Siamo arrivati alla fine dei motori a scoppio?

Secondo l'Economist sì, ed è una buona notizia: ma sarà una strada accidentata e piena di buche

(AP Photo/Kirsty Wigglesworth)
(AP Photo/Kirsty Wigglesworth)

I giorni del motore a scoppio sono contati, ha scritto l’Economist nel suo ultimo numero. «Il più grande motore della storia dell’uomo», cioè la macchina che ha prodotto la maggior quantità di energia per la nostra specie, nei prossimi anni sarà rimpiazzato dai motori elettrici, che oramai hanno caratteristiche competitive con i motori a scoppio.

L’auto elettrica Chevy Bolt, per esempio, ha un’autonomia di 383 chilometri. La Model S di Tesla può arrivare fino a 1.000 chilometri prima di dover ricaricare le batterie. Secondo un rapporto della banca svizzera UBS il “costo totale di proprietà” di un’auto elettrica, cioè la somma del costo di acquisto, rifornimento e manutenzione, raggiungerà la parità con quello di un’auto con un motore a scoppio nel prossimo anno; anche se questo miglioramento, scrive l’Economist, arriverà a spese dei profitti dei produttori. Lo stesso rapporto prevede che entro il 2025 le auto elettriche saranno il 14 per cento del totale delle auto vendute, una crescita del 1400 per cento rispetto all’1 per cento attuale.

Ci sono anche previsioni meno ottimistiche, sottolinea l’Economist, ma in molti stanno rivedendo le loro stime in modo più favorevole alle auto elettriche. Le batterie costano sempre meno e i prezzi di rifornimento stanno scendendo altrettanto rapidamente. Anche i governi sembrano sempre più inclini a stabilire leggi e incentivi al possesso di auto elettriche. Il Regno Unito, per esempio, ha stabilito che entro il 2050 tutte le auto vendute dovranno essere elettriche: e non è il solo paese ad aver preso decisioni simili. «La campana a morto per il motore a scoppio sta già risuonando in tutto il mondo», dice l’Economist, «e molte delle conseguenze della sua scomparsa saranno le benvenute».

Le più importanti sono probabilmente quelle ambientali. Caricare la batteria di un’automobile attaccandola a una stazione di servizio collegata a una centrale elettrica è molto più efficiente rispetto a bruciare carburante in un motore separato. Secondo le stime più autorevoli, un’automobile elettrica produce il 54 per cento delle emissioni in meno rispetto a una normale automobile a benzina: ed è una percentuale destinata a scendere ancora, mano a mano che la produzione di energia si baserà sempre più su fonti rinnovabili. Anche la tecnologia, che renderà le auto elettriche sempre più efficienti, contribuirà a un ulteriore abbattimento delle emissioni. I benefici di questa trasformazione sono potenzialmente enormi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno 3,7 milioni di persone muoiono a causa dell’inquinamento dell’aria; le emissioni delle automobili uccidono 53 mila persone ogni anno nei soli Stati Uniti.

E poi c’è la questione del petrolio. La fine del motore a scoppio, almeno per il trasporto sulla terraferma, avrà grandi e radicali conseguenze per tutti quei paesi che hanno basato la loro economia sull’estrazione dei carburanti fossili, dalla Russia all’Arabia Saudita. Nei prossimi anni, prevede l’Economist, ci sarà una corsa a estrarre tutto il carburante possibile prima che i prezzi comincino a crollare. In maniera forse un po’ ottimistica, l’Economist prevede che questo crollo nei prezzi porterà dei benefici a quei paesi colpiti dal “paradosso dell’abbondanza”. Stati come Nigeria e Angola, infatti, non sono stati beneficiati dalla presenza di petrolio nel loro territorio. Anzi: la presenza di una risorsa facile da controllare e in grado di produrre utili enormi ha creato incentivi perversi, spingendo gruppi politici e bande armate a contendersi il potere spesso in maniera violenta, e disincentivando i governi dal creare economie che funzionano. Ha creato una via sicura con cui regimi autocratici possono distribuire risorse ai loro clienti e perpetuare così sistemi corrotti e inefficienti. Togliere il petrolio a questi paesi potrebbe, in teoria, portargli dei benefici.

Arrivati a questo punto, l’Economist ammette che la morte del motore a scoppio avrà anche conseguenze imprevedibili. Alcuni paesi diventeranno instabili: chi non riuscirà a riconfigurare rapidamente la propria economia sarà costretto a tagliare le spese in maniera brusca e questo potrebbe portare a proteste, rivolte e forse persino rivoluzioni. L’industria dell’auto cambierà probabilmente in maniera radicale e questo potrebbe causare problemi a quei paesi, come la Germania, la cui economia dipende per buona parte proprio dalla produzione di tradizionali auto con motore a scoppio (dei problemi a cui andrà incontro nei prossimi anni l’industria automobilistica tedesca avevamo parlato anche qui).

Un’auto elettrica, infatti, è un oggetto molto semplice: «un computer su ruote», come scrive l’Economist. Servono meno persone per costruirne una e servono meno aziende che producono parti del veicolo da consegnare alla società che si occupa di assemblarla. Se un’auto è più semplice, inoltre, si rompe meno facilmente e questo a sua volta riduce il mercato delle parti di ricambio. Già oggi i grandi produttori di auto sono in difficoltà perché l’automazione ha reso superflui molti dei loro impiegati e dei loro stabilimenti. I nuovi produttori di auto elettriche, come Tesla, stanno arrivando sul mercato senza nessuno di questi ingombri e rischiano di spiazzare la concorrenza. Nello scenario peggiore, l’arrivo delle auto elettriche causerà una crisi dell’attuale industria automobilistica e decine di migliaia di persone perderanno il loro lavoro.

Ma i benefici superano rischi e pericoli, secondo l’Economist. Le auto elettriche, e ancora di più le auto elettriche senza guidatore, miglioreranno il mondo in una maniera che può essere paragonata solo all’avvento del motore a scoppio in un mondo all’epoca dominato dalla trazione animale. Certo, bisogna tenere conto che ci saranno anche dei problemi e che è meglio cominciare già oggi a fronteggiarli: «Sarà una strada accidentata e piena di buche. Meglio mettersi la cintura».