Raggi e Appendino sono contro le quote rosa

La sindaca di Roma ha detto che rappresentano «una sorta di recinto, una sorta di riserva dei panda»

Virginia Raggi e Chiara Appendino al Campidoglio, Roma, 13 settembre 2016 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Virginia Raggi e Chiara Appendino al Campidoglio, Roma, 13 settembre 2016 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Virginia Raggi e Chiara Appendino, sindache di Roma e Torino del Movimento 5 Stelle, hanno dichiarato di essere contrarie alle cosiddette “quote rosa”. Invitata ad aprire il convegno organizzato a Roma dal «Women’s international networking», che promuove la leadership femminile, Raggi ha detto:

«In Italia noi abbiamo un problema grande che è l’affermazione della donna in ambito politico e aziendale, ad esempio, e nella maggior parte dei casi la risposta è legata e relegata a quelle che si chiamano “quote rosa”».

E facendo riferimento alla legge del 2012, la cosiddetta Golfo-Mosca, che impone alle società quotate in borsa e alle partecipate pubbliche di riservare almeno un terzo dei ruoli nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali al genere meno rappresentato, Raggi ha detto:

«Onestamente per me questa legge rappresenta una sorta di recinto, una sorta di riserva dei panda. Quindi di fatto questa legge che nasce per contrastare la discriminazione, a mio avviso si rivela ancora più discriminatoria di prima, offende proprio le donne e le confina in una visione un po’ anacronistica (…) Io credo che la parità di genere vada promossa nella società, ma questa promozione attraverso una quota fissa credo sia un modo superficiale che non aiuta ad affrontare il problema reale»·

A sostegno di quanto dichiarato da Raggi, Appendino durante l’incontro di mercoledì 28 settembre a Torino intitolato “Women, We Can” con Jessica Grounds – responsabile della campagna elettorale di Hillary Clinton “Women Ready for Hillary” e esperta di leadership femminile, ha detto:

«Sono lo strumento e non l’obiettivo e il modello ideale a cui tendere è quello senza quote rosa, intese come obbligo e senza distinzioni di genere. Con l’obiettivo che si parli di leadership non più distinta fra femminile e maschile, questa è la grande sfida».

La sindaca di Torino ha spiegato che per una reale uguaglianza nelle posizioni di potere, serve «un nuovo welfare che aiuti le donne sul posto di lavoro». Serve cioè mettere le donne in una condizione di parità reale e quotidiana per poter poi permettere loro una scelta libera anche in ambito lavorativo.

All’interno dei movimenti femministi ci sono diverse posizioni sulla questione delle quote rosa. Semplificando: da una parte c’è il cosiddetto “femminismo paritario” o “femminismo di stato”, che deriva a sua volta dalla prima ondata del movimento delle donne, quello dell’emancipazionismo suffragista ottocentesco e che mette al centro della sua azione la spartizione del potere tra donne e uomini. La seconda ondata – Simone de Beauvoir ne fu una delle fondatrici – e poi il femminismo autonomo mettono invece al centro della discussione non il concetto di parità ma quello di differenza: non negando la parità dei diritti, sostengono che solo attraverso l’accettazione delle differenze tra i generi si possa raggiungere una vera uguaglianza.

Secondo le femministe contemporanee, puntare sulla quantità funziona come un trucco che si può riassumere nella frase: “donne purché donne e che magari piacciano agli uomini”, un atteggiamento che in generale viene descritto come pinkwashing. Secondo le femministe della differenza l’avere obbligatoriamente una pari quantità di donne e di uomini non assicura un reale guadagno per le donne e anzi, considerare una donna solo per il suo sesso e non per quello che pensa o per i suoi meriti è un’operazione sessista. Il trucco della quantità non sarebbe altro che un’inadeguata risposta maschile. Quando Renzi nominò nel suo governo otto ministre donne, ma non un ministero delle Pari Opportunità, molte femministe lo accusarono di aver risolto la questione solo superficialmente, “con una passata di rosa”.

Commentando le dichiarazioni di Raggi e Appendino La Stampa scrive che in passato entrambe avevano dimostrato posizioni diverse, cioè più concilianti con le quote rose, e che le ultime dichiarazioni siano in qualche modo funzionali alla scelta delle nuova giunta di Roma.