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  • Mercoledì 9 gennaio 2019

La distribuzione dei migranti tra i paesi europei avviene davvero?

Il ministro Salvini dice di no, ed è vero: gli accordi ad hoc – come quello che ha risolto la crisi delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye – funzionano poco e male

Migranti dalla Repubblica Democratica del Congo a bordo della nave Sea Watch 3, 9 gennaio
(FEDERICO SCOPPA/AFP/Getty Images)
Migranti dalla Repubblica Democratica del Congo a bordo della nave Sea Watch 3, 9 gennaio (FEDERICO SCOPPA/AFP/Getty Images)

Mercoledì si è risolta l’ultima grave crisi nel Mediterraneo, che per giorni ha coinvolto le navi Sea Watch 3 e Sea Eye, con a bordo rispettivamente 32 e 17 persone salvate al largo della Libia più di due settimane fa. La soluzione è stata trovata grazie a un accordo tra diversi paesi europei, tra cui l’Italia, che si sono impegnati ad accogliere i migranti una volta sbarcati a Malta. I migranti a bordo di Sea Watch 3, che si trovavano in mare da 19 giorni, hanno festeggiato la notizia con grande gioia, e molti politici e attivisti hanno espresso soddisfazione per l’accordo trovato. Ma davvero tutte queste persone, una volta sbarcate a Malta, arriveranno in un tempo ragionevole nei paesi che si sono impegnati ad accoglierle? Stando ai precedenti, la risposta è: molto probabilmente no.

La questione è stata sollevata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini poco dopo l’annuncio dell’accordo trovato tra i diversi paesi europei, e negoziato per l’Italia dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Salvini, che rappresenta l’ala più dura del governo italiano sul tema dell’immigrazione, ha twittato alcuni dati non diffusi in precedenza che riguardano il cosiddetto processo di “ricollocamento” (o “ricollocazione”) dei migranti. Salvini si è riferito in particolare a due sbarchi: quello delle navi “Protector” (dell’agenzia Frontex) e “Monte Sperone” (della Guardia di Finanza) a Pozzallo il 16 luglio 2018; e quello della nave Diciotti (Guardia costiera italiana) a Catania il 26 agosto 2018. In entrambi i casi, ha detto Salvini, gli altri paesi europei non hanno rispettato gli accordi e non hanno accolto i migranti che avevano promesso di accogliere.

Per capire cosa s’intende con il termine “ricollocamento” usato da Salvini nel suo tweet c’è da fare però un passo indietro.

Il “ricollocamento” di questi giorni è una cosa diversa dalla “relocation”, cioè quel meccanismo adottato dall’Unione Europea tra il 2015 e il 2017 che prevedeva una redistribuzione dei migranti tra paesi membri sulla base di quote prestabilite. La “relocation” doveva servire per alleggerire la pressione degli sbarchi su Italia e Grecia, che allora erano i due principali paesi di entrata dei migranti nell’Unione Europea, ma funzionò poco e male: alcuni paesi dell’Europa orientale non accettarono i trasferimenti e molti altri governi accolsero meno persone di quanto avessero inizialmente accettato.

Il “ricollocamento” di cui parla Salvini è una cosa diversa: è frutto degli accordi ad hoc raggiunti tra diversi paesi europei per trovare di volta in volta una soluzione alle navi militari, commerciali e delle ong costrette a navigare per giorni senza avere un porto sicuro dove attraccare. Sono accordi politici che rispondono a situazioni di emergenza, vengono conclusi al di fuori di meccanismi e regole prestabilite e hanno condizioni che vengono imposte direttamente dai paesi che decidono di parteciparvi. I primi accordi di questo tipo cominciarono a essere raggiunti nell’estate 2018, quando le politiche anti-immigrazione del governo Lega-M5S – con i porti chiusi alle ong, per esempio – cambiarono il modo di soccorrere i migranti nel Mediterraneo. Da allora risolvere le crisi con accordi ad hoc è diventata quasi la norma (oltre ai casi già citati, ci sono stati per esempio quelli della nave Lifeline, nel giugno 2018, e dell’Aquarius, nell’agosto dello stesso anno).

Secondo i dati diffusi da Salvini, provenienti probabilmente dal ministero dell’Interno italiano, i migranti degli sbarchi di Pozzallo e di Catania “ricollocati” in altri paesi europei furono molti meno rispetto a quelli inizialmente previsti dai rispettivi accordi ad hoc. Nel caso dello sbarco di Pozzallo, nel luglio 2018, dovevano essere “ricollocati” 270 migranti, ma i trasferimenti effettuati furono solo 129: solo la Francia – paese con cui peraltro l’Italia litiga da tempo sull’immigrazione – accolse tutti quelli che aveva promesso; la Germania ne accolse poco meno della metà e molto peggio fecero Portogallo e Malta.

In realtà la situazione è più complessa di come la descrive Salvini, che citando i dati dello sbarco a Pozzallo ha omesso un importante dettaglio, chiarito giovedì da Malta. Il governo maltese ha specificato che i rappresentanti dei due paesi si erano accordati affinché non avvenisse il trasferimento dei migranti, perché poco prima dello sbarco di Pozzallo c’era stato un altro sbarco, questa volta a Malta, e l’Italia era stata uno dei paesi a impegnarsi ad accogliere parte delle persone a bordo della nave, la Lifeline. Considerato che entrambi i governi si erano resi disponibili ad accogliere rispettivamente 50 migranti, i due paesi avevano deciso di “annullare” le rispettive promesse, per evitare che i migranti coinvolti fossero costretti a un altro faticoso trasferimento dopo avere già attraversato il Mediterraneo.

Nel caso dello sbarco dei migranti a Catania, nell’agosto 2018, i paesi che si impegnarono nell’accoglienza furono Irlanda e Albania. Salvini ha scritto che solo l’Irlanda ne accolse 16, mentre gli altri restarono in Italia. Come ha scritto Lorenzo Bagnoli sul Fatto, la partecipazione dell’Albania nell’accordo creò ulteriore confusione. L’Albania non è un paese membro dell’Unione Europea, e dal punto di vista giuridico ogni migrante trasferito in territorio albanese avrebbe dovuto accettare di uscire dall’UE, altrimenti si sarebbe violato il “principio di non respingimento”: un meccanismo molto complicato che infatti non ebbe alcun esito.

Matteo Villa, esperto di immigrazione all’ISPI (Istituto italiano per la politica internazionale), ha detto al Post che il problema principale dei mancati “ricollocamenti” dei migranti soccorsi nel Mediterraneo è di tipo politico, al di là di tutte le difficoltà burocratiche che queste operazioni potrebbero comportare. C’è anche da considerare il fatto che in diversi casi i paesi che avevano deciso di partecipare agli accordi di “ricollocamento” hanno preteso controlli preventivi sui migranti da accogliere e hanno detto che avrebbero fatto entrare nei loro territori solo le persone più vulnerabili; in altre parole, hanno ristretto ancora di più le possibilità di completare con successo i ricollocamenti.

Secondo diversi esperti, una situazione di questo tipo potrebbe essere risolta solo con una riforma più ampia del regolamento di Dublino, il collo di bottiglia legislativo che oggi trattiene decine di migliaia di richiedenti asilo in Italia: questa riforma però è fallita anche per l’opposizione dell’Italia.