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  • Domenica 2 settembre 2018

Lo Stato Islamico non è più uno “Stato”

Dopo avere perso il controllo di quasi tutti i suoi territori, l'ISIS si è trasformato più rapidamente di quanto analisti ed esperti si aspettavano

Decine di uomini sospettati di essere miliziani dell'ISIS in un cella a Mosul, in Iraq (Andrea DiCenzo/picture-alliance/dpa/AP Images
Decine di uomini sospettati di essere miliziani dell'ISIS in un cella a Mosul, in Iraq (Andrea DiCenzo/picture-alliance/dpa/AP Images

Lo Stato Islamico (o ISIS) ha iniziato a farsi vedere di nuovo in alcune aree centrali dell’Iraq, sette mesi dopo che il governo iracheno aveva annunciato la sua completa sconfitta.

Nelle ultime settimane, nella zona compresa tra la capitale Baghdad e la città di Kirkuk, a nord del paese, ci sono stati rapimenti, omicidi e attacchi terroristici che hanno ricordato le tattiche usate dall’ISIS prima del 2014, cioè prima della nascita del Califfato Islamico. Come avevano previsto diversi analisti mesi fa, l’ISIS ha smesso di essere uno “Stato” e si è trasformato in qualcosa di diverso, molto più simile a una rete clandestina di gruppi estremisti e jihadisti che combattono usando tecniche terroristiche e di insurgency. Come ha detto l’analista Hisham al Hashimi al Washington Post, però, la cosa inaspettata è che il ritorno dello Stato Islamico sia stato molto più rapido di quello che ci si aspettava, e quindi molto più pericoloso.

Nelle ultime settimane l’ISIS ha compiuto attacchi soprattutto nelle zone dove il governo fatica a imporre il proprio controllo, e in particolare nel triangolo di territori che si estende tra le province di Diyala, Kirkuk e Salahuddin. Decine di persone, tra cui funzionari governativi locali e capi villaggi, sono stati sequestrati e uccisi da combattenti affiliati allo Stato Islamico. Diverse infrastrutture che portano l’elettricità nelle case e alcuni oleodotti sono stati fatti esplodere, e uomini travestiti da agenti di polizia hanno messo in piedi finti checkpoint per sequestrare camion e minacciare le persone che transitavano per l’autostrada tra Baghdad e Kirkuk, una delle principali dell’Iraq. Il Washington Post ha raccontato che il traffico tra le due città irachene si è ridotto in maniera considerevole, mentre sono aumentate le prenotazioni per i voli aerei, considerati molto più sicuri.

La situazione attuale in Iraq e in Siria: l’ISIS, indicato con il grigio scuro, controlla ancora due aree vicino al confine tra Iraq e Siria, ma rispetto a due anni fa ha perso più del 90 per cento dei suoi territori. In rosso sono indicate le forze governative siriane e i suoi alleati, e le forze irachene; in giallo i curdi, in verde i ribelli (Liveuamap)

Come già successo in passato, l’ISIS sta sfruttando la debolezza del governo iracheno per riprendere forza, dopo essere stato quasi completamente sconfitto dall’esercito e dalle milizie sciite sue alleate.

Secondo l’analista Hisham al Hashimi, «il governo iracheno ha fatto un buon lavoro dal punto di vista militare, ma non è riuscito a fare altrettanto nel portare stabilità» alle aree liberate, di fatto lasciandole in balìa dell’ISIS. Le difficoltà sono molte: i combattimenti degli ultimi anni hanno costretto decine di migliaia di persone a lasciare le loro case, e molte di loro non sono ancora tornate. Intere città sono state distrutte e sono rimaste praticamente senza popolazione, diventando un ambiente fertile per i miliziani dell’ISIS desiderosi di riorganizzarsi. C’è poi da considerare che l’attuale situazione politica dell’Iraq è piuttosto instabile. Le ultime elezioni, tenute a maggio, non hanno portato a nessuna chiara maggioranza e i partiti politici stanno ancora negoziando per cercare di formare un governo; nel frattempo ci sono state accuse di brogli e nelle province a maggioranza sciita del sud del paese si sono tenute manifestazioni anti-governative.

Il parziale ritorno dell’ISIS è stato raccontato anche da due documenti diffusi di recente, uno dell’ONU e l’altro del dipartimento della Difesa statunitense. Entrambi i rapporti hanno contraddetto quanto sostenuto in precedenza dall’amministrazione Trump e dal governo iracheno, cioè che la maggior parte dei combattenti dell’ISIS sia stata eliminata. I rapporti sostengono che lo Stato Islamico possa contare ancora su 20 o 30mila miliziani in Iraq e in Siria, tra cui «migliaia di terroristi stranieri». Le ultime indicazioni hanno contribuito a far cambiare idea all’amministrazione Trump, che fino a pochi mesi fa voleva il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria: «Rimaniamo in Siria», ha detto lo scorso 17 agosto Brett McGurk, l’inviato speciale del presidente americano per la coalizione che sta combattendo l’ISIS.

Per il momento, comunque, gli attacchi dell’ISIS vanno guardati con cautela: il fatto che i miliziani del gruppo riescano a danneggiare infrastrutture e rapire funzionari locali in aree fuori dal controllo del governo iracheno non significa che l’ISIS stia tornando quello che era. C’è inoltre da considerare che non è facile contare i miliziani dell’ISIS ancora operativi: le stime di analisti e agenzie governative differiscono molto tra loro a seconda che si considerino solo i combattenti al fronte o anche tutti coloro che in una maniera o nell’altra contribuirono a tenere in piedi le attività del Califfato. Di certo c’è che l’ISIS non ha mai smesso di aspirare ad essere la principale organizzazione terroristica del mondo, come dimostrato anche dal messaggio audio del suo leader, Abu Bakr al Baghdadi, del 22 agosto scorso.