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  • Domenica 29 gennaio 2017

La crisi sull’immigrazione degli Stati Uniti

I divieti ordinati venerdì da Trump hanno creato complicazioni e sofferenze per migliaia di persone, e ci sono state manifestazioni e proteste in tutto il mondo

Manifestanti a Lafayette Park, accanto alla Casa Bianca, a Washington domenica (AP Photo/Alex Brandon)
Manifestanti a Lafayette Park, accanto alla Casa Bianca, a Washington domenica (AP Photo/Alex Brandon)

Gli effetti dei divieti ordinati dal nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti dell’immigrazione del paese sono cominciati sabato, con grandi complicazioni per tantissime persone, manifestazioni di protesta, reazioni in tutto il mondo. L’ordine esecutivo firmato da Trump impedisce l’ingresso ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana (Iran, Iraq, Siria, Sudan, Libia, Somalia, Yemen) e sospende tutte le procedure di asilo per tre mesi: la sua applicazione coinvolge non solo i nuovi immigrati, ma anche tante persone che vivono e lavorano da tempo negli Stati Uniti.

Al concretizzarsi delle prime conseguenze – viaggiatori bloccati negli aeroporti di partenza, ma soprattutto tanti fermati in arrivo negli aeroporti delle città americane, e complicazioni e sofferenze per le persone e le famiglie coinvolte – è iniziata sabato sera una grande mobilitazione popolare che ha portato a manifestazioni di solidarietà e protesta nei grandi aeroporti. Ma ci sono state anche prese di distanza e proteste da parte di istituzioni, esponenti politici (anche se il dissenso nel partito Repubblicano, che sostiene Trump, finora è stato molto esiguo), e leader internazionali. Nella notte tra sabato e domenica un giudice di Brooklyn ha parzialmente accolto un ricorso da parte delle organizzazioni per i diritti civili, e ha sospeso la parte della legge che imponeva di rimandare nei paesi di provenienza le persone già atterrate negli Stati Uniti; domenica sera, invece, il Ministro della Sicurezza Nazionale John Kelly ha detto che il divieto di ingresso non sarà applicato a chi ha già un permesso permanente per gli Stati Uniti.