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  • Giovedì 13 aprile 2017

Brutte novità per chi ha la doppia cittadinanza bengalese

Il governo ha approvato una legge per limitare i loro diritti e che darà allo stato il potere di revocare quella del Bangladesh, in modo abbastanza arbitrario

Un uomo bengalese stende del cuoio in una conceria a Dhaka
(AFP/Getty Images)
Un uomo bengalese stende del cuoio in una conceria a Dhaka (AFP/Getty Images)

A febbraio 2017 il governo del Bangladesh ha approvato la riforma del Citizenship Act, la legge sulla cittadinanza nella quale vengono introdotte delle limitazioni per due categorie di persone: chi è cittadino bengalese ma è nato fuori dal Bangladesh e chi possiede la doppia cittadinanza. Ne scrive sul New York Times la scrittrice britannico-bengalese Tahmima Anam, mostrando molta preoccupazione per una riforma che secondo lei e altri (come il giudice del tribunale inglese Najrul Islam Khasru) renderà le persone con doppia cittadinanza dei cittadini di seconda categoria.

Fino ad ora, il Bangladesh non ha avuto alcun tipo di restrizione rispetto alla doppia cittadinanza. In seguito all’approvazione della legge, invece, le persone con la doppia cittadinanza non potranno più far parte di organizzazioni politiche, lavorare come funzionari pubblici o candidarsi alle elezioni. Inoltre i loro figli, per avere a loro volta la cittadinanza bengalese, dovranno portare a termine una serie di formalità complicate e piene di passaggi burocratici che, se non rispettate, impediranno l’acquisizione della cittadinanza bengalese.

Un altro aspetto della nuova legge riguarda l’introduzione del potere, dato ad alcuni funzionari statali, di decidere per l’annullamento della cittadinanza in alcuni casi particolari. Tra questi è prevista la perdita della cittadinanza bengalese nel caso in cui si sia cittadini anche di uno stato in guerra con il Bangladesh; è poi possibile perdere la cittadinanza nel caso in cui si abbia espresso disobbedienza nei confronti della sovranità o della Costituzione, oppure ancora se i propri parenti sono considerati “nemici stranieri”. A decidere di questi casi specifici, regolati attraverso formulazioni che Tahmima Anam definisce abbastanza vaghe, il governo ha proposto che venga istituita una commissione di funzionari governativi, senza chiarire da quale parte dell’apparato statale debbano provenire. La decisione finale di questi commissari diventerebbe vincolante, senza la possibilità di ricorrere in appello in alcuna corte.

Oggi i bengalesi emigrati e stabiliti in giro per il mondo sono circa un milione e mezzo. Molti spediscono in patria parte del loro guadagno che, secondo i dati citati da Anam sul New York Times, costituirebbe circa l’8 per cento del PIL bengalese. Per molti anni, Anam ha dovuto fare lunghe code ai controlli immigrazione degli aeroporti a causa del suo passaporto bengalese. Ha sposato un cittadino statunitense e si è trasferita a Londra, dove sono nati i suoi figli che, come lei dal 2011, sono cittadini britannici. Si dice felice del fatto che loro abbiano in passaporto britannico e spera che le code e i problemi che lei ha avuto in passato non tocchino anche a loro. Allo stesso tempo, è sempre stata fiera del suo passaporto bengalese, documento che esiste dal 1971, l’anno in cui il Bangladesh ha ottenuto l’indipendenza dal Pakistan; spera che il governo del suo stato non le impedisca di trasmetterlo ai suoi figli insieme a quello britannico, perché possano ricordare la loro identità e di avere dei diritti nei confronti del Bangladesh.

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