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  • Lunedì 26 dicembre 2016

La storia criminale di Anis Amri

Il sospetto attentatore di Berlino aveva precedenti per piccoli reati, come diversi altri terroristi di Parigi e Bruxelles prima di lui: a che punto sono le indagini

Una fotografia di Anis Amri sorretta da suo fratello, Walid Amri, a Oueslatia, in Tunisia, il 23 dicembre 2016 (FETHI BELAID/AFP/Getty Images)
Una fotografia di Anis Amri sorretta da suo fratello, Walid Amri, a Oueslatia, in Tunisia, il 23 dicembre 2016 (FETHI BELAID/AFP/Getty Images)

Anis Amri, l’uomo tunisino sospettato di aver ucciso 12 persone nell’attacco terroristico a un mercatino di Natale di Berlino lo scorso 19 dicembre, è l’ultimo di una serie di giovani musulmani radicalizzati che hanno compiuto attentati in nome dello Stato Islamico dopo essere passati per attività criminali di altro tipo. La giornalista del Wall Street Journal Valentina Pop ha messo insieme quello che si sa di Amri e dei crimini che ha commesso in Europa – prima in Italia e poi in Germania – trovando parallelismi con alcuni degli altri autori di attentati compiuti in Francia e in Belgio e rivendicati dallo Stato Islamico.

Chi era Anis Amri

Della vita di Anis Amri, ucciso dalla polizia italiana nella notte tra il 22 e il 23 dicembre a Sesto San Giovanni, qualcosa è già emerso. Amri nacque a Oueslatia, una piccola città della Tunisia, il 22 dicembre del 1992. A 18 anni lasciò il suo paese e arrivò a Lampedusa con un’imbarcazione messa a disposizione da un trafficante di essere umani. Pochi mesi dopo fu arrestato e condannato a quattro anni di carcere per avere causato alcuni danni e un incendio nel centro di accoglienza di Belpasso, vicino a Catania. Nei suoi confronti le autorità italiane emisero anche un provvedimento di espulsione, che però non fu mai attuato. Secondo i suoi famigliari, l’esperienza in carcere lo avvicinò alla religione: le stesse autorità penitenziarie notarono “atteggiamenti sospetti tendenti alla radicalizzazione”.

In Germania Amri arrivò nel luglio 2015. Si spostò molto fino a che nel febbraio 2016 si stabilì a Berlino: in quel periodo attirò le attenzioni dell’antiterrorismo tedesco perché sospettato di pianificare un furto per rubare i soldi che gli sarebbero serviti per comprare delle armi automatiche da usare in un attacco terroristico. A Berlino Amri spacciava anche cocaina nel quartiere di Kreuzberg, un’area che da alcuni anni si sta gentrificando. Fu messo sotto sorveglianza e ad aprile fece richiesta formale di asilo politico in Germania. La richiesta naturalmente gli fu rifiutata e a giugno fu decisa la sua espulsione, mai realizzata perché Amri era sprovvisto di documento valido e non poteva essere rimpatriato. A settembre la sorveglianza si concluse, non si sa bene perché.

Sembra che in Germania Amri si sia avvicinato al gruppo di persone che orbitava attorno ad Ahmad Abdelazziz, conosciuto anche come Abu Walaa, un predicatore di origine irachena arrestato a novembre nella città tedesca di Hildesheim con l’accusa di terrorismo. Walaa si è autodefinito il rappresentante dello Stato Islamico in Germania ed è considerato dagli investigatori come la figura centrale di una “rete nazionale di indottrinati salafiti-jihadisti che sono strettamente legati tra loro e operano dividendosi i compiti”, organizzata per reclutare e indottrinare nuovi membri dello Stato Islamico e trovare fondi per finanziare il jihad (spesso i viaggi dei “foreign fighters”) tramite furti o truffe sui prestiti. Lo stesso Amri stava per partire per la Siria a un certo punto, ma poi il suo viaggio fu annullato per ragioni ancora ignote. Durante il periodo passato in Europa, Amri usò sei nomi diversi e mentì più volte sulla sua nazionalità; aveva anche più di un profilo Facebook, come ricostruito da Bellingcat, il sito fondato e gestito dal britannico Eliot Higgins.

I legami tra attività criminali e terrorismo islamista

Amri – accusato di spacciare cocaina – non è il primo caso di terrorista che era già finito nei guai per altri crimini più piccoli. Ibrahim e Salah Abdeslam, due degli attentatori degli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015, vendevano hashish a Bruxelles. Salah Abdeslam – unico sopravvissuto degli attentati di Parigi – passò diverso tempo in prigione per essersi introdotto illegalmente in un garage; suo fratello fu più volte indagato per furto, spaccio di droga e possesso illegale di armi. Amri condivideva con altri attentatori anche un’altra cosa: la permanenza in carcere. Sembra che Amri avesse cominciato a radicalizzarsi nei quattro anni trascorsi in prigione in Italia, così come era successo a Khalid e Ibrahim el Bakraoui, due degli attentatori degli attacchi terroristici di Bruxelles del 22 marzo 2016. Quando avevano compiuto l’attacco, i due fratelli el Bakraoui erano da poco stati scarcerati: erano stati condannati per rapina a mano armata e furto d’auto.

L’esperto di antiterrorismo svedese Magnus Ranstorp ha spiegato al Wall Street Journal che c’è una sovrapposizione tra criminali ed estremisti: «Sono a loro agio allo stesso modo nel vendere droga e commettere piccoli crimini da un lato e cimentarsi nell’estremismo dall’altro». Non solo in Italia ma anche negli altri paesi europei a chi commette crimini minori spesso vengono ridotti i periodi di incarcerazione, in modo da risolvere il problema delle carceri sovraffollate. Per l’esperto di diritto criminale belga Brice De Ruyver il problema dei sistemi legali delle democrazie europee è che sono adatti per punire i crimini più che per prevenirli. Inoltre per De Ruyver c’è un altro problema: la polizia e i servizi segreti si concentrano spesso sui sospettati d’alto profilo, quelli che si pensa siano impegnati nel trovare nuove reclute per lo Stato Islamico, o su quelli tornati in Europa dopo aver combattuto in Siria e in Iraq: in questo modo, tuttavia, i sospettati apparentemente meno importanti vengono trascurati. De Ruyver ritiene che dovrebbero essere implementate nuove misure preventive e che i ministri dell’Interno dovrebbero avere il potere di far arrestare individui sospettati di stare pianificando degli attentati, almeno quando esistono circostanze eccezionali.

Tutti i sospettati degli attacchi di gennaio e novembre 2015 a Parigi erano già stati segnalati alle autorità, ma una serie di errori di comunicazione tra intelligence, polizia e autorità penitenziarie aveva permesso ai sospettati di pianificare gli attacchi e portarli a compimento indisturbati. Anche per gli attentati in Belgio sembra le cose si siano svolte in maniera simile, secondo le prove finora raccolte da un’indagine richiesta dal parlamento. Sia nel caso di Amri che in quello degli attentatori di Parigi e Bruxelles, la polizia e i servizi segreti non sono riusciti a raccogliere abbastanza prove per evitare che avvenissero gli attacchi terroristici, anche se i loro autori erano noti alle forze di polizia. Sia l’Italia che la Germania hanno cercato di espellere Amri, senza riuscirci perché l’uomo non aveva i documenti e per questo la Tunisia non poteva rimpatriarlo: e tra tutte le inefficienze dei diversi sistemi nazionali, questa sembra la più incredibile.

(Perché in Italia finora è andata bene)

Nel caso di Anis Amri, poi, il fatto che in Germania ci sia una certa frammentazione tra le diverse autorità – c’è una polizia e un’intelligence federale, ma anche forze dell’ordine locali in ogni stato – ha contribuito a rallentare le indagini.

A che punto sono le indagini sull’attentato di Berlino

Il 24 dicembre le autorità tunisine hanno arrestato tre uomini perché sospettati di avere un legame con Amri e di «appartenere a un’organizzazione terroristica», secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno della Tunisia. I tre arrestati hanno un’età compresa tra i 18 e i 27 anni. La loro organizzazione sarebbe stata attiva tra Fouchana, una città vicina a Tunisi, e Oueslatia, il posto di origine di Amri. Uno dei tre uomini è nipote di Anis Amri, cioè il figlio di sua sorella: i due comunicavano tramite la app di messaggistica Telegram. Il nipote di Amri si chiama Fedi, ha 18 anni, e durante un interrogatorio ha confessato che lo zio gli aveva chiesto di giurare fedeltà allo Stato Islamico. Amri mandò del denaro al nipote per raggiungerlo in Germania attraverso una terza persona dopo avergli chiesto di entrare nel gruppo di Abu Walaa. Intanto i servizi segreti spagnoli stanno investigando su una possibile connessione tra Amri e un residente spagnolo: avrebbero comunicato su Internet il 19 dicembre.

La polizia tedesca, quella francese e quella italiana stanno collaborando per ricostruire gli spostamenti di Anis Amri da Berlino a Sesto San Giovanni. L’uomo aveva con sé dei biglietti ferroviari che fanno pensare che si sia spostato dalla Germania alla Francia, per poi arrivare in Italia; che le cose si siano svolte così pare essere confermato da un video di una telecamera di sorveglianza della stazione Part Dieu di Lione, secondo quanto riferito dal canale televisivo francese LCI. Finora non ci sono state ricostruzioni ufficiali ma molti giornali hanno messo insieme le informazioni disponibili per ipotizzare come si sia svolto il viaggio di Amri. A Sesto San Giovanni Amri era solo e con sé aveva circa 1.000 euro, una pistola calibro 22 (la si sta analizzando per determinare se sia la stessa con cui è stato ucciso l’autista polacco Lukasz Urban) e una scheda telefonica inutilizzata, oltre ai biglietti del treno; non aveva documenti e nemmeno un cellulare. Indossava tre paia di pantaloni, uno sopra all’altro, e il suo zaino conteneva solo uno spazzolino e della schiuma da barba. La polizia italiana sta cercando di capire se stesse cercando di raggiungere dei complici in Italia.

Non si sa ancora come abbia fatto Amri ad arrivare a Lione da Berlino (ci sono più di 1.200 chilometri tra le due città), ma uno dei due biglietti che aveva con sé era per un treno del 22 dicembre Lione-Chambery, il secondo Chambery-Milano: pare che Amri abbia fatto anche scalo alla stazione Porta Nuova di Torino. Da Milano Centrale, Amri avrebbe raggiunto Sesto San Giovanni con un bus navetta che sostituisce il servizio della metropolitana. La polizia italiana ha acquisito le immagini delle telecamere di sicurezza delle stazioni da cui Amri è passato per cercare di ricostruire i suoi spostamenti e verificare eventuali incontri. Secondo quanto riportato da alcuni giornali italiani, tra cui Il Mattino e Il Messaggero, la polizia starebbe indagando sulle conoscenze di Amri in Sicilia ed è possibile che l’attentatore fosse diretto proprio lì quando è stato ucciso. Alcune settimane prima dell’attentato di Berlino la polizia tedesca aveva trovato un permesso di soggiorno falso in possesso di Amri: pare che il documento sia stato prodotto a Palermo.