Lo shopping di chi non può farlo nei negozi

Sempre più aziende di abbigliamento cercano di facilitare gli acquisti online delle persone disabili o malate, con screen reader e nuove applicazioni

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

La scorsa settimana Tommy Hilfiger ha messo in vendita, ma solo negli Stati Uniti, la sua prima collezione di abiti per adulti disabili, che prevede accorgimenti come chiusure in velcro, bottoni magnetici e orli regolabili così che vestirsi sia più rapido e facile. Trovare abiti adeguati non è però l’unica difficoltà che incontrano persone disabili e persone malate, che spesso fanno fatica ad arrivare fisicamente in un negozio di abbigliamento, vuoi per le barriere architettoniche dei posti in cui vivono che rendono gli spostamenti complicati, vuoi per la natura stessa della disabilità o della malattia, che in alcuni casi può costringerle a letto lunghi periodi.

Natalie Daher ha raccontato su Racked la sua esperienza con la madre malata di sclerosi multipla: delle difficoltà di fare acquisti dapprima con e poi per lei, e di come si è interessata ai modi in cui le aziende stanno cercando di risolvere gli ostacoli, soprattutto attraverso le piattaforme di shopping online.

Daher ha scritto che le persone cieche possono comprare servendosi di uno screen reader, cioè un software in grado di leggere il testo sullo schermo di un computer. È però necessario che il sito sia progettato anche per essere letto, cosa che accade raramente: troppe finestre creano confusione al lettore, le descrizioni dei capi non sono esaustive o mancano del tutto e spesso i colori vengono letti come sequenze di numeri, come sono scritti nel linguaggio di programmazione della pagina. Sono molto utili anche le descrizioni e i commenti di chi ha comprato un prodotto, spesso accurati e scritti in modo informale e piacevole, contrariamente a quelli ingessati e finti dell’azienda.

Per chi è costretto a comprare quasi solo online, è molto utile anche il servizio che una volta scelto un capo propone direttamente gli abbinamenti: «Così hai l’impressione di fare shopping» dice Vicki Landers, attivista di 49 anni che ha una disabilità fisica e mentale, vive a Philadelphia e compra spesso sui siti di catene di abbigliamento come Old Navy, Target, H&M, Forever 21 e Macy’s. «Penso che i suggerimenti automatici siano magnifici, specialmente per le persone che non possono andare nei negozi: possono vedere cose accostate senza dover sfogliare pagine e pagine di capi diversi».

C’è poi chi andrebbe volentieri nei negozi fisici, ma fa fatica a muoversi perché sono troppo stretti, pieni di angoli e scale, con i camerini per disabili trasformati in magazzini e a volte addirittura assenti, e anche per la necessità di essere assistiti da un commesso. Alcune aziende, come J. Crew, permettono ai clienti di prenotare un appuntamento gratuito in negozio con un commesso, un servizio pensato non necessariamente per chi è disabile ma senza dubbio utile, dice Abigail Lanier, una ragazza cieca di 26 anni di Brooklyn: «sono davvero utili perché non c’è bisogno di spiegare niente. Non devo spiegare perché ho bisogno del loro aiuto e loro conoscono bene tutti i loro prodotti».

E poi c’è una nuova possibilità per chi non può andare nei negozi ma ha nostalgia di quella esperienza, frustrante per alcuni ma appagante e terapeutica per altri: l’anno scorso l’azienda di abbigliamento American Eagle ha iniziato a testare una app che consente ai clienti di entrare in remoto nel negozio, mentre un commesso cammina da uno scaffale all’altro mostrando gli abiti. Jensen, una scrittrice e attivista di 25 anni con paralisi cerebrale che vive a Los Angeles si è detta entusiasta: «mi permette di restare a casa e sentirmi come se stessi davvero camminando da American Eagle con un commesso che mi dà una mano».