• Mondo
  • Giovedì 1 dicembre 2016

L’eredità di Fidel Castro, secondo il Washington Post

È un paese povero e tutto da rifare, soprattutto per via di anni di dittatura e scelte sbagliate

di Staff editoriale del Washington Post

Un'auto a l'Avana passa vicino a un cartello con un'immagine di Fidel Castro e la scritta "La rivoluzione proseguirà", il 27 novembre 2016 (YAMIL LAGE/AFP/Getty Images)
Un'auto a l'Avana passa vicino a un cartello con un'immagine di Fidel Castro e la scritta "La rivoluzione proseguirà", il 27 novembre 2016 (YAMIL LAGE/AFP/Getty Images)

In contrasto con la sua lunga vita di violenza – sia verbale che fisica – la morte di Fidel Castro a novant’anni è stata, apparentemente, pacifica. Il dittatore comunista che ha governato Cuba dal 1959 al 2006, quando la malattia lo ha costretto a cedere il potere a suo fratello Raúl, più che morto è svanito lentamente. La sua morte è l’improbabile conclusione di una carriera turbolenta, a cui molti nemici di Castro – tra cui diverse amministrazioni statunitensi – avrebbero messo volentieri fine in maniera più brusca molti anni fa.

L’eredità politica di Castro è una “rivoluzione” di 57 anni che in passato è riuscita a esercitare a livello mondiale un’influenza superiore alle aspettative, ma che negli ultimi anni è diventata un decrepito pezzo da museo del totalitarismo in stile sovietico. Nonostante le obiezioni di Fidel, Raúl Castro ha cercato di adattare e preservare il regime, anche attraverso l’apertura agli Stati Uniti. L’iniziativa, che è stata contraccambiata con troppo entusiasmo da parte del presidente americano Obama, ha sì portato più dollari e turisti a Cuba, ma non ha mitigato la soffocante e spesso violenta repressione delle libertà di parola, riunione e di altri fondamentali diritti umani.

La Cuba di Fidel Castro vantava un livello senza precedenti di autonomia dagli Stati Uniti. Sotto Castro, inoltre, gli indicatori del paese in materia di sanità pubblica e alfabetizzazione sono stati nettamente superiori a quelli di molte altre nazioni latinoamericane (ma lo erano anche prima della rivoluzione). Per queste “conquiste”, tuttavia, i cubani hanno pagato un prezzo terribile, molto più alto di quanto si sarebbero aspettati quando Castro fece il suo ingresso a l’Avana, promettendo di ripristinare le libertà politiche negate dalla dittatura sostenuta dagli Stati Uniti che aveva rimosso. La repressione politica operata da Castro – in contraddizione con le sue politiche sociali apparentemente benevole – raggiunse degli estremi che avrebbero fatto impallidire il suo predecessore, Fulgencio Batista. Prima ci furono le sommarie esecuzioni di massa dei funzionari di Batista, seguite a stretto giro dall’incarcerazione di migliaia di uomini gay e lesbiche, la sorveglianza di tutti i cittadini quartiere per quartiere, le ripetute epurazioni – completate da processi farsa ed esecuzioni – contro esponenti del partito di governo, e le punizioni contro artisti, scrittori e giornalisti dissidenti. Il regime di Castro si ispirò al paese che aveva scelto come alleato per controbilanciare l’influenza del nemico americano, cioè l’Unione Sovietica, di cui Cuba accolse i missili nucleari portando il mondo sull’orlo dell’apocalisse. Castro ha finanziato movimenti sovversivi e violenti in una mezza dozzina di paesi latinoamericani e il suo sostegno a Hugo Chávez in età senile ha contribuito a spingere il Venezuela verso una catastrofe economica e politica.

Prima di Castro l’economia cubana dipendeva eccessivamente dalle esportazioni di zucchero lasciando troppe persone in condizioni di povertà, e l’embargo commerciale imposto dagli Stati Uniti dopo il 1961 non ha aiutato il successo della rivoluzione. Ma è stato lo stesso Castro a fare la maggior parte dei danni, impoverendo l’isola con un programma di controllo statale totale, accentuato occasionalmente da progetti pomposi, dallo sventurato raccolto di 10 milioni di tonnellate di zucchero negli anni Sessanta al brutale rigore del “periodo speciale” dopo la fine delle sovvenzioni sovietiche negli anni Novanta.

Oggi Cuba sopravvive grazie al petrolio venezuelano e alle rimesse dei milioni di cubani che sono scappati dal regime di Castro. Il paese dipende anche dai turisti, compresi i sempre più numerosi americani, molti dei quali, purtroppo, sono attratti dal commercio sessuale ufficialmente tollerato da Cuba. Da questo punto di vista, la rivoluzione si è limitata a riportare Cuba ai giorni di Batista. Il consolidamento del regime da parte di suo fratello fa sì che difficilmente la morte di Fidel Castro porti a grandi cambiamenti. Per una nuova amministrazione statunitense è però un’ulteriore spinta a ripensare a come promuovere al meglio la libertà a Cuba, maggiori flussi commerciali e relazioni migliori con il talentuoso ma devastato paese lasciato da Castro.

© 2016 – The Washington Post