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  • Mercoledì 28 dicembre 2016

La Russia ha ammesso le accuse di doping

Almeno in parte, e probabilmente per cercare di migliorare la propria posizione ed evitare altre squalifiche in futuro: ma è la prima volta che accade

Il presidente del Comitato olimpico russo Alexander Zhukov (KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)
Il presidente del Comitato olimpico russo Alexander Zhukov (KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)

Dopo aver negato per mesi l’esistenza di un preciso programma statale per somministrare sostanze dopanti agli atleti della propria nazionale in occasione delle più importanti manifestazioni sportive degli ultimi otto anni, il New York Times sostiene in un articolo pubblicato ieri sul proprio sito che le autorità sportive russe hanno smesso di negare l’uso di doping perpetrato negli ultimi anni e il coinvolgimento di alcune cariche istituzionali. Anna Antseliovich, la direttrice ad interim dell’agenzia antidoping russa, ha detto al giornale statunitense che si è trattato di una “cospirazione istituzionale”.

L’ultimo rapporto che ha accertato la somministrazione per anni di sostanze dopanti agli atleti russi e la manipolazione dei campioni di urina prelevati dai laboratori antidoping è stato presentato a inizio dicembre da Richard McLaren, avvocato canadese e commissario dell’agenzia mondiale antidoping, la WADA. McLaren e i suoi collaboratori hanno confermato tutte le principali accuse rivolte nei mesi precedenti alla Russia, e inoltre hanno detto che più di mille atleti russi di trenta diverse discipline sportive, dall’atletica al calcio, sono stati parte di quel programma dal 2011 al 2015. Durante la conferenza McLaren ha detto: «Siamo ora in grado di confermare i contenuti del primo rapporto: un sistema di coperture iniziato almeno nel 2011 e proseguito dopo le Olimpiadi di Sochi. Un sistema che si è evoluto ed è stato gestito a un livello senza precedenti».

L’ultima importante indagine era stata inizialmente commissionata dalla WADA in seguito alle rivelazioni di Grigory Rodchenkov, l’ex direttore dei laboratori russi per i controlli antidoping, che supervisionò gli esami degli atleti per le Olimpiadi invernali di Sochi. Lo scorso maggio Rodchenkov ha spiegato nei dettagli al New York Times il programma statale russo per imbrogliare alle Olimpiadi di Sochi somministrando sostanze dopanti agli atleti. Secondo quanto sostenuto da Rodchenkov, la Russia voleva sfruttare il fatto di essere la nazione ospitante delle Olimpiadi per controllare i risultati dei test antidoping. Rodchenkov ha detto di aver obbedito agli ordini del ministro dello Sport russo, che voleva «vincere a ogni costo», e di aver impedito che alcuni importanti atleti russi dopati venissero scoperti.

Le rivelazioni che hanno aggravato ancora di più la situazione della Russia sono state quelle sui sistemi usati per sostituire centinaia di campioni di urina prelevati dagli atleti. L’elaborazione del piano per sostituire i campioni iniziò nell’autunno del 2013, quando un agente del FSB, il servizio di intelligence russo, cominciò a presentarsi frequentemente al laboratorio di Rodchenkov, facendo particolare attenzione alle boccette che avrebbero dovuto contenere l’urina degli atleti. Un impiegato del laboratorio, rimasto anonimo, aveva spiegato che a un certo punto fu comunicato ai membri del laboratorio che quella persona, identificata poi da Rodchenkov come membro del FSB, era lì per “proteggere il laboratorio” e avrebbe posto alcune domande sulle boccette. A quel punto gli impiegati si resero subito conto del perché si trovasse lì: per studiare un modo per aprire e chiudere le boccette senza danneggiare l’anello che sigillava il tappo.

Prima dell’inizio delle Olimpiadi di Sochi, l’FSB riuscì a trovare un sistema per chiudere le boccette anche dopo averle riaperte. Rodchenkov non ha saputo spiegare come ci riuscirono ma ha detto che l’agente del FSB un giorno si presentò davanti a lui con una boccetta chiusa perfettamente dopo essere stata riaperta, e con il sigillo intatto.

Lo scambio dei campioni avveniva di notte attraverso un buco nella parte bassa del muro del laboratorio antidoping di Sochi, nascosto durante il giorno da un mobile di legno. Il foro circolare sul muro rendeva possibile lo scambio delle provette contraffatte da un “laboratorio ombra” alla stanza in cui erano conservati tutti i campioni originali. Ogni notte Rodchenkov riceveva una lista degli atleti a cui si sarebbero dovuti scambiare i campioni direttamente da alcuni funzionari del ministero dello Sport. Per individuare i campioni corretti, che non riportano il nome degli atleti ma solo un numero a sette cifre, gli atleti fotografavano la loro boccetta prima di consegnarla ai laboratori, e inviavano l’immagine ad alcuni funzionari del ministero dello Sport.

Le rivelazioni di Rodchenkov, seguite poi dalle indagini della WADA, avevano aggravato la situazione già complicata della Russia nello sport internazionale e contribuito significativamente all’esclusione parziale della sua nazionale dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Il New York Times scrive che il drastico cambiamento di posizione dei rappresentanti dello sport russo, almeno in parte, potrebbe essere motivato dalla volontà delle autorità sportive di migliorare i rapporti con la WADA e con le federazioni internazionali delle varie discipline, per evitare ulteriori squalifiche dalle manifestazioni più importanti. Oltre alle squalifiche, anche tutto il settore commerciale che orbita attorno allo sport russo sta vivendo un periodo complicato: le continue accuse di irregolarità hanno fatto calare drasticamente le vendite degli articoli sportivi soprattutto e peggiorato sensibilmente l’immagine della Russia all’estero.

Tuttavia, se alcune importanti autorità russe hanno deciso di ammettere le proprie colpe, molte altre figure istituzionali continuano a negare ogni accusa relativa al coinvolgimento dei rappresentanti del governo, diversamente da quanto sostenuto dalle indagini e ora anche dalle autorità sportive russe.