Netflix sta cambiando passo

Spende sempre di più in contenuti originali e attira nomi sempre più importanti, per far fronte per esempio alla fine dell'accordo con Disney

Le notizie su Netflix sono sempre tante e il motivo è semplice: è una società che guadagna tutti i suoi soldi da abbonamenti mensili e ogni mese deve dare qualcosa di nuovo ai suoi utenti – 104 milioni in 190 paesi – e per farlo deve programmare cosa dargli con mesi e anni di anticipo. Nelle ultime settimane le notizie su Netflix sono però particolarmente grosse: perché in molti casi hanno riguardato accordi tra Netflix e alcune persone molto importanti. Si è infatti saputo che su Netflix arriveranno un programma di interviste di David Letterman, una serie animata e comica di Matt Groening (il creatore dei Simpson), qualcosa di ideato e scritto da Shonda Rhimes (quella di Scandal e Grey’s Anatomy) e una serie tv western dei fratelli Coen.

La notizia-Netflix di cui si è più parlato in questi giorni riguarda però una perdita: Disney ha infatti detto che tra un paio di anni toglierà i suoi contenuti da Netflix (all’inizio solo negli Stati Uniti) per aprire un suo nuovo servizio di streaming. “Disney” vuol dire: tutti i cartoni animati di quando eravate piccoli, tutti i film Pixar e, da qualche anno, anche i film Marvel e Star Wars (non è ancora chiaro se questi contenuti potranno o no restare a Netflix). Quella notizia è arrivata il giorno dopo che Netflix – probabilmente sapendo della decisione di Disney – aveva comunicato di aver comprato Millarworld, la casa editrice fondata da Mark Millar, autore e ideatore di molti fumetti tra cui quelli a cui si sono ispirati i film Logan e Captain America: Civil War. Millar non è forse “il migliore a fare quello che fa” (in quel campo vince la Marvel), ma ci si avvicina.

In un solo mese Netflix ha quindi speso soldi per comprare una società che crea contenuti e per pagare presentatori, ideatori, registi e sceneggiatori di contenuti. In parte per rimediare alla perdita di contenuti Disney, ma soprattutto perché Netflix funziona solo se continua a crescere, se aggiunge sempre qualcosa di nuovo, se si fa trovare pronta con contenuti di cui è proprietaria quando chi gliene forniva altri smette di farlo.

Ne ha parlato con la rivista Variety Ted Sarandos, il capo dei contenuti di Netflix. Variety gli ha dedicato la copertina del suo numero più recente e l’ha scelto come “Showman dell’anno” (nel senso di persona che opera in quel mondo, non nel senso italiano di “intrattenitore”). Sarandos – che lavora a Netflix da quando era una società che affittava e spediva DVD – ha detto, parlando di Disney: «Abbiamo iniziato a produrre i nostri contenuti originali cinque anni fa, sapendo che sarebbe successo qualcosa di questo tipo». Sarandos ha anche detto che nel 2018 Netflix spenderà circa 7 miliardi di dollari per i contenuti che trasmetterà: nel 2017 saranno circa 6 miliardi, nel 2016 erano 5. Sarandos ha detto che per ora la maggior parte dei costi è rappresentata dalle licenze (pagate a chi crea o ha creato contenuti poi trasmessi su Netflix) ma che «in un paio d’anni l’obiettivo è arrivare a 50-50»: spendere cioè la metà dei soldi per la produzione di contenuti originali, di cui Netflix possa essere unica proprietaria e non la società che in un certo tempo e in certi paesi può trasmettere qualcosa.

2015 Summer TCA Tour - Day 1Ted Sarandos (Frederick M. Brown/Getty Images)

Sarandos ha detto: «Più abbiamo successo e più mi preoccupo perché so che i network [i canali, i proprietari di altri contenuti] non vorranno darci in licenza i loro prodotti. I contenuti originali sono indispensabili: servono per far sì che gli utenti sentano di non poter vivere senza Netflix». Ramin Setoodeh, l’autore dell’articolo di Variety, ha scritto che per quanto riguarda la competizione con la TV «Netflix è come Pac Man: trangugia ogni pezzettino che può raggiungere». Cerca cioè di prendere contenuti di ogni tipo, affiancandoli però ad alcune cose di punta: qualche anno fa si sarebbe fatto l’esempio di House of Cards, quello più giusto per il 2017 è invece Stranger Things. Netflix intanto punta anche a serie prodotte e girate in molti dei paesi in cui è presente: quelle non statunitensi sono 17, Sarandos ha detto che «in un paio d’anni diventeranno tra 70 e 100», e a settembre arriverà Suburra, la prima serie italiana di Netflix.

In tutto questo, Netflix sta investendo molto anche nel cinema, nonostante dati forniti dalla società dicano che il 70 per cento del tempo davanti alle sue applicazioni è passato guardando serie tv. A dicembre arriverà Bright, un film Netflix con Will Smith costato 90 milioni di dollari; a febbraio Netflix ne ha spesi tra 50 e 100 per poter produrre un film di Martin Scorsese, con Joe Pesci, Robert De Niro e Al Pacino. Sarandos ha detto: «La ragione per cui investiamo nei film è perché penso che a prescindere da quanto bella possa essere la tv, le persone distinguono comunque tra forme d’arte diverse».

Per la velocità con cui stanno cambiando il cinema, la tv e lo streaming, è difficile dire come andrà Netflix (o HBO, o la Rai, o Disney o la Paramount Pictures) tra tre, cinque o dieci anni: l’articolo di Variety è intitolato “Ted Sarandos ha salvato (o distrutto) Hollywood?” e non dà una vera risposta. I recenti movimenti di Netflix, confermati e in parte spiegati da Sarandos, dicono che di recente la società ha solo cambiato passo, muovendosi di più e più in fretta. Per come funziona Netflix deve fare debiti – deve pagare oggi cose che porteranno ricavi tra mesi o anni – e secondo la società al momento quei debiti sono circa 4,8 miliardi di dollari. Ma è una cosa normale, in quel mondo e a quei livelli: «Abbiamo uno dei livelli di debito più bassi del settore», ha detto Sarandos. Il vero problema, secondo lui, è: «Come facciamo a piacere alle persone in Corea del Sud tanto quanto piacciamo a quelle in Kansas?».