Cosa vuol dire “millantatore”

Lo è chi sfrontatamente vanta pregi o qualità che non possiede: in toscano si direbbe "sbracione", a Roma "pallonaro"

di Massimo Arcangeli

Il soldato millantatore è il titolo con cui è stata ripetutamente tradotta una conosciutissima commedia di Plauto: Miles gloriosus. Il latino gloriosus è contenuto nell’italiano vanaglorioso. Questo, pur non essendo un vero sinonimo di millantatore, sottolinea comunque, di una persona che millanti, un tratto fondamentale: la boria, la tracotanza, la megalomania, la superbia mista a spavalderia.

Pieno di sé, come può essere un trombone o (alla toscana) uno stronfione, il millantatore aggiunge a sfrontatezza, presunzione e autostima esagerata, accompagnate ai modi enfatici che danno in genere rilievo alle sue prestazioni spavalde, il fatto di vantare pregi o qualità che non possiede, di spacciare per proprie azioni straordinarie mai compiute o, quando si modera, di esagerare sui propri meriti. Imparentato alla lontana con bulli, bravacci e rodomonti, è parente strettissimo di spacconi, sbruffoni, fanfaroni, gradassi, smargiassi, guasconi, spaccamonti (o spaccamontagne), palloni gonfiati (popolarescamente: gonfiatori) e di altre figurazioni verbali per le quali, come nel suo caso (e per lo stesso rodomonte), si è ricavata ispirazione da commedie, poemi cavallereschi o altro: gradasso, dal nome dell’omonimo personaggio dell’Orlando Innamorato e dell’Orlando Furioso (come sacripante, non più in uso); ammazzasette, come un personaggio fiabesco dei fratelli Grimm (della fiaba Il prode piccolo sarto), uccisore di sette mosche ma temuto perchè erroneamente confuso con un uccisore di sette giganti; capitan Fracassa, un personaggio della commedia dell’arte di grande successo fra il XVI e il XVII secolo. In Toscana un millantatore è uno sbracione oppure uno sbombone, una parola diffusa anche in area marchigiana (settentrionale); a Roma, ma anche altrove, può diventare un chiacchierone, un cazzaro, un pallonaro; a Milano, ma anche qui altrove, è per molti giovani e giovanissimi uno spacchiuso.

Molti studenti universitari cagliaritani non conoscono la parola millantatore: 116 su 196 non ne hanno saputo indicare nessun sinonimo; uno ha scritto agitatore, un secondo oppositore, un terzo zizzaniatore. L’origine del termine è il verbo millantare, a sua volta derivato di millanta. È una voce scherzosa per dire mille (modellata su quaranta, cinquanta, sessanta, ecc.), e i suoi precedenti più noti sono boccacciani; nel “Decameron”, oltre a millanta, c’è anche millantanove (VI, 10):

E ancora che d’agosto fosse, postosi presso al fuoco a sedere, cominciò con costei, che Nuta aveva nome, a entrare in parole e dirle che egli era gentile uomo per procuratore e che egli aveva de’ fiorini più di millantanove.

Cito di seguito un’altra testimonianza di millanta, che stavolta compare in millanta mila. Il brano riportato è parte di un dialogo (atto II, scena 5) tratto da una commedia di Annibal Caro: “Gli Straccioni” (1542).

MIRANDOLA: Che vuoi tu?
LISPA: Rivelarti un secreto.
MIRANDOLA: Che secreto?
LISPA: Non ti ricordi che ’l Gran Turco ti scrisse una volta di mandarti una certa quantità di gioie, che furon poi tanti vetri?
MIRANDOLA: Me ne ricordo.
LISPA: Conosci tu gli Straccioni?
MIRANDOLA: Sì, conosco.
LISPA: Oh, essi te l’hanno rubate.
MIRANDOLA: Oh, beccacci ladri! E come?
LISPA: Son conciatori di gioie. E per questo capitando a le lor mani, le contraffecero. Le contraffatte vennero a te e le buone rimasero a loro… Da parte del Gran Turco ti dico che tu staggisca questi denari in mano de’ Grimaldi e che ne facci tante genti per l’impresa.
MIRANDOLA: Bisogna prima far genti per cavarli loro de le mani.
LISPA: Io sono qui per questo e per dar principio a l’impresa.
MIRANDOLA: Con quante migliaia?
LISPA: Con millanta mila.
[…]
MIRANDOLA: E che aspetta quel poltron del Turco che non viene?
LISPA: Aspetta che noi facciamo questo cavaliero e che i pali s’aùzzino.
MIRANDOLA: E dove sono?
LISPA: In Cancelleria, per toccar danari.
MIRANDOLA: E che s’ha da fare?
LISPA: Incoronarti Imperadore.
MIRANDOLA: Di che?
LISPA: Di Testaccio.
MIRANDOLA: E de la Trebisonda.
LISPA: E de la Trebisonda.
MIRANDOLA: Che segno me ne dai?
LISPA: Per Testaccio questa mitra e per Trebisonda quest’altre insegne.
MIRANDOLA: Queste mi paiono scope, a me!
LISPA: No, no, sono quei fasci che usavano i Consoli romani.
MIRANDOLa: La Piccardia non confina con Testaccio?
LISPA: Sì, confina. Ma di questa t’investirà il conte di Boiona.
MIRANDOLA: Dammene l’insegna.
LISPA: Eccola!
MIRANDOLA: Che cosa è questa? Un capestro?
LISPA: No! Una collana!

A parlare sono il pazzo Mirandola e Lispa, uno dei tre «furbi di Campo di Fiore» (gli altri due: Giulio e Fuligatto), e il contesto è sempre burlesco. Qui sono decameroniani anche i doppi sensi sui luoghi: la Piccardia è «un altro luogo di Roma, ma è anche il nome di una regione della Francia usato, nel gergo furbesco, per designare l’impiccagione, tanto è vero che Lispa aggiunge il “conte di Boiona” che allude al boia» (Giorgio Bàrberi Squarotti, “La letteratura instabile. Il teatro e la novella fra Cinquecento ed Età barocca”, Treviso, Santi Quaranta, 2006, p. 108); Testaccio è uno storico quartiere della capitale, ma fa anche pensare a qualcuno che abbia perso la testa; Trebisonda è la capitale dell’impero omonimo, ma potrebbe a sua volta alludere al senno perduto di Mirandola.

Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni: una al giorno.