Cosa vuol dire “tergiversare”

La terza parola spiegata bene non ha niente a che fare con discutere o chiacchierare, come pensano molti

di Massimo Arcangeli

Tergiversiamo quando, per non rispondere a una domanda imbarazzante o insidiosa, proviamo a sviare il discorso; quando tardiamo a prendere una decisione, e intanto tentiamo una scusa o un pretesto; quando, per sottrarci a un dovere o a una responsabilità, ricorriamo a sottigliezze o cavilli. Diversi fra i giovani da noi interpellati sul significato di tergiversare, e ai quali abbiamo chiesto di indicarne uno o più sinonimi ed esempi, ci hanno risposto discutere («Due persone che tergiversano»), chiacchierareTergiversammo tutto il pomeriggio»), insistere, raggirare e molto altro.

Il primo sinonimo di tergiversare che viene generalmente in mente è temporeggiare. Include la parola tempo, ed equivale perciò a dire prendere tempo. Altri termini per riferirsi a una persona che non sa decidersi, che tarda a scegliere o ad agire, sono indugiare, esitare, tentennare, titubare, nicchiare. La parola etimologicamente più vicina a temporeggiare è la prima dell’elenco, indugiare, che contiene il riferimento a una sospensione temporale: risale al latino plurale indutiae, il cui primo significato era “tregua, armistizio”.

Anche nicchiare deriva da una parola latina, ma ricostruita (*niduculare), perché non è documentata da nessuna fonte. Significava, più o meno, “stare nel nido”; è come se, tardando a prendere una decisione, ci si nascondesse, ci si rintanasse, pur di non esporsi, di non uscire allo scoperto. Esitare può suggerire qualcosa del genere. La sua origine è il verbo latino haesitare, forma intensiva di un altro verbo, dal quale deriva: haerere. Questo voleva dire, fra le altre cose, “aderire”, “arenarsi”, “rimanere conficcato (o impigliato)”, e, come haesitare, esprimeva dunque l’idea che una persona esitante, in quanto incapace di agire, fosse “ancorata”, “incagliata”, “incatenata” alla sua posizione di attesa. L’origine di tentennare, anche questa latina, è la voce onomatopeica tintinnare “suonare, squillare”: il doppio tin (tin-tin) fa venire l’idea di un balbettio, o di dondolio: quello dell’incertezza di chi è impacciato nel parlare o, oscillando da una posizione all’altra, dà l’impressione di essere incerto su un’azione da compiere, su un passo da fare, su una strada da prendere. Abbiamo la stessa impressione davanti a titubare, un’altra parola onomatopeica: qui il dondolio o il balbettio d’incertezza è fra un ti e un tu (ti-tu). Uno dei significati del latino haesitare, peraltro, era proprio “balbettare”.

Una storia ancora diversa è quella di tergiversare, la cui origine è il latino tergiversari, già (e soprattutto) usato nello stesso significato astratto del termine italiano. La parola latina, composta dal nome terga (“dorso”) e dal verbo vertere (“volgere, voltare”), ci dice stavolta, di qualcuno che tergiversa, che ci sta voltando le spalle. Perché in fondo, e in tanti casi è vero, mostra di disinteressarsi di noi.

Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni: una al giorno.