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  • Domenica 20 novembre 2016

Chesley Sullenberger, quello del film “Sully”

La storia da film – che infatti è diventata un film – del pilota che fece il più spettacolare atterraggio di emergenza di sempre, e che stasera è ospite di “Che tempo che fa”

di Emanuele Menietti – @emenietti

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Chesley "Sully" Sullenberger, nel 2009 (Seth Wenig-Pool/Getty Images)

Chesley “Sully” Sullenberger ha 65 anni ed è un ex pilota d’aerei. Fino al 15 gennaio 2009 era “solo” un pilota d’aerei: dopo quel giorno divenne invece un eroe. Quel giorno Sullenberger – Sully è il suo soprannome – dovette infatti fare un ammaraggio d’emergenza nel fiume Hudson, a New York, a pochi metri di distanza dai grattacieli di Manhattan. Lo fece benissimo: salvò tutte le 155 persone a bordo e divenne un eroe nazionale. L’aereo era un Airbus A320-214 della Us Airways, che era partìto dall’aeroporto LaGuardia di New York ed era diretto a Charlotte, nella Carolina del Nord. Poco dopo il decollo l’aereo ebbe un problema e Sullenberger riuscì a gestirlo nel miglior modo possibile. Era chiaramente una storia da film e lo è diventata grazie a Clint Eastwood, che ha girato il film in cui Chesley Sullenberger è interpretato da Tom Hanks: se ne parla come di uno dei possibili candidati all’Oscar del 2017 per il Miglior film ed esce in Italia l’1 dicembre. Qui sotto c’è il trailer italiano; ancora più sotto c’è invece l’articolo con il quale nel 2013 avevamo raccontato quell’incredibile ammaraggio sull’Hudson.

Il 15 gennaio 2009 il pilota Chesley Sullenberger non immaginava che, pochi minuti dopo essere salito a bordo del suo Airbus A320-214 della US Airways all’aeroporto LaGuardia di New York, sarebbe diventato un eroe nazionale e il primo responsabile del salvataggio di 155 vite – compresa la sua – in uno spettacolare atterraggio a pochi metri di distanza dai grattacieli di Manhattan. La sua prodezza, cioè quella di compiere un atterraggio di emergenza sul fiume Hudson, fece il giro del mondo e fu narrata per giorni dai mezzi di informazione, avidi di nuovi dettagli e informazioni per arricchire la storia e riraccontarla decine di volte, certi che ci sarebbe stato sempre qualcuno disposto a sentirla. Di nuovo, e ancora, perché incredibile.

Il volo

Tutto iniziò nel primo pomeriggio del 15 gennaio del 2009 all’aeroporto LaGuardia. Erano le prime ore del pomeriggio e i passeggeri del volo 1549 attendevano al terminal di salire sul loro aeroplano, che li avrebbe portati a Charlotte nella Carolina del Nord. La giornata era serena e con solo qualche nuvola all’orizzonte, ma in compenso faceva un gran freddo con diversi gradi al di sotto dello zero. La vista dalle vetrate del terminal non era un granché, il solito panorama da aeroporto con gli aerei enormi parcheggiati, le loro code colorate, e il continuo brulichio di persone e veicoli minuscoli intorno. All’orizzonte, oltre alle nubi, qualche stormo di uccelli in volo.

Mentre i passeggeri attendevano di imbarcarsi, sull’aeroplano il pilota Sullenberger era al lavoro con il suo primo ufficiale, Jeffrey B. Skiles, per i controlli di rito prima della partenza. All’epoca il pilota aveva 57 anni e lavorava nell’aviazione civile da quasi 30 anni, dopo avere trascorso un periodo presso l’Air Force degli Stati Uniti. Esperto di sicurezza del volo, aveva anche la passione per i deltaplani. Skiles era di otto anni più giovane e aveva da poco passato l’abilitazione per pilotare la classe di aeroplani su cui si trovava. Con loro c’erano altri tre membri dell’equipaggio.

Airbus A320

L’aeroplano sul quale stavano per imbarcarsi i passeggeri era un Airbus A320-214 con due motori a turboventola, un modello molto diffuso e utilizzato nell’aviazione civile. Era della compagnia aerea US Airways, che all’epoca ne aveva in dotazione 74, ed era stato costruito e consegnato alla società dieci anni prima. L’aeroplano aveva una buona carriera alle spalle con oltre 25mila ore di volo ed era stato sottoposto ai controlli di sicurezza di routine poco più di un mese prima di quel pomeriggio di gennaio.

Partenza

Dopo avere caricato a bordo i 150 passeggeri, l’aereo si spostò goffamente sulle piste di raccordo del LaGuardia per raggiungere l’area di decollo. Mentre percorreva le ultime centinaia di metri a terra, l’equipaggio si mise a illustrare con gesti misurati e ormai automatici le indicazioni di sicurezza, quelle che in pochi stanno ancora ad ascoltare: la posizione delle uscite di sicurezza, il funzionamento degli scivoli gonfiabili di emergenza, la collocazione e l’uso dei giubbotti salvagente. Poi l’aereo prese velocità sulla pista 4 e alle 3:25 del pomeriggio (le 21.25 in Italia) si sollevò regolarmente da terra, pilotato dal primo ufficiale Skiles.

Oche

Fu proprio Skiles a notare, un paio di minuti dopo il decollo, una formazione di uccelli in rotta di collisione con l’aeroplano, che aveva intanto guadagnato gli 820 metri di altitudine dei 4.600 di ascesa previsti. Pochi secondi dopo le 3:27 avvenne l’impatto con gli uccelli, alcuni dei quali (stando alle inchieste successive all’incidente) fecero una pessima fine risucchiati dai due motori dell’Airbus. Probabilmente erano oche del Canada: danneggiarono seriamente i motori, che smisero di funzionare. Non tutti i passeggeri capirono subito che cosa fosse accaduto, ma fu impossibile non accorgersi della serie di forti esplosioni provenienti dai motori, il fumo e il loro rantolo sordo prima di arrestarsi. Nella cabina si diffuse anche un forte odore di combustibile. Persa parte dell’inerzia, l’aeroplano iniziò a perdere lentamente quota portandosi a un’altitudine intorno ai 500 metri. Avvenne tutto in meno di un minuto.

Senza motori

Sullenberger assunse il comando dell’aereo, mentre Skiles avviò le procedure di emergenza previste per provare a riavviare i motori. I due non avevano ancora idea dell’entità del danno causato dall’impatto, ma sapevano che il loro aereo su cui c’erano 155 persone stava perdendo quota e rischiava di schiantarsi in una delle zone più popolate del paese. Si misero in contatto con il controllo aereo del New York Terminal Radar Approach Control (TRACON) per comunicare l’emergenza: «Abbiamo colpito degli uccelli. Abbiamo perso il controllo di entrambi i motori. Stiamo tornando indietro verso LaGuardia».

Il controllore di volo che rispose alla chiamata comunicò immediatamente all’aeroporto di fermare tutti i voli in partenza e diede istruzioni al volo 1549 per seguire una rotta che lo riportasse verso una delle piste del LaGuardia. L’aereo stava mantenendo l’assetto, ma Sullenberger spiegò al controllore di volo che non ce l’avrebbe mai fatta a tornare indietro fino alla pista indicata. Il pilota chiese se non fosse possibile tentare un atterraggio di emergenza in un altro aeroporto nelle vicinanze, nel New Jersey. Ma pochi istanti dopo si rese conto che non ce l’avrebbe fatta a portare nemmeno in quel punto l’aereo, che proseguiva la propria planata a motori spenti.

“Andiamo nell’Hudson

Mentre i piloti erano al lavoro per organizzare un atterraggio di emergenza, i tre membri dell’equipaggio in cabina cercavano di tranquillizzare i passeggeri, che avevano saputo direttamente dalla voce del capitano dell’incidente con lo stormo di uccelli. Non avevano però idea che Sullenberger avesse escluso ogni possibilità di compiere un atterraggio di emergenza al LaGuardia o nel New Jersey. A meno di 500 metri di altitudine erano visibili le case, le strade, il traffico della zona di New York. Ritenendo di non avere più altra scelta, e consapevole di avere pochissimo tempo per fare qualcosa, Sullenberger disse laconico al controllore di volo: «Andiamo nell’Hudson». Il fiume scorreva a poche centinaia di metri più in basso e si sarebbe trasformato nella pista per un atterraggio di emergenza di un aeroplano lungo 37,6 metri e con una apertura alare di 34 metri.

L’aereo fu visto passare a circa 270 metri sopra il ponte George Washington e diversi abitanti della zona capirono che c’era qualcosa che non andava, qualcuno temette un nuovo attacco terroristico sulla città dopo quello del 2001. A novanta secondi circa dal contatto con l’acqua, Sullenberger comunicò all’equipaggio la frase standard “Prepararsi all’impatto”. Le istruzioni annunciate prima del decollo, nel disinteresse generale, furono ripetute rapidamente e più nel dettaglio ai passeggeri.

Splash

Alle 3:31 del pomeriggio, a circa sei minuti dal decollo, l’Airbus della US Airways terminò il proprio volo a motori spenti nel fiume Hudson, mentre era diretto verso sud a una velocità di circa 240 chilometri orari. Il pilota riuscì a eseguire un perfetto ammaraggio facendo planare lentamente l’aereo con un grado di inclinazione tale da evitare un forte impatto, che avrebbe potuto spezzare in più parti la cabina. Dopo avere toccato l’acqua, l’aereo proseguì per diversi metri prima di fermarsi. Poi iniziò a imbarcare l’acqua gelida del fiume.

In acqua

L’aereo era intero ma lì, nel mezzo dell’Hudson con i sistemi in avaria, costituiva comunque un potenziale pericolo. Sullenberger non perse tempo e ordinò immediatamente all’equipaggio di avviare l’evacuazione di quella improvvisata zattera con le ali. Uno degli scivoli gonfiabili di emergenza fu utilizzato come canotto per mettere in salvo decine di passeggeri, ancora frastornati e increduli. Altri furono fatti uscire dalle porte di emergenza collocate al centro dell’aereo e gli fu detto di attendere sulle ali l’arrivo dei soccorsi. Un passeggero, probabilmente preso dal panico, aprì da solo una porta di emergenza sul retro dell’aereo, causando l’ulteriore allagamento della cabina. Un membro dell’equipaggio provò a richiudere il varco, ma senza successo.

L’aeroplano, si sarebbe scoperto in seguito, aveva subito alcuni danni nella parte inferiore che era entrata per prima a contatto con la superficie del fiume. Si era aperto uno squarcio che aveva fatto imbarcare all’aereo molta acqua, causando anche l’apertura di alcuni portelloni della stiva. Ai passeggeri nella coda fu consigliato di avanzare arrampicandosi sui sedili per mettersi in salvo dall’acqua che continuava a salire. Quando furono fatte uscire tutte le 154 persone a bordo, Sullenberger percorse avanti e indietro la cabina per assicurarsi personalmente che tutti i passeggeri e i suoi colleghi fossero effettivamente fuori dall’aereo. Fu l’ultima persona a lasciare l’aeroplano.

In salvo

La vista di quel pomeriggio da Manhattan verso il fiume Hudson era a dir poco insolita. Trasportato lentamente dall’acqua gelida c’era un aeroplano a mollo, quasi del tutto intero, con 155 persone in piedi sulle sue due ali e su uno scivolo gonfiabile. Poco distante, alcuni battelli navigavano veloci verso la zona dell’incidente per recuperare i passeggeri e metterli in salvo dal gran freddo. Il primo battello arrivò a circa quattro minuti dal momento in cui l’aereo era finito nell’Hudson e avviò le operazioni di salvataggio. Tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio furono recuperati e portati sulla terra ferma. Di questi circa la metà furono assistiti dal personale sanitario sul luogo o in ospedale per ipotermia o per alcune contusioni.

Nei giorni seguenti molti dei passeggeri ebbero la necessità di un aiuto psicologico per superare il trauma subito, curare gli episodi ricorrenti di insonnia e gli attacchi di panico. La compagnia aerea inviò a ognuno di loro una lettera di scuse e 5mila dollari per i danni subiti al loro bagaglio. L’assicurazione della compagnia aerea, inoltre, offrì 10mila dollari a ognuno di loro in cambio di qualsiasi rinuncia a citare per danni US Airways.

Ancora e ancora

Nei giorni seguenti all’incidente la storia del volo 1549 fu raccontata, analizzata, studiata e riraccontata dai principali mezzi di comunicazione negli Stati Uniti e all’estero. Diversi passeggeri furono intervistati per sentire la loro versione della vicenda e avere nuovi dettagli. Il pilota Sullenberger divenne in pochi giorni, e con un po’ di inevitabile retorica, un eroe nazionale ospitato da tutti i principali programmi di approfondimento giornalistici e da quelli di intrattenimento della nazione. Rispose a decine di domande, quasi sempre le stesse, dicendo di avere fatto semplicemente il proprio dovere e riconoscendo di essere stato probabilmente aiutato da un po’ di fortuna. All’equipaggio del volo furono date le chiavi della città di New York, una medaglia e diversi altri riconoscimenti.

La vicenda stimolò anche la creatività legata al suo racconto giornalistico. Il sito del New York Times ricostruì i pochi minuti di volo e l’incidente dell’Airbus con una infografica interattiva molto efficace. Mettendo insieme le informazioni sulla dinamica dell’incidente e le comunicazioni tra l’aereo e i controlli di volo, la società Scene Systems realizzò una animazione molto fedele di come andarono le cose nel pomeriggio del 15 gennaio 2009.

Relitto

I resti dell’Airbus A320 furono trasferiti a circa sei chilometri di distanza dal punto dell’impatto con l’acqua in un molo. Uno dei due motori si era staccato dopo il contatto e fu recuperato sul fondo dell’Hudson a circa 20 metri di profondità. L’aeroplano fu poi rimosso dall’acqua e collocato su una chiatta, per essere trasportato nel New Jersey per alcune analisi. Un anno dopo fu messo all’asta e fu acquisito dal Carolinas Aviation Museum della Carolina del Nord, dove è ora esposto.

Sullenberger

Un anno dopo la prodezza sul fiume Hudson, Sullenberger annunciò il proprio pensionamento dalla carriera di pilota della US Airways, confermando comunque l’intenzione di lavorare ad altri progetti come esperto di sicurezza del volo. Da allora ha tenuto convegni e scritto libri sul tema, contribuendo anche allo sviluppo di nuovi protocolli e soluzioni per migliorare la sicurezza dei voli di linea.

E le oche?

Senza lo stormo di oche del Canada la storia pazzesca del volo 1549 non sarebbe esistita, e certamente non sarebbe stato un male, soprattutto per i passeggeri che non dimenticheranno mai il 15 gennaio 2009. Per evitare che in futuro altre oche potessero essere alla base di un grave incidente aereo nei pressi dell’aeroporto La Guardia, nei mesi di giugno e luglio del 2009 diverse istituzioni statunitensi si sono date da fare per tenere sotto controllo o fermare le nascite di nuove nidiate di oche del Canada nella zona di New York.

“A Real Hero”

La canzone dei College “A Real Hero”, molto conosciuta in seguito al suo utilizzo nella colonna sonora del film “Drive”, fa esplicito riferimento alla storia del volo 1549 e del suo pilota. Ricorda le 155 persone a bordo “tutte al sicuro e salvate dal veicolo che affonda lentamente” da un “vero essere umano, un vero eroe”.