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  • Martedì 11 giugno 2019

Chi prenderà il posto di Theresa May?

La scelta del nuovo leader del Partito Conservatore e quindi del Regno Unito, spiegata

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)

Da giovedì e fino alla fine di luglio il Partito Conservatore del Regno Unito sarà impegnato nella scelta del suo nuovo leader, che una volta eletto prenderà automaticamente il posto di Theresa May come prima ministra del paese. La scelta del nuovo leader dei Conservatori sarà quindi fondamentale non solo per come cambierà il Regno Unito, ma anche per come influenzerà la politica a livello europeo, quando riprenderanno le trattative su Brexit.

Perché serve un nuovo leader?
Theresa May, che era diventata leader dei Conservatori e prima ministra nel 2016 dopo il referendum su Brexit, si è dimessa da segretaria del suo partito venerdì scorso decadendo di fatto quindi anche da prima ministra: nel sistema britannico, infatti, il capo del partito di maggioranza in Parlamento è automaticamente il primo ministro del paese. May è stata costretta a lasciare l’incarico: per mesi aveva provato a convincere il parlamento ad approvare l’accordo su Brexit che aveva negoziato con l’Unione Europea, fallendo ripetutamente e perdendo la fiducia della maggioranza dei parlamentari Conservatori. Le sue dimissioni hanno aperto la fase di selezione di un nuovo leader, e una volta che sarà stato eletto rimarranno solo le formalità: May offrirà le sue dimissioni da prima ministra alla Regina, che nominerà il suo successore. La vera partita politica si gioca tutta ora.

Chi si è candidato
Lunedì il “1922 Committee”, il gruppo parlamentare dei Conservatori, ha diffuso la lista dei dieci deputati che hanno presentato una candidatura valida per l’elezione del nuovo leader (serviva solo raccogliere il sostegno di almeno 8 parlamentari, ma qualcuno non ce l’ha fatta). I candidati sono:

  1. Michael Gove, ministro dell’Ambiente
  2. Matt Hancock, ministro della Salute
  3. Mark Harper, ex capogruppo dei Conservatori
  4. Jeremy Hunt, ministro degli Esteri
  5. Sajid Javid, ministro dell’Interno
  6. Boris Johnson, ex ministro degli Esteri e già sindaco di Londra
  7. Andrea Leadsom, ex ministra “dei Rapporti con il parlamento”
  8. Esther McVey, ex ministra del Lavoro e delle Pensioni
  9. Dominic Raab, ex ministro per Brexit
  10. Rory Stewart, ministro per lo Sviluppo internazionale

Come funziona la scelta
La scelta del nuovo leader spetta ai parlamentari Conservatori e agli iscritti al partito. Nelle prossime settimane, a partire da giovedì, ci saranno diverse successive votazioni a cui parteciperanno solo i parlamentari: ogni volta verranno eliminati i candidati con meno consensi e si andrà avanti a votare fino a che ne resteranno solo due. A quel punto il voto sarà allargato anche agli iscritti al partito: si voterà per circa due settimane e dal 22 luglio in poi ogni giorno sarà buono perché venga comunicato il nome del vincitore. Nel 2016 May fu scelta dopo che tutti gli altri candidati si erano ritirati: ma era un momento molto diverso, ed è improbabile che succeda ancora.

Chi è il favorito
Dieci candidati sono moltissimi e nel Regno Unito se ne parla come di un segnale del gran casino che c’è dentro al Partito Conservatore, dove da mesi si litiga molto aspramente su cosa fare per Brexit (mentre intanto a ogni elezione va peggio che a quella prima). Dei dieci, sono tre o quattro quelli che hanno qualche possibilità di farcela.

Boris Johnson
È considerato il favorito e il più probabile prossimo primo ministro del Regno Unito. È molto conosciuto in tutto il mondo, anche se spesso si parla di lui più per le sue gaffe, per le sue stranezze e per le grosse bugie che ha raccontato nella vita (soprattutto sull’Unione Europea). In molti lo considerano un politico poco serio e inaffidabile, ma da anni Johnson sta costruendo il suo percorso per provare a diventare primo ministro (ci aveva già provato nel 2016, fallendo): è arrivato alle dimissioni di May molto pronto ed è il candidato che ha ottenuto l’appoggio pubblico del più grande numero di parlamentari. È anche quello che ha le posizioni più dure su Brexit: in questi giorni dice che è più che favorevole a rinunciare del tutto a un accordo con l’Unione Europea.

Michael Gove
È un politico Conservatore considerato abile e molto bravo nei dibattiti. È stato ministro di quasi qualunque cosa negli ultimi governi Conservatori e ne è sempre uscito discretamente bene. Era considerato il principale avversario di Johnson, ma la sua campagna elettorale si è inceppata ancora prima del primo evento ufficiale quando ha dovuto ammettere che in passato aveva fatto uso di cocaina.

Jeremy Hunt
Come Gove, è un politico Conservatore apprezzato e stimato, ma come Gove non ha nemmeno lontanamente la popolarità di Johnson o il suo carisma, nel bene o nel male. Tra quelli con qualche possibilità di farcela, è il candidato che ha espresso le posizioni più moderate su Brexit. Dice, in sintesi, che uscire senza accordo sarà un disastro, che l’Unione Europea lo sa e quindi farà qualche concessione. La sua candidatura ha beneficiato dei guai di Gove e del sostegno di due importanti ministre Conservatrici, Amber Rudd and Penny Mordaunt.

Gli altri
Dominic Raab, che non aveva fatto una gran figura nei suoi mesi come ministro su Brexit e che a Bruxelles è considerato un personaggio poco affidabile, ha raccolto qualche consenso iniziale ma non ha grosse possibilità di vittoria. Matt Hancock si è invece fatto notare per uno strano evento elettorale, in cui le luci non hanno funzionato bene e in cui lui ha parlato molto del bisogno di aggiungere “emotività” alla politica: a qualcuno è piaciuto e a qualcuno no. Gli altri sperano tutti in qualche colpo di fortuna nei prossimi giorni, ma non sembrano avere grosse possibilità di farcela oltre i primi turni di voto.

Che partita sarà
Boris Johnson è considerato da tutti il grande favorito ed è dato quasi per scontato che sarà uno dei due candidati che arriverà al voto finale. È però un candidato molto controverso, una persona considerata “poco seria” e di cui tanti hanno poca stima. Tutti gli altri quindi stanno giocando la partita per diventare “l’altro dei due candidati finali”: o come scrivono i giornali britannici, per occupare il posto ABB, anyone but Boris, chiunque ma non Boris.

Lunedì, cinque candidati hanno tenuto eventi per presentare le loro candidature e si è notata una certa insistenza nell’attaccare Johnson più o meno velatamente. Gove e Hunt hanno insistito molto sull’idea di essere gli unici candidati “seri e credibili” e la loro idea sembra chiara: arrivare al voto finale e poi raccogliere tutti i voti di chi non vorrebbe vedere Johnson diventare primo ministro. È difficile ma possibile, proprio per l’ingombrante personalità di Johnson. Lui, per provare a limitare i danni, da giorni sta evitando qualunque contatto con la stampa: non ha tenuto un evento di lancio della campagna elettorale, che per ora di fatto consiste solo in incontri privati con parlamentari Conservatori.

Brexit
La questione più importante di cui si dovrà occupare il prossimo primo ministro sarà Brexit, ed è quello di cui si sta più parlando in questi giorni. Johnson è il candidato con le posizioni più dure e – almeno a parole – intransigenti, ed è uno di quelli che ai tempi del referendum avevano fatto campagna elettorale a favore dell’uscita dall’Unione Europea. Gove era su posizioni simili alle sue, ma è anche un politico più pragmatico e sta provando a presentarsi come più moderato e in grado di trattare efficacemente con l’Unione Europea; lo stesso sta facendo Hunt, che durante l’evento di lancio della sua candidatura si è vantato di aver avuto un ruolo decisivo nell’organizzazione delle Olimpiadi e di aver partecipato a importanti negoziati sulla pace in Yemen. Molte sopracciglia si sono alzate.

La grossa domanda che molti si fanno in questi giorni è comunque questa: cosa credono di avere tutti questi candidati che May non aveva? Come mai pensano di poter fare molto meglio su Brexit, a fronte della volontà dell’Unione Europea di non rinegoziare l’accordo? La risposta non è chiarissima: Johnson probabilmente pensa di fare un po’ “alla Trump” – voce grossa, minacce e poi vediamo – mentre gli altri hanno posizioni più confuse. Un parlamentare sostenitore di Hunt ha per esempio detto che May era caratterialmente un po’ rigida e che Hunt invece è più amabile e amichevole, e questo lo aiuterà nelle trattative con l’Unione Europea. Non molto convincente.

Oltre a Brexit?
Johnson lunedì ha promesso di abbassare le tasse a chi dichiara tra 50.000 e 80.000 sterline all’anno e di voler fare di più per commercianti e imprenditori. Gli altri hanno naturalmente detto che vogliono fare il contrario, e abbassare le tasse ai più poveri. Altri grossi temi non sembrano esserci, e anche quello delle tasse sembra comunque molto strumentale e secondario: con la maggioranza risicatissima dei Conservatori in parlamento sarà quasi impossibile approvare grosse riforme di qualunque tipo e quindi per arrivarci bisognerà passare attraverso nuove elezioni, che potrebbero cambiare tutto.

Jeremy Hunt è stato quello che ha parlato più chiaramente di questo scenario, spiegando che se i Conservatori non riusciranno a portare a termine Brexit con successo rischiano di scomparire. È stato molto netto, nel dirlo, ma non ha tutti i torti: il suo partito ha ottenuto alle ultime elezioni europee il peggior risultato della sua storia e secondo Hunt arrivare a nuove elezioni con ancora Brexit in ballo porterebbe una nuova disastrosa sconfitta.