Le locandine di Bill Gold

È morto il 20 maggio, a 97 anni, e ha disegnato alcune delle migliori della storia del cinema

Bill Gold, morto il 20 maggio a 97 anni, è stato un designer e illustratore: come scrisse nel 2010 Mekado Murphy sul New York Times, «se siete andati al cinema negli ultimi settant’anni ci sono buone possibilità che una parte del merito sia sua». Gold è infatti considerato uno dei migliori ideatori e illustratori di locandine per film: iniziò a farle negli anni Quaranta ed è andato avanti fino al 2011, quando fece quella di J. Edgar, il film di Clint Eastwood in cui Leonardo DiCaprio è J. Edgar Hoover.

Gold ha disegnato almeno duemila locandine, comprese quelle di Casablanca, L’esorcista, Un tram che si chiama Desiderio, Barbarella, Hair, Gangster Story, Arancia Meccanica e Alien. Ha collaborato con alcuni dei più grandi registi di sempre (Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick e Federico Fellini) ma è particolarmente noto il suo rapporto con Clint Eastwood: ha fatto le locandine di almeno 30 film da lui diretti o interpretati.

Nel 2010 Gold disse al New York Times di essere in grado di «capire per istinto come deve essere la locandina di un film», e che iniziò a farle dopo aver notato che le altre erano tutte troppo simili e banali: «Mostravano le facce di tre attori, e nulla più; io non volevo fare così, volevo una storia». Per gran parte della sua carriera Gold lavorò a mano, realizzando spesso le locandine solo leggendo la sceneggiatura e sapendo gli attori, ma senza aver prima visto il film. Al tempo era sufficiente incuriosire lo spettatore, e alle locandine non veniva chiesto di dire granché sul genere o la trama del film: la locandina di Gold per L’Esorcista potrebbe non essere per un film horror, quella di Alien nemmeno lo mostra, l’alieno.

Della locandina di Casablanca – una delle prime che disegnò, e ancora una delle più note – Gold disse di aver scelto di mettere tante facce di attori perché erano tutti troppo importanti e imprescindibili, ma che cercò di non far capire, dallo sguardo di Ingrid Bergman, che era protagonista di una storia d’amore. Disse che cercò di rappresentarla spaventata e piena di rimpianti, non innamorata. Raccontò anche che la pistola in mano a Humphrey Bogart la aggiunse su richiesta della casa di produzione, che voleva un po’ di pathos in più.