La ragazza che scriveva le lettere di Obama

La storia di Kolbie Blume, che a 22 anni divenne la responsabile delle risposte inviate a chi scriveva al presidente

(AP Photo)
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Quand’era presidente degli Stati Uniti, Barack Obama riceveva ogni giorno circa diecimila lettere. Tutte ottenevano come minimo una risposta standard, e com’è facile immaginare questa risposta di regola non era scritta direttamente da lui, ma da un ufficio apposito: l’Office of Presidential Correspondence (OPC). L’ufficio era composto da nove persone, coordinate da Fiona Reeves, che lavoravano all’ultimo piano dell’Eisenhower Executive Office Building, un edificio a otto minuti a piedi dalla Casa Bianca. Ogni giorno dieci lettere, tra tutte quelle arrivate, venivano selezionate e inviate al presidente Obama perché le leggesse – fu lui a chiedere di iniziare questa tradizione, per avere il polso della nazione – e decidesse se inviare una risposta personalizzata. A quel punto le lettere finivano sulla scrivania di Kolbie Blume, che dall’agosto del 2015 fino alla fine del secondo mandato di Obama, nel gennaio 2017, è stata la Responsabile della scrittura della corrispondenza.

Blume era, in breve, la persona che rispondeva al posto di Obama alle lettere che le persone gli mandavano, come ha raccontato sull’Atlantic la giornalista Rachael Allen. Blume è cresciuta a Salt Lake City, nello Utah, e ha studiato Letteratura al college. Nel 2008 sentì parlare Obama e restò affascinata da come usava le parole per incoraggiare le persone. Nel 2014 ottenne un posto da stagista nell’OPC e prima ancora di laurearsi si trasferì a Washington DC e iniziò a lavorare più di 40 ore a settimana. Cominciò scrivendo la bozza di qualche risposta ma la sua bravura la fece nominare Responsabile della posta standard, una carica inventata apposta per lei: aveva 22 anni. Può sorprendere che un incarico così importante fosse affidato a una persona poco più che ventenne, ma non era una novità nell’amministrazione Obama, che aveva sempre coinvolto e dato responsabilità ai più giovani.

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Il lavoro di Blume è raccontato anche dalla giornalista americana Jeanne Marie Laskas nel suo nuovo libro To Obama: With Love, Joy, Anger, and Hope, che uscirà negli Stati Uniti a metà settembre e parla dei presidenti statunitensi e della loro corrispondenza. George Washington, per esempio, rispondeva personalmente a cinque lettere ogni giorno; William McKinley fu il primo a istituire un ufficio apposito, viste le cento lettere che riceveva quotidianamente, allora una quantità enorme dovuta ai progressi delle ferrovie, dei battelli a vapore e delle poste; Franklin D. Roosevelt se ne vide arrivare mezzo milione la prima settimana in cui parlò alla radio. Da allora la quantità è rimasta più o meno stabile, è cambiato soltanto l’approccio di ogni presidente: Richard Nixon non voleva leggere lettere critiche, Ronald Reagan rispondeva nei weekend e George W. Bush leggeva quelle che già avevano ottenuto risposta. Obama ampliò l’Ufficio per la corrispondenza e si impegnò a leggere ogni sera dieci lettere, per restare in contatto con le opinioni dei cittadini. L’attuale amministrazione Trump finora non ha dato informazioni sulle preferenze del presidente e sul funzionamento del suo OPC.

Le dieci lettere di Obama erano selezionate da membri dell’ufficio, stagisti e volontari, seguendo una procedura complicata. Ne selezionavano innanzitutto circa 200, il due per cento delle 10mila che arrivavano ogni giorno; quelle che si riferivano a un ministero o un ufficio federale venivano inviate al relativo ufficio, le altre erano riviste da squadre tematiche dedicate per esempio all’infanzia, ai temi più sensibili, a situazioni pericolose o agli auguri. A quel punto inviavano una delle cento e più risposte standard, redatte e aggiornate da ogni squadra. Le 200 lettere selezionate per un’eventuale risposta erano intanto arrivate a Fiona Reeves, che ne avrebbe selezionate dieci tra le più rappresentative dell’umore della nazione. Le lettere erano infilate in una cartella viola e inserite insieme nel raccoglitore che Obama portava ogni sera con sé nella Treaty Room, il suo studiolo nella Casa Bianca. In qualche caso Obama rispondeva personalmente a mano, ma la maggior parte delle volte sottolineava qualcosa, lasciava commenti o segni di punteggiatura ai margini e poi scriveva un “Rispondi” sulle buste e le rimandava all’Ufficio per la corrispondenza, dove erano quasi sempre affidate a Blume.

Blume non aveva mai incontrato il presidente, ma il suo compito era esserne in qualche modo la voce scrivendo una lettera che ne ricostruisse il tono (ispirandosi ai testi dei suoi libri, delle sue lettere e dei suoi discorsi) e lo spirito. Allen racconta che «leggeva ogni lettera più volte prima di aprire un documento Word sul computer e buttare giù una bozza. […] Che cosa avrebbe detto il presidente?». Una volta terminata, la risposta veniva inviata a Reeves per essere rivista, poi mandata alle stampe, poi di nuovo a Reeves per un ultimo controllo e infine a Obama, perché la firmasse. Blume ha conosciuto il presidente soltanto alla fine del suo secondo mandato, quando si fece fotografare nello Studio Obama con ogni singolo dipendente dello staff e la sua famiglia.

Da quando ha lasciato la Casa Bianca, Blume lavora a tempo pieno nella comunicazione di un’organizzazione non profit a Washington DC. Ha un account Instagram con quasi 80 mila follower, dove pubblica soprattutto fotografie dei suoi lavori di calligrafia e dei suoi acquerelli, che vende online.

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