Da dove arrivano i guai di MPS?

La banca che per la terza volta sarà salvata dallo Stato è stata per anni dominata dalla politica: alla fine non si è rivelata una buona idea

Mercoledì sera il consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi di Siena ha annunciato il fallimento di un’operazione di ricapitalizzazione con fondi privati, che ha mancato gli obiettivi fissati. Poche ore dopo, al termine di un Consiglio dei ministri, il governo Gentiloni ha comunicato che MPS sarà salvata con fondi pubblici, per la terza volta negli ultimi dieci anni. Molti dettagli non sono ancora chiari, ma il governo ha detto che cercherà di tutelare i piccoli risparmiatori. Questa decisione potrebbe portare a un costo maggiore per lo Stato, rispetto a una soluzione che preveda un maggior contributo di investitori e risparmiatori. Le ragioni per cui MPS si è trovata in questa situazione cominciano quasi trent’anni fa e hanno a che fare con il rapporto spesso malsano che la banca ha avuto con la politica locale a Siena.

MPS è stata per decenni controllata dalla politica, e lo è rimasta anche dagli anni Novanta in poi. Fino a pochi anni fa, infatti, la maggioranza assoluta delle azioni della banca erano possedute dalla Fondazione Monte dei Paschi, un’istituzione semi-privata i cui vertici vengono nominati in gran parte dai rappresentanti della politica locale, come il sindaco di Siena, il presidente della provincia e quello della Toscana (oggi la fondazione ha una percentuale trascurabile di azioni della banca). Visto che il centrosinistra è sempre stato molto forte in quelle aree, MPS spesso viene indicata come una banca vicina al PCI, ai DS e ora al PD (come vedremo tra poco, in realtà, è sempre stata molto vicina alla politica, di qualunque colore fosse).

Molte altre banche italiane avevano quote possedute da fondazioni bancarie, ma MPS era l’unica in cui il controllo completo era in mano alla Fondazione. Il risultato di questo controllo “politico” della banca fu che MPS e la Fondazione investivano in maniera massiccia a Siena e più in generale in Toscana, in base a logiche politiche e spesso senza tenere conto della sostenibilità e della profittabilità degli investimenti. Ogni sorta di attività in provincia era finanziata con il denaro della banca: dall’università agli ospedali, dalle squadre sportive agli eventi culturali.

Ma i manager e i politici che guidavano la banca non erano generosi solo nei confronti del loro territorio. In questi ultimi anni i giornali hanno scoperto diversi casi in cui sono stati concessi prestiti o altri favori a importanti personaggi politici. Il Fatto Quotidiano, per esempio, ha raccontato che MPS ancora oggi si rifiuta di riscuotere da Silvio Berlusconi una fideiussione che vale più di otto milioni di euro. Berlusconi è tra i politici che con più forza chiedono che la banca venga salvata. Come nei casi delle quattro banche salvate dal governo alla fine del 2015, si è scoperto che a volte i manager concedevano prestiti ad amici e alleati che non avevano speranze di restituirli.

La necessità di distribuire denaro sul territorio ha spinto i manager della banca a compiere diverse operazioni rischiose e ai limiti della legalità. Un’inchiesta della magistratura iniziata nel 2013 dimostrò che per quattro anni alcuni manager avevano sottoscritto dei complicati contratti derivati con alcune banche. Grazie a questi titoli, tenuti nascosti ai controllori interni e agli istituti di vigilanza, gli amministratori riuscirono a mascherare le perdite del 2009 e a spalmarle, con grossissimi interessi, sugli anni successivi. Grazie all’operazione i vertici della banca riuscirono a distribuire utili anche quell’anno, così da permettere alla Fondazione di continuare a finanziare le sue attività.

L’operazione più spericolata fu probabilmente l’acquisto per 10 miliardi di Banca Antonveneta (BAV), uno storico istituto bancario italiano finito in crisi e acquistato prima da un gruppo olandese e poi da uno spagnolo. In quei mesi il settore bancario era in crescita ed MPS era una belle poche banche che non avevano compiuto grosse acquisizioni negli anni precedenti. Inoltre, proprio in quei mesi, politici e opinionisti parlavano spesso della necessità di mantenere “italiana” BAV. Alla fine del 2007 MPS ultimò l’acquisizione, ma molti fecero notare che appena pochi mesi prima BAV era stata ceduta al gruppo Santander per appena 6,6 miliardi di euro: in pochi mesi MPS aveva pagato per la stessa banca un prezzo quasi doppio.

Con l’inizio della crisi, l’anno successivo a questa difficile operazione, i problemi iniziarono a emergere. MPS ricevette un primo aiuto pubblico nel 2009, sotto forma di un prestito statale (i Tremonti bond) e poi nel 2012 un secondo prestito (i Monti bond), entrambi poi ripagati con gli interessi. L’allora presidente di MPS, Giuseppe Mussari, un avvocato calabrese che per sua stessa ammissione non capiva molto di finanza, si dimise (e poco dopo venne nominato presidente dell’Associazione Bancaria Italiana). Al suo posto arrivò Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit e uno dei banchieri italiani all’epoca più stimati.

Da allora iniziò una lunga e difficile opera di risanamento che ha portato a grossi miglioramenti nei conti dell’istituto, ma che non è riuscita a risolvere i problemi più profondi della banca. Oggi MPS possiede ancora 27 miliardi di euro di crediti deteriorati, cioè prestiti che non riesce a farsi restituire: sono in parte frutto della crisi, che ha reso insolventi centinaia di imprenditori e risparmiatori, ma anche delle spregiudicate politiche di credito che la banca ha attuato negli ultimi anni. Secondo alcuni la situazione della banca è stata aggravata dalle scelte della Fondazione, che dopo l’inizio della crisi – quando aveva ancora una certa capacità di controllare la banca – ha cercato di ostacolare alcune operazioni di risanamento pianificate da Profumo. Altri invece accusano Profumo e l’allora amministratore delegato, Fabrizio Viola, di non essere stati all’altezza della situazione.

Negli ultimi anni la banca ha continuato a rimanere in una situazione difficile, una sorta di “sorvegliato speciale” del sistema bancario europeo. In estate gli stress test della BCE hanno indicato come MPS rischi di essere l’unica grande banca europea a fallire in caso di una nuova recessione. La banca avrebbe avuto bisogno dell’ingresso di un nuovo socio con grandi capitali da investire per risolvere definitivamente la sua situazione, ma nonostante l’ottimismo dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, che all’inizio dell’anno definiva MPS un “ottimo affare“, la ricerca non ha avuto successo. Il governo ha deciso che non può permettersi di lasciar fallire la banca e, per la terza volta in dieci anni, ha utilizzato risorse pubbliche per metterla in sicurezza. Su quanto costerà l’ennesima operazione di salvataggio e su quanto durerà, al momento ci sono ancora molti dubbi.