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  • Domenica 12 maggio 2019

Come sta andando il governo di destra in Austria

Ha il consenso degli elettori, sembra, ma anche molti problemi: per esempio che i paesi stranieri non si fidano più della sua intelligence

Sebastian Kurz e Heinz-Christian Strache, Vienna, 18 dicembre 2017 (AP Photo/Ronald Zak)
Sebastian Kurz e Heinz-Christian Strache, Vienna, 18 dicembre 2017 (AP Photo/Ronald Zak)

Dalla fine del 2017 l’Austria è governata da una coalizione formata dal Partito Popolare (ÖVP, centrodestra) del cancelliere Sebastian Kurz e dal Partito della Libertà (FPÖ) , un partito di estrema destra guidato da Heinz-Christian Strache che è riuscito a ottenere sei ministeri su dieci, tra cui quello dell’Interno e della Difesa, controllando così polizia, esercito e servizi segreti.

Dopo circa un anno e mezzo di governo, la relazione tra i due partiti continua a funzionare: Kurz ha decisamente spostato a destra la linea del suo partito, dicendo e facendo molte cose simili a quelle di Strache ma in un modo considerato socialmente più accettabile, e riuscendo – come ha scritto Time qualche tempo fa – «a rendere mainstream l’estrema destra»: di fatto, sdoganandola e normalizzandola. «Sebastian Kurz e Heinz-Christian Strache sono riusciti a stabilire un rapporto professionale e personale basato sulla fiducia e una stretta collaborazione», ha spiegato il portavoce del governo austriaco. Questa sinergia, insieme a una serie di leggi che vanno nella direzione della “preferenza nazionale”, sembra piacere agli elettori, che continuano ad avere una buona opinione del governo in carica (come dimostrano i sondaggi sul consenso e quelli in vista delle prossime elezioni europee).

Tra le riforme che hanno contraddistinto il governo di Kurz, in accordo con l’estrema destra, c’è innanzitutto l’introduzione della flessibilità nell’orario di lavoro: i datori di lavoro possono ora chiedere ai dipendenti di lavorare 12 ore consecutive (e 60 ore a settimana) senza doverne giustificare la ragione e, soprattutto, senza consenso sindacale. La proposta, voluta per migliorare la competitività internazionale delle imprese austriache, ha causato alcuni giorni di protesta da parte di lavoratori e sindacati, ma ha rafforzato il sostegno del mondo delle imprese al governo. La sua impopolarità tra i lavoratori è stata però bilanciata da altre proposte, per esempio un provvedimento a favore delle famiglie con figli. Il sussidio spetta anche ai lavoratori stranieri ma con un importo minore, nonostante il fondo da cui vengono presi gli aiuti sia alimentato allo stesso modo da tutti i lavoratori, stranieri o no.

Il governo ha poi introdotto una serie di riforme in materia fiscale: per esempio tagliando le imposte sui contratti di affitto e sul reddito nel settore turistico, introducendo agevolazioni contributive e annunciando una grande riforma che dovrebbe portare nuovi sgravi fiscali. Infine, ha riformato il sussidio previsto per integrare il reddito di chi guadagna molto poco o niente, che si chiama “Mindestsicherung” (sicurezza minima): è stato stabilito che l’importo intero vada solamente a chi può dimostrare una buona conoscenza del tedesco, altrimenti viene tagliato di circa 300 euro. La modifica è stata naturalmente pensata contro gli immigrati, a cui si vuole ridurre il beneficio. In generale i dati dei conti pubblici austriaci sono buoni, così come quelli sulla disoccupazione: sebbene la crescita dovrebbe ridursi al 2 per cento nel 2019, si manterrà comunque ben al di sopra della media UE (1,3 per cento).

Per ora il governo sembra funzionare anche sull’altro grande tema che tiene insieme la coalizione: l’immigrazione, a cui gli elettori austriaci sono molto sensibili. L’Austria è uno tra i paesi d’Europa in cui sono state presentate più richieste di asilo, e l’8 per cento della popolazione è musulmana. I dati dicono anche che un terzo degli austriaci non vorrebbe avere un musulmano come vicino di casa e negli ultimi anni, come hanno poi dimostrato i risultati delle elezioni, è cresciuto il sostegno ai movimenti e ai partiti xenofobi. Il governo ha dunque approvato una serie di provvedimenti che prevedono rimpatri più rapidi, meno spese per i richiedenti asilo e maggiori controlli alle frontiere. Il Partito della Libertà ha anche proposto una paga oraria di solo un euro e mezzo per i rifugiati e il ministro dell’Interno Herbert Kickl vuole autorizzare la polizia, senza passare da un magistrato, a procedere con una “Sicherungshaft” (“reclusione di sicurezza”) nei confronti degli stranieri ritenuti genericamente pericolosi (la proposta, secondo un recente sondaggio, è piaciuta al 69 per cento degli intervistati).

Kurz ha portato un movimento fondato da neonazisti in una posizione di grande potere, mostrandosi piuttosto abile nel continuare a dichiararsi apertamente filoeuropeo per evitare le critiche della comunità internazionale, ma continuando a parlare di identità, Islam e immigrazione. Alcuni lo hanno soprannominato il “Trump delle Alpi”, ma a differenza di altri personaggi dell’estrema destra in Europa, come Salvini o Le Pen, Kurz disdegna il confronto con la sua controparte statunitense. Quando gli è stato detto che la sua bibita preferita era la stessa di Trump, lui sorridendo ha risposto: «Forse dovrei cambiare». Sono invece molto vivaci le sue relazioni con la Russia, come dimostrano i frequenti incontri con Vladimir Putin, che ha anche partecipato al matrimonio della ministra degli Esteri austriaca, Karin Kneissl, nell’agosto del 2018.

«A Kurz piace definirsi un costruttore di ponti. Ma un ponte per cosa? Abbiamo bisogno di un ponte per i neofascisti?», ha dettoTime Florian Klenk, un influente editore austriaco. Secondo molti osservatori, è tardi per queste preoccupazioni. Rispondendo alla domanda se Kurz avesse fatto qualcosa per frenare il Partito della Libertà, il suo segretario generale, Christian Hafenecker, ha detto: «Nessuno può controllare il Partito della Libertà». Wolfgang Sobotka, politico molto influente del partito di Kurz: «Non entri in una coalizione per cambiare i tuoi partner. Non siamo pedagoghi».

Intorno a questa situazione ci sono molte preoccupazioni. Durante la presentazione della sua autobiografia, a fine aprile, Reinhold Mitterlehner, ex vice cancelliere ed ex capo di ÖVP, ha detto: «Siamo su una via problematica che porta da una democrazia liberale a una democrazia autoritaria». Ha parlato di politiche «disumane e ciniche», di mancanza di rispetto per l’indipendenza della magistratura, per i media e per la democrazia parlamentare: «È preoccupante che tutti guardino in silenzio». Mitterlehner ha precisato che il forte sostegno di cui gode il governo non è una misura della sua qualità. Finora la sua critica  è stata la più forte e importante tra quelle provenienti dall’interno del paese contro la coalizione di governo.

Negli anni Novanta i leader del Partito della Libertà avevano difeso i gerarchi delle SS definendoli «uomini di carattere», e avevano elogiato Adolf Hitler per le sue politiche sul lavoro giudicandole «ordinate» (erano basate sulla schiavitù). Da allora, quel che è cambiato è che sono al governo: non ci sono state svolte “moderate”. Qualche settimana fa un esponente dell’FPÖ ha scritto una poesia sui migranti intitolata Il ratto di città, in cui paragona gli immigrati che vivono in Austria ai topi e intima loro di integrarsi o andarsene. Intorno e dentro il partito si muove poi tutta una galassia estremista di confraternite e movimenti neonazisti. In Austria le confraternite (Burschenschaften) sono nate nell’Ottocento nelle principali città universitarie e negli anni dell’occupazione nazista dell’Austria sono state fuse con le associazioni giovanili naziste. Da allora non hanno mai abbandonato una certa retorica nazionalista e sciovinista, che nei casi più estremi sfocia nell’antisemitismo e nel rifiuto della democrazia. Nel suo libro più recente sulle confraternite, il giornalista austriaco Hans-Henning Scharsach ha scritto che alcune di loro includono ancora degli ex nazisti nel proprio elenco dei membri onorari.

Fra i 51 parlamentari dell’FPÖ, circa un terzo fa parte di una confraternita. Nel gennaio del 2018 si scoprì che un candidato molto influente del Partito della Libertà era membro di Germania zu Wiener Neustadt, il cui il canzoniere conteneva testi nazisti («date gas, vecchi tedeschi, raggiungeremo sette milioni», con riferimento ai 6 milioni di ebrei uccisi dai nazisti nell’Olocausto). Poi c’è il movimento Identitäre Bewegung Österreich, il cui leader, un militante neonazista, ha ricevuto una donazione dall’attentatore di Christchurch, che ha ucciso decine di persone musulmane. L’ultima proposta dell’FPÖ è difendere «l’identità austriaca dall’invasione degli immigrati neri e islamici» con un piano a favore della natalità. Come le altre destre europee, i politici dell’FPÖ parlano di «sostituzione etnica» e di “sostegno alle famiglie” per giustificare politiche razziste e antifemministe. Kurz, che di solito evita di criticare in pubblico i suoi alleati, in tutte queste occasioni ha chiesto una presa di distanza formale dal linguaggio o dai movimenti neonazisti.

Un intervento più incisivo ha riguardato il controllo dei servizi segreti. L’ufficio per la sicurezza interna, il controspionaggio e il servizio informazioni dell’esercito, che fanno capo al ministero degli Interni e a quello della Difesa, sono controllati entrambi da ministri dell’FPÖ, secondo molti esperti in modo ben calcolato. Kurz ha deciso che queste agenzie dovranno riferire anche a lui. Il New York Times ha raccontato in un dettagliato articolo perché si è arrivati a questo punto: l’FPÖ ha usato la sua attuale posizione di potere per sapere chi sono gli informatori che hanno lavorato in questi anni con le unità anti-estremismo di quegli stessi ministeri che ora guidano.

“Meglio di chiunque altro”, ha scritto il New York Times, “Sybille Geissler conosce le minacce degli estremisti della destra radicale austriaca (…). Per più di 12 anni ha guidato l’unità anti-estremismo del servizio di intelligence nazionale, e recentemente ha testimoniato in un’indagine parlamentare su come l’estrema destra stesse cercando di minare la sua agenzia. La sua più grande sfida di questi giorni (…) è che l’estrema destra fa parte del suo stesso governo». Poco dopo che il Partito della Libertà era entrato nella coalizione di governo, infatti, il ministero dell’Interno aveva chiesto a Geissler e al suo capo di consegnare i nomi degli informatori che si erano infiltrati nella galassia dell’estrema destra. Geissler si era rifiutata e poche settimane dopo la polizia armata aveva fatto irruzione nei suoi uffici, sequestrando anni di archivi relativi alla politica nazionale, ma anche quelli che contenevano informazioni sui e dei servizi segreti dei paesi alleati.

Oggi all’interno dell’agenzia ci si trova a dover proteggere informatori e informazioni non solo dai paesi ostili, ma dai membri del proprio stesso governo; con la conseguenza che gli altri paesi sono molto meno propensi a condividere informazioni riservate con il governo austriaco. «Quello che si vede in Austria è quello che abbiamo visto in diversi angoli d’Europa: un assalto alle istituzioni indipendenti, alla separazione dei poteri e allo stato di diritto», ha detto al New York Times Yascha Mounk, esperta di populismo: «Il Partito della Libertà crede chiaramente che l’apparato di sicurezza debba servire alla propria visione del mondo, e questo è pericoloso».

Alcuni funzionari dell’intelligence austriaca hanno dichiarato che la ricaduta di quanto accaduto si è già fatta sentire. In diverse occasioni l’Austria e i suoi servizi segreti si sono trovati isolati dagli altri paesi, e sono stati esclusi esplicitamente da diversi incontri. Lo scorso luglio, per esempio, l’Austria è stata esclusa da un’operazione di rintracciamento a livello europeo nei confronti di un diplomatico russo sospettato di essere una spia. I servizi finlandesi avevano inviato una nota agli omologhi di altri paesi, scrivendo: “Tranne l’Austria”. «Il Partito della Libertà sta mettendo a repentaglio l’integrità dei servizi di sicurezza nazionale e quindi la sicurezza della Repubblica», ha detto Stephanie Krisper, parlamentare di un partito all’opposizione.

Nelle ultime settimane critiche molto precise al governo sono arrivate anche dalla Banca centrale austriaca, che lo ha accusato di voler indebolire la sua indipendenza finanziaria. Kurz ha annunciato una riforma della vigilanza bancaria in Austria per rendere più snella la sua struttura e, sostanzialmente, risparmiare. La Banca centrale, tuttavia, ha affermato che il piano renderebbe la supervisione bancaria più complicata, costosa e meno efficace.