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  • Giovedì 16 maggio 2019

Il documentario di cui si parla un sacco in Polonia

Parla di preti pedofili – in un paese cattolicissimo – e potrebbe creare qualche problema al partito di governo in vista delle elezioni europee

Alcuni attivisti tirano giù la statua di don Henryk Jankowski, sacerdote membro del movimento Solidarność, accusato di avere abusato di minori a Danzica. (AP Photo/Bartek Sabela/Gazeta Wyborcza)
Alcuni attivisti tirano giù la statua di don Henryk Jankowski, sacerdote membro del movimento Solidarność, accusato di avere abusato di minori a Danzica. (AP Photo/Bartek Sabela/Gazeta Wyborcza)

Negli ultimi giorni in Polonia si è parlato moltissimo di un documentario sugli abusi di minori all’interno della Chiesa cattolica locale. Il film, Tell No One (“non dirlo a nessuno”) è stato realizzato da due fratelli, Tomasz e Marek Sekielski: parla di casi di pedofilia che avvenivano nel completo silenzio delle gerarchie, che come in altri paesi nel mondo preferivano spostare di parrocchia in parrocchia il sacerdote accusato piuttosto che affrontare il problema o denunciarlo alle autorità. Sabato è stato pubblicato su YouTube e martedì era stato visto già più di 11 milioni di volte. È un numero enorme per un paese di 38 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali è di religione cattolica.


Da tempo la Polonia è considerata uno dei paesi più cattolici d’Europa: oltre il 40 per cento della popolazione partecipa alla messa ogni domenica. La Chiesa cattolica ha avuto un ruolo decisivo nel plasmare l’identità nazionale del paese e durante il comunismo è stato uno dei primi bastioni di resistenza contro il dominio straniero. Papa Giovanni Paolo II, il primo papa polacco, diventato santo nel 2014, è venerato sia come autorità morale sia per la sua opposizione al comunismo. In Polonia non avviene nessuna cerimonia pubblica a cui non sia presente almeno un membro del clero. Chiesa e potere civile sono strettamente legati in Polonia, e il partito di governo Diritto e Giustizia (PiS), di destra radicale, usa molto la propria alleanza con la chiesa per legittimare il suo potere.

Come molti altri paesi, la Polonia ha già dovuto fare i conti con le rivelazioni degli abusi del clero sui minori. A marzo, le autorità ecclesiastiche polacche avevano dichiarato di essere a conoscenza di 382 sacerdoti che dagli anni Novanta ad oggi hanno abusato di 625 minori. Il documentario sugli abusi dei preti ha riaperto il dibattito. «Perché i preti commettono tali crimini? Perché i vescovi non hanno reagito come dovuto? Perché, per anni, ha prevalso una congiura del silenzio tra il clero?» si è chiesto sul sito Onet il giornalista Andrzej Gajcy, ponendosi alcune domande che vengono spontanee dopo aver visto il film.

Nella scena iniziale una donna con addosso una telecamera affronta il suo molestatore, un sacerdote che aveva abusato di lei quando aveva sette anni, costringendola a masturbarlo e a farsi toccare. Un’altra donna racconta di quando era stata stuprata a 13 anni da un sacerdote che le aveva ordinato di non raccontare a nessuno quello che era successo, nemmeno in confessionale a un altro sacerdote (da qui il titolo Tell No One).

Tra i preti accusati di pedofilia dai fratelli Sekielski c’è anche don Franciszek Cybula, ormai morto, che tra il 1980 e il 1985 fu il parroco della parrocchia di Lech Walesa, l’operaio e sindacalista che per anni ha guidato il movimento Solidarność ed è stato il primo presidente della Polonia dopo la caduta del comunismo. «Sono così sorpreso che non so cosa dire», ha detto Walesa al New York Times: «Se io, come cattolico, avessi saputo, non avrei mai permesso una cosa del genere».

Dopo la visione del video il primate di Polonia, Wojciech Polak, arcivescovo di Gniezno, ha ringraziato i due fratelli che hanno realizzato il documentario per il loro lavoro e si è scusato «per ogni ferita inflitta dalla Chiesa». Anche il nunzio apostolico vaticano in Polonia, monsignor Salvatore Pennacchio, ha portato le sue scuse e quelle di Papa Francesco ai sopravvissuti.

Non sempre le reazioni all’interno della Chiesa sono state di comprensione: Leszek Slawoj Glodz, l’arcivescovo di Danzica, una delle diocesi più importanti della Polonia, ha detto che aveva di meglio da fare che guardare un film e riaprire storie vecchie. Glodz è stato accusato nel documentario di aver insabbiato un caso di pedofilia all’interno della sua diocesi.

Anche il mondo politico ha reagito duramente: il procuratore generale ha detto che aprirà delle indagini per verificare i fatti raccontati nel documentario, mentre PiS ha detto che il governo adotterà un approccio più severo per affrontare e fermare i casi di abusi sessuali su minori.

I partiti di opposizione hanno chiesto che venga nominata una commissione governativa per indagare sugli abusi all’interno della Chiesa, ma nonostante PiS si sia impegnato a perseguire i reati sessuali, finora è stato molto attento a non disturbare eccessivamente la Chiesa. Domenica Jarosław Kaczyński, presidente e fondatore di PiS, ha promesso che la pena per gli abusi sessuali su minori aumenterà da 15 a 30 anni di prigione, così come l’età per il consenso per avere un rapporto sessuale passerà da 15 a 18. Il ministro dell’Interno, Joachim Brudziński, lunedì ha detto che in futuro ci sarà «tolleranza zero» per i pedofili.

Ma la posizione di PiS in questo momento è molto scomoda: per guadagnare il potere e ottenere l’appoggio della popolazione i leader di Diritto e Giustizia hanno stretto una forte alleanza con la maggior parte dei vescovi polacchi. Come racconta Politico, molti sacerdoti polacchi, soprattutto in campagna, sostengono apertamente il partito. «Chi alza una mano contro la Chiesa, per distruggerla, alza una mano contro la Polonia», aveva detto durante un comizio elettorale all’inizio di questo mese Kaczyński, aggiungendo che non può esistere la Polonia senza la Chiesa.

Il documentario è uscito appena due settimane prima delle elezioni europee del 26 maggio, e potrebbe polarizzare il discorso elettorale a sfavore di PiS: soprattutto nelle città, dove gli elettori tendono ad essere più liberali e laici rispetto alle campagne, dove vivono i sostenitori del partito (già accusato da alcuni anni di aver trasformato la Polonia in uno stato semi-autoritario).

Le europee saranno un po’ il banco di prova per le elezioni generali che ci saranno in autunno e PiS inizia a sentire la pressione: «Il risultato delle elezioni è in pericolo», ha detto durante un’intervista radiofonica Adam Bielan, vice presidente del Senato e candidato al Parlamento europeo, «non siamo certi della vittoria». L’affluenza alle europee in Polonia non è mai molto alta: nel 2014 solo il 23,8 per cento degli elettori andò a votare, ma un nuovo sondaggio del giornale Rzeczpospolita dice che questa volta almeno il 55 per cento degli aventi diritto ha intenzione di partecipare. In realtà secondo gli ultimi sondaggi PiS ha ancora quattro punti di vantaggio sulla Coalizione Europea, il raggruppamento dei principali partiti di opposizione.