Il PD decide cosa fare

L'assemblea nazionale del partito dovrà decidere se nominare un nuovo segretario oppure indire immediatamente un congresso, l'esito non è scontato

L'assemblea nazionale del PD nel 2009. (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)
L'assemblea nazionale del PD nel 2009. (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Sabato all’hotel Ergife di Roma si riunirà l’assemblea nazionale del PD, uno degli organi più importanti del partito. L’assemblea avrà il compito di decidere come gestire le dimissioni del segretario Matteo Renzi dello scorso 5 marzo. Ci sono in sostanza due possibilità: la prima è eleggere un successore di Renzi con pieni poteri, e incaricato di concludere il mandato dell’ex segretario (restando quindi in carica fino al 2021). La seconda è sciogliere tutti gli organi di partito e indire un congresso che, terminando con le primarie, porterà alla scelta di un nuovo segretario (qui avevamo spiegato tutte le procedure). Secondo i giornali i tentativi di trattative e mediazioni per evitare che si arrivi allo scontro diretto tra i sostenitori di queste due alternative sono falliti, e le due parti hanno iniziato a raccogliere le firme a sostegno delle proprie mozioni.

Il PD è attualmente diviso in due campi principali. Quello maggioritario, formato dai sostenitori dell’ex segretario Matteo Renzi, che nonostante la sconfitta del 4 marzo continua a esercitare una forte influenza sul partito, e quello minoritario dei suoi rivali, formato sia da alcuni dei suoi ex alleati, come l’attuale segretario Maurizio Martina e il ministro della Cultura Dario Franceschini, sia dalla minoranza interna che gli si oppone sin dal congresso del 2017 e i cui leader sono il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il presidente della Puglia Michele Emiliano. L’opposizione a Renzi, però, non è unita come lo sono i cosiddetti “renziani” (qui potete trovare la nostra guida con foto a “chi è chi” dentro il PD).

I “renziani” al momento chiedono che l’assemblea nazionale sciolga tutti gli organi del partito e che dia il via al congresso. Se passasse la loro linea, le primarie si svolgerebbero probabilmente all’inizio dell’autunno e a ottobre ci sarebbe il nuovo segretario. Nel frattempo il partito verrebbe guidato dal suo presidente, Matteo Orfini, ritenuto un alleato di Renzi anche se non un vero e proprio “renziano”. Questo significa che in caso di elezioni anticipate Orfini avrebbe buona probabilità di essere incaricato di redigere le liste dei candidati del partito, un ruolo molto importante e ambito (in quel caso però ci saranno probabilmente molte trattative e divisioni su come gestire le candidature, dato che Orfini non avrebbe un mandato particolarmente forte).

Finora Renzi si è dimostrato molto abile a mantenere il controllo del partito nonostante la sconfitta subita il 4 marzo. Fin dal giorno delle sue dimissioni ha imposto come principale tema di dibattito all’interno del PD la possibilità o meno di allearsi con il Movimento 5 Stelle, scegliendo di schierarsi con i contrari all’accordo, invece delle ragioni della sconfitta. Nelle settimane successive è riuscito a far avanzare la sua linea, anche se il segretario Martina e gran parte dell’opposizione interna erano favorevoli almeno a iniziare le trattative con il Movimento 5 Stelle. Renzi ha detto che non intende candidarsi per una terza volta alla segreteria del partito, ma non ha specificato quali siano le sue intenzioni per il futuro.

L’opposizione interna, invece, per il momento si è schierata quasi tutta con il segretario “reggente” Martina, che ha chiesto all’assemblea di eleggerlo formalmente segretario. Martina vorrebbe guidare il partito per un anno attraverso una fase di discussione e confronto che termini con un congresso “rifondativo”, cioè un congresso che non si limiti a nominare un nuovo segretario ma che porti anche a profondi cambiamenti nella struttura del partito. In questo scenario, però, spetterebbe a Martina comporre le liste del partito in caso di elezioni anticipate (e con molti meno ostacoli dal punto di vista regolamentare rispetto a Orfini nell’altro scenario).

Martina desidera essere eletto segretario perché attualmente non è davvero “il segretario del PD”, nonostante sia spesso identificato con questo incarico: è solo il vicesegretario, a cui la direzione nazionale – un altro organo del PD, ma meno importante dell’assemblea – ha affidato l’incarico di gestire il partito dopo le dimissioni di Renzi. Il ruolo che sta svolgendo in questi giorni non è codificato dallo statuto e costituisce una sorta di rimedio improvvisato: questo contribuisce a rendere Martina politicamente molto debole. Per questo chiede che domani l’assemblea lo elegga segretario con pieni poteri.

Secondo i giornali – prendete tutto quindi con una certa cautela – venerdì Renzi aveva formulato una proposta di mediazione: Martina non sarebbe stato eletto segretario, ma l’assemblea avrebbe approvato una mozione che gli confermi la fiducia nel “ruolo ambiguo” che ricopre al momento. In cambio il congresso non sarebbe stato convocato subito ma nel corso di una successiva assemblea nazionale da tenersi a giugno. Questa proposta, apparentemente, sarebbe però stata respinta.

Se Martina dovesse insistere per venire eletto segretario dall’assemblea, difficilmente i “renziani” lo lascerebbero fare: con ogni probabilità gli opporranno un loro candidato (sui giornali si parla di Lorenzo Guerini, ex vicesegretario). Questo scenario, in cui le due principali fazioni del PD arrivano allo scontro diretto, è quello che su giornali spesso viene definito “andare alla conta” e che molti considerano la situazione peggiore in cui potrebbe trovarsi il PD.

Il problema, infatti, è che il risultato sarebbe probabilmente molto ravvicinato: non ci sarebbe un chiaro vincitore, ma il partito ne risulterebbe spaccato in due. A oggi, infatti, nessuno ha chiaro chi abbia la maggioranza nell’assemblea nazionale, un organo composto da circa duemila persone elette durante il congresso del 2017. I membri dell’assemblea nazionale sono stati eletti in proporzione ai voti raccolti dai tre candidati segretario. Il 70 per cento circa, quindi, sono stati eletti con Renzi, il 20 con Orlando, il 10 con Emiliano. Nell’anno che è trascorso dalle primarie, però, molte cose sono cambiate all’interno del PD: vecchi alleati di Renzi come Franceschini e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, per esempio, hanno cambiato posizione rendendo difficile interpretare i rapporti di forza all’interno dell’assemblea. Quello che è chiaro è che difficilmente un’eventuale “conta” produrrebbe un risultato netto e, con ogni probabilità, contribuirebbe ad inasprire lo scontro nel partito.