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  • Lunedì 25 febbraio 2019

May ha rimandato l’ultimo voto su Brexit

Avrebbe dovuto essere questa settimana, ma May ha deciso di prendere più tempo per negoziare con l'Unione Europea (e c'è poco tempo)

La prima ministra del Regno Unito, Theresa May, arriva a Sharm El Sheikh, in Egitto, per il primo summit tra Unione Europea e leader arabi. (Dan Kitwood/Getty Images)
La prima ministra del Regno Unito, Theresa May, arriva a Sharm El Sheikh, in Egitto, per il primo summit tra Unione Europea e leader arabi. (Dan Kitwood/Getty Images)

La prima ministra del Regno Unito, Theresa May, ha rimandato l’ultimo voto del parlamento britannico su Brexit, che avrebbe dovuto tenersi questa settimana. May ha detto che il Parlamento britannico voterà l’accordo su Brexit entro il 12 marzo, quando mancheranno meno di venti giorni dall’uscita formale del paese dal resto dell’Unione Europea, e che lei userà il tempo guadagnato per provare a ottenere dall’Unione Europea migliori condizioni. Al momento May si trova a Sharm El-Sheikh, in Egitto, per un summit tra i leader dell’Unione Europea e quelli della Lega Araba.

May ha detto ai giornalisti che il suo team «tornerà a Bruxelles giovedì» per trattare e che per questo motivo il Parlamento non potrà votare questa settimana come previsto. May ha detto che «ci assicureremo che il voto avvenga entro il 12 marzo» e che «siamo ancora in tempo per lasciare l’Unione Europea il 29 marzo ed è quello che abbiamo intenzione di fare». Secondo i critici della prima ministra il suo piano è quello di temporeggiare fino a che i parlamentari britannici non avranno più di fatto un’alternativa ad approvare l’accordo da lei negoziato con la UE per evitare il cosiddetto “no deal“, cioè un’uscita dall’Unione senza accordo.

A fine gennaio il Parlamento aveva bocciato nuovamente l’accordo su Brexit raggiunto dal governo britannico e dall’Unione Europea, e May era stata costretta a tornare a Bruxelles per provare a rinegoziare alcuni dei punti più contestati del suo accordo. In particolare May sta cercando di rinegoziare il cosiddetto “backstop”, cioè quel meccanismo che entrerà in vigore alla fine del 2020 (o più avanti, se venisse deciso diversamente) nel caso in cui Regno Unito e UE non troveranno un accordo complessivo sui loro rapporti post-Brexit che garantisca l’esistenza di un confine non rigido tra Irlanda (paese membro dell’UE) e Irlanda del Nord (regione del Regno Unito).

La posizione di May è particolarmente complicata anche a causa delle divisioni all’interno del Partito Conservatore e all’interno del suo governo. Una parte del suo partito sostiene infatti che uscire dall’Unione Europea senza un accordo – no deal – sia meglio che uscire con l’accordo negoziato da May, mentre molti altri sono spaventati dalla possibilità del no deal, che secondo molti esperti potrebbe avere effetti disastrosi sull’economia britannica. Tre ministri del governo May – Amber Rudd, David Gauke e Greg Clark – hanno diffuso sabato una nota congiunta dicendo di essere pronti a sostenere l’estensione delle trattative con l’Unione Europea, rimandando quindi la data di Brexit pur di evitare il no deal. I tre ministri hanno detto che sono pronti a votare un emendamento proposto dai Laburisti che costringerebbe il governo a chiedere un’estensione dei negoziati se a metà marzo non sarà stato ancora approvato un accordo. Il voto è previsto per mercoledì e l’emendamento, con i voti di una parte dei Conservatori, potrebbe essere approvato.

Della possibilità di estendere i negoziati si parla da diversi mesi, anche se May ha sempre detto di voler arrivare a una soluzione per Brexit entro il 29 marzo. Dopo la nota dei tre ministri britannici, diversi giornali hanno però scritto che l’Unione Europea starebbe considerando la possibilità di offrire al Regno Unito un’estensione del periodo di negoziati molto più lunga di quella di tre mesi di cui si parla da tempo. Questa ipotesi – si parla di un’estensione dei negoziati fino al 2021 – potrebbe di fatto aiutare May a fare approvare l’accordo dal parlamento: costringerebbe anche i suoi più duri oppositori dentro al partito a votarlo per evitare di rimandare Brexit e rischiare che possa fallire.