvero importante da sapere è che in tutte le pile ci sono dei metalli e che, per come sono disposti, inserita una pila in un circuito elettrico, cedono elettroni, producendo energia. Tornando alla storia delle pile, sempre negli anni Settanta, visto il sempre più largo consumo che se ne faceva, divenne più importante trovare alternative riutilizzabili.

Le pile zinco-carbone non possono essere ricaricate perché il processo chimico che avviene tra le sostanze che contengono per produrre energia non è facilmente reversibile; le pile alcaline invece si possono ricaricare, ma per un numero di volte piuttosto ridotto rispetto a quello delle pile ricaricabili che si trovano in commercio oggi. I metalli contenuti al loro interno possono riacquistare le loro caratteristiche iniziali, quelle che avevano prima di cedere i propri elettroni, più volte, ovviamente spendendo altra energia. Le pile nichel-cadmio (NiCd), la cui invenzione risale al 1899 ma che per molto tempo fu troppo costoso produrre, furono le primissime pile ricaricabili in commercio. Furono però presto sostituite dalle più performanti pile nichel-metallo idruro (NiMh), anche perché il cadmio è tossico: per questo dal 2006 sono vietate in Europa.

Anche se molti hanno ancora l’idea che le pile ricaricabili siano batterie inaffidabili e poco potenti rispetto alle monouso, nella realtà le cose sono molto diverse. Dai primi anni Novanta le NiMh hanno migliorato sempre di più le loro prestazioni: dal lancio delle Panasonic Eneloop nel 2005, le pile ricaricabili sono diventate competitive e al momento dell’acquisto hanno due o tre volte la capacità di una pila alcalina usa e getta (oltre naturalmente a essere ricaricabili e quindi più durature), cosa che oggi vale per quasi tutte le marche.

Le pile alcaline monouso però non hanno ancora fatto del tutto il loro tempo: per certi utilizzi sono ancora la scelta migliore. È il caso di quei dispositivi che hanno bisogno di poca energia ma costante, come per esempio gli orologi da muro, le torce da testa o le luci da bicicletta. Infatti, il voltaggio delle pile ricaricabili parte alto e diminuisce gradualmente col tempo causando il rallentamento dei dispositivi (un guaio se parliamo di orologi) o un loro spegnimento precoce. Al contrario, quello delle pile monouso si mantiene stabile nel tempo e non mostra segni di cedimento fino all’esaurimento.

A questo si combina il problema dell'”effetto memoria” delle pile ricaricabili: quando si mette in carica una batteria non del tutto scarica è come se quella “ricordasse” la durata della sua ultima vita e reimpostasse le sue vite successive sulla base di quell’ultima. Per intenderci, se mettiamo sempre in carica una batteria prima che sia completamente scarica, alla lunga la sua vita durerà meno rispetto a quando era nuova: è quello che succede anche, in minima parte, con tutte le batterie dei nostri smartphone. Questo può diventare effettivamente un problema quando per esempio il nostro orologio comincia a perdere colpi e siamo portati a ricaricare la pila prima che si scarichi del tutto, accorciandole così la vita. Tuttavia anche su questo fronte le pile di ultima generazione sono molto migliori delle vecchie NiCd. Il consiglio è sempre di non mischiare pile ricaricabili di età, carica o tipologie diverse, ma di utilizzarle a coppie, così come sono state acquistate, in modo che vengano scaricate e ricaricate insieme e invecchino di pari passo con buone performance.

Un altro settore in cui le pile usa e getta si rivelano la scelta migliore, dice sempre il New York Times, è quello dei dispositivi come le lampade di emergenza o le luci di sicurezza che non sono collegati alla corrente elettrica: rimangono inattivi per lunghi periodi, ma devono poter funzionare prontamente all’occorrenza. In Italia solitamente questi dispositivi sono attaccati all’impianto elettrico ma l’esempio è utile per ricordare un’altra cosa, cioè l’autoscaricamento delle pile. È tipico di tutte le batterie, ma nelle pile ricaricabili avviene più velocemente che nelle monouso, che hanno una “vita da mensola” di 7-10 anni. Anche qui però la tecnologia delle pile ricaricabili sta facendo grossi passi avanti e oggi le NiMh Low Self-Discharge (LSD), ovvero a basso autoscaricamento, resistono fino a qualche anno diversamente da quanto riuscissero a fare fino a poco tempo fa (non più di qualche mese). In generale, l’età, il caldo e, nel caso delle ricaricabili, l’utilizzo sono tutti fattori che contribuiscono a rendere l’autoscaricamento più veloce.

Quello dei rilevatori di fumo antincendio, caso mai ne aveste uno alimentato a pile, è un altro dei casi citati dal New York Times in cui viene raccomandato l’uso delle pile monouso e un controllo mensile della batteria.  In ultimo, le pile usa e getta sono decisamente la soluzione più adatta a quelle situazioni in cui l’accesso all’elettricità è problematico, come in campeggio. Tra l’altro sono anche più resistenti nel caso di esposizione a urti o graffi.

In tutti gli altri casi non c’è gara. Le pile ricaricabili costano molto meno delle pile usa e getta in proporzione alla loro durata. Basta ricaricarle 6 volte per ammortizzare il loro costo e quelle di ultima generazione possono arrivare fino a 400 cicli di carica. Un paio di pile ricaricabili vale dunque come centinaia di pile alcaline monouso e per questo anche l’impatto ambientale è molto minore.

Secondo il più recente rapporto del Centro di Coordinamento Nazionale Pile e Accumulatori, nel 2018 in Italia sono state vendute 24mila tonnellate di batterie: per nucleo familiare sono circa 1,4 chili che corrispondono a una sessantina di pile. In Italia, solo il 43 per cento delle pile che finiscono nei rifiuti viene differenziato e correttamente smaltito attraverso un processo regolamentato (divisione per dimensioni e tipologia, pulizia, triturazione, separazione delle varie componenti e trattamenti chimici vari). Il restante 57 per cento non solo non viene riciclato, ma finisce nella maggior parte dei casi col disperdersi nell’ambiente col rischio di inquinamento da metalli pesanti, soprattutto delle acque, e di intossicazione per esseri umani e animali. Quando non è inquinante e tossico, dunque, il processo di smaltimento delle pile è lungo e dispendioso: in entrambi i casi ha un costo decisamente sproporzionato rispetto al breve utilizzo di un prodotto usa e getta.

Secondo Wirecutter, le migliori marche di pile ricaricabili AA e AAA sono Energizer, Panasonic Eneloop e anche le più economiche AmazonBasics. Per quanto riguarda i caricabatterie testati da Wirecutter, tra i migliori disponibili in Italia ci sono il Panasonic BQ CC55 e l’EBL 6201. Secondo un test condotto da Altroconsumo nel 2014, in Italia le pile ricaricabili migliori sono Carrefour e Ikea LADDA, mentre le migliori monouso sono le Duracell Ultra Power.

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