Intanto al CNEL sta succedendo di tutto

Il presidente e il segretario generale litigano a colpi di emendamenti, comunicati, licenziamenti e badge ritirati

Villa Lubin, sede del CNEL.
(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
Villa Lubin, sede del CNEL. (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Sul Messaggero di lunedì c’è un articolo di Claudio Marincola che racconta gli ultimi sviluppi di uno scontro in corso da settimane tra alcuni dirigenti del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), un organo previsto dalla Costituzione (all’articolo 99) e che dovrebbe funzionare da organo consultivo su materie economiche per il Parlamento. Il CNEL è considerato da praticamente tutte le forze politiche un organo inutile, superato e che andrebbe abolito, come prevedeva tra l’altro il referendum costituzionale dello scorso dicembre, che però è stato bocciato dagli elettori. Originariamente aveva costi molto alti, circa 20 milioni di euro l’anno, scesi grazie a tagli recenti a circa 5-10 milioni l’anno. Lo scontro si inserisce proprio nel più ampio dibattito sul futuro e il ruolo del CNEL, e sta coinvolgendo soprattutto il suo presidente Delio Napoleone, un imprenditore abruzzese in carica dal 30 luglio 2016, e il segretario generale Franco Massi, che era stato nominato nel 2011 dalla presidenza del Consiglio per rimettere a posto i conti del CNEL.

La vicenda è cominciata alcuni mesi fa, quando ci furono molte pressioni su Napoleone perché si dimettesse dall’incarico di presidente. Napoleone era stato nominato vicepresidente nel 2015, e dal luglio del 2016 svolge l’incarico di presidente “facente funzioni” in sostituzione di Salvatore Bosco, che si era dimesso. Secondo quanto hanno scritto i giornali, Confindustria, che aveva sostenuto la sua nomina a vicepresidente, gli aveva chiesto di dimettersi in vista del referendum, per il quale l’associazione degli imprenditori sosteneva il sì (e quindi l’abolizione del CNEL). Napoleone, che pure nelle interviste si diceva d’accordo sulla necessità di riformare il CNEL, si era rifiutato di dimettersi e anzi aveva fatto eleggere un altro vicepresidente – Gian Paolo Gualaccini – lo scorso 6 settembre. I giornali lo descrivevano come fortemente contrario all’abolizione del CNEL. Intanto 35 dei 64 membri dell’Assemblea del CNEL si erano dimessi, perché i rimborsi per i membri dell’organo erano stati soppressi. La situazione, per farla breve, era quella di un organo che sembrava essere destinato allo smantellamento e che quindi lavorava da mesi in una condizione di provvisorietà, con un presidente che provava a opporsi.

Dopo il referendum, ha spiegato il Foglio, Napoleone e i dirigenti del CNEL che erano contrari all’abolizione hanno cercato di capitalizzare quella specie di vittoria politica incontrando ministri e presidenti di Camera e Senato, e avviando le procedure per formulare una proposta di legge di “autoriforma”, che esplicitamente si rifaceva al risultato del referendum, interpretandolo come un segnale che gli elettori avessero a cuore che il CNEL restasse al suo posto. Non è chiaro se nella proposta di legge preparata dal CNEL ci fosse la reintroduzione dei rimborsi per i membri: il Corriere della Sera aveva scritto di sì, ma il Foglio aveva visto il documento senza trovarne menzione. L’assemblea del CNEL – che pur contando meno della metà dei suoi membri può continuare a deliberare, secondo Napoleone – ha approvato la proposta di legge lo scorso 31 gennaio.

Più o meno in questo periodo, però, si è sviluppato lo scontro tra Napoleone e Massi: secondo quanto ha scritto Franco Bechis su Libero, Massi ha provato a far inserire un emendamento nel Milleproroghe che avrebbe trasferito gran parte dei poteri del CNEL alla Corte dei Conti. Di fatto era un tentativo di ottenere un risultato simile all’abolizione del CNEL anche senza la vittoria al referendum. Massi è un magistrato e ha lavorato proprio alla Corte dei Conti, ed è stato definito dai giornali come vicino a Renzi. L’emendamento sarebbe stato presentato formalmente dalla senatrice Cinzia Bonfrisco del gruppo misto, e poi respinto perché inammissibile. Secondo la ricostruzione di Bechis, Napoleone sarebbe venuto a conoscenza dell’emendamento per caso, incontrando al Quirinale il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che glielo avrebbe accennato perché pensava che la proposta arrivasse dal CNEL stesso.

Napoleone, secondo le ricostruzioni dei giornali, se l’è presa parecchio. Ha scritto alla Corte dei Conti per informarli dell’emendamento, e ha iniziato a litigare con Massi accusandolo di non presentarsi a lavorare. Massi ha risposto che non se ne sarebbe andato, e che a inizio marzo la presidenza del Consiglio aveva interpellato l’Avvocatura generale dello Stato decidendo che il segretario generale (cioè lui) avrebbe dovuto terminare il suo incarico. Il Messaggero riporta il parere fornito dalla presidenza del Consiglio, che dice che «l’attuale incarico del segretario generale debba proseguire sino al completamento del procedimento costituzionale di soppressione dell’Organo, cioè fino al momento in cui cesserà ad ogni effetto la gestione amministrativo-contabile dell’Organo medesimo».

Napoleone venerdì scorso ha firmato un provvedimento che mette immediatamente fine all’incarico di Massi, scrivendo che «il dottor Massi da lungo tempo non è presente quotidianamente in ufficio, non partecipa alle attività ordinarie del Consiglio, non incontra il presidente. Si è determinata una interruzione nell’ordinato svolgimento delle funzioni interne». Secondo il Messaggero Napoleone ha anche chiesto che a Massi fosse disabilitato il badge per entrare a villa Lubin, dove ha sede il CNEL a Roma, e che una pattuglia dei Carabinieri presidiasse il palazzo per sicurezza. In una lettera scritta ai dirigenti del CNEL e riportata dal Messaggero, Massi si sarebbe difeso negando le accuse e dicendo che «il vertice amministrativo è soltanto il Segretario generale le cui direttive operative sono le uniche abilitate a tradurre in disposizioni le linee di indirizzo formulate dal vertice politico».