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  • Lunedì 8 agosto 2016

Il disastro di Marcinelle, 60 anni fa

La mattina dell'8 agosto 1956 in una miniera in Belgio scoppiò un incendio e morirono 262 persone, tra cui 136 italiani

La miniera di Marcinelle dopo l'incidente. (Archivio Storico Città di Torino/Gazzetta del Popolo)
La miniera di Marcinelle dopo l'incidente. (Archivio Storico Città di Torino/Gazzetta del Popolo)

La mattina dell’8 agosto 1956, sessant’anni fa, la miniera di carbone di Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio, si riempì di fumo a causa di un incendio nel condotto che portava l’aria dentro i tunnel sotterranei. Morirono 262 persone, tra cui 136 italiani: tra i minatori al lavoro quel giorno, ne sopravvissero solo una decina. Il disastro di Marcinelle è il terzo incidente minerario per il numero di morti italiani, dopo quello del 1907 a Monongah e quello del 1913 a Dawson, entrambi negli Stati Uniti.

Dopo la Seconda guerra mondiale, il Belgio si ritrovò con un settore industriale che aveva subito conseguenze meno gravi di quelle di altri paesi europei e con molte risorse minerarie. C’era però poca manodopera, e furono avviati programmi governativi per importarla dagli altri paesi. In Italia, al contrario, c’erano pochi giacimenti minerari e moltissimi operai poco qualificati e disoccupati: migliaia di persone partirono quindi per andare a lavorare in Belgio. Il governo italiano, guidato dal primo ministro Alcide De Gasperi, nel 1946 aveva stipulato con il Belgio un accordo che prevedeva l’invio di 50mila operai per le miniere belghe in cambio di carbone. Gli operai che andavano in Belgio avrebbero dovuto ricevere alloggio e frequentare un corso di formazione. In realtà le condizioni degli operai italiani si rivelarono pessime: dal viaggio verso il Belgio fino alle sistemazioni nelle baracche una volta arrivati alle miniere, gli operai dovettero vivere in condizioni igieniche molto scarse e vennero discriminati dagli abitanti del posto. Le condizioni di lavoro nelle miniere erano a loro volta rischiose e molto provanti.

Il “pozzo I” della miniera di carbone di Marcinelle, vicino alla città di Charleroi, funzionava dal 1830: con gli anni si era sviluppato in profondità fino ad arrivare a 1.035 metri nel 1956. Il pozzo I era a sua volta diviso in due pozzi paralleli, ciascuno dei quali ospitava un ascensore, che erano mossi da due grosse ruote di ferro sistemate sopra delle torri in superficie. Nella miniera, le strutture che reggevano le pareti dei tunnel e i puntelli erano in legno: in molte altre miniere il legno era ormai stato sostituito da materiali non infiammabili. L’aria pulita all’interno della miniera era immessa all’interno grazie a condotti di aerazione alimentati da pale elettriche sotterranee.

La mattina dell’8 agosto 1956 qualcosa andò storto con gli ascensori. Le esatte dinamiche dell’incidente sono state ricostruite da un’inchiesta commissionata dal ministero dell’Economia belga subito dopo il disastro. A non essere state chiarite con precisione, tuttavia, furono le responsabilità dell’incidente. Quello che si sa è che intorno alle 8 di mattina, alcuni operai della miniera decisero di avviare un protocollo per muovere i due ascensori senza che gli addetti al carico ai vari livelli della miniera dovessero dare ogni volta il segnale di via libera. Questo protocollo prevedeva però che l’addetto al piano a 975 metri di profondità non caricasse l’ascensore con i vagoni di carbone: in questo modo non avrebbe interagito con l’ascensore e non c’era bisogno della sua approvazione per azionarlo. L’addetto al carico del piano 975, però, caricò lo stesso l’ascensore quando arrivò al suo piano. Secondo qualcuno l’errore fu dovuto a un’incomprensione perché Antonio Iannetta, l’addetto al carico del piano 975, era italiano e non capì le istruzioni in francese. Altre ricostruzioni negano questa ipotesi, sostenendo che le uniche istruzioni che avrebbe dovuto ricevere Iannetta erano non verbali. Qualcuno ha sostenuto che Gaston Vaussort, l’aiutante francese di Iannetta, gli disse che poteva caricare l’ascensore, mentre una terza versione – quella sostenuta da Iannetta – dice che Vaussort in quel momento era assente, e non poté avvertirlo che doveva lasciare libero l’ascensore. Iannetta riuscì a sopravvivere, scappando subito dopo l’incidente e dando l’allarme. Vaussort invece morì e non poté fornire la sua versione.

Mentre Iannetta caricava l’ascensore, il sistema che muoveva i carrelli si bloccò e due carrelli rimasero incastrati, sporgendo dall’ascensore: di per sé non era una situazione rischiosa, perché normalmente Iannetta avrebbe potuto sbloccare i carrelli e solo allora dare il via libera per far muovere l’ascensore. Oscar Mauroy, che muoveva l’ascensore dalla superficie, azionò invece un ascensore dopo aver scaricato l’altro, collegato a quello al piano di Iannetta. Mauroy era convinto che al piano 975 Iannetta non stesse caricando il suo ascensore in quel momento. I carrelli sporgenti dell’ascensore di Iannetta urtarono un puntello, che a sua volta tranciò diversi cavi elettrici, telefonici e tubi, uno dei quali conteneva olio in pressione. Le scintille incendiarono l’olio e il fumo scese rapidamente per tutta la miniera, perché il pozzo I era quello che portava l’aria dall’esterno all’interno della miniera (il pozzo II faceva il contrario).

I soccorsi furono da subito molto lenti e difficili: all’inizio alcuni operai che si trovavano in superficie provarono a scendere per verificare la situazione e dare una mano, ma non riuscirono a far niente per via del fumo. Quando arrivarono i veri soccorritori, equipaggiati con i respiratori, erano più o meno le nove di mattina. Anche con i respiratori non si riuscì a scendere in profondità, dove l’incendio intanto si stava allargando. Nel pomeriggio, dopo che i soccorritori avevano provato diversi modi per scendere, tra cui fare una modifica strutturale agli ascensori in modo da poter utilizzare quello rimasto in superficie per scendere, gli ultimi sopravvissuti risalirono fino a uscire dalla miniera.

Nei giorni successivi vennero organizzate manovre più imponenti per andare sottoterra, alle quali parteciparono molti volontari. Qualcuno credeva di poter trovare dei sopravvissuti in un rifugio che si trovava a 1.035 metri di profondità: quando i soccorsi ci arrivarono, però, trovarono solo morti. Le ricerche andarono avanti senza successo fino al 22 agosto, quando fu dichiarato che tutte le persone rimaste nella miniera erano morte. Gli ultimi cadaveri, in condizioni pessime e difficili da riconoscere, furono portati fuori dalla miniera soltanto nel marzo del 1957. Morirono in tutto 262 persone; i 136 operai italiani provenivano da 13 regioni diverse. Ventidue venivano da Manoppello, un piccolo comune in provincia di Pescara.

Le varie inchieste sull’incidente non stabilirono delle responsabilità, e nel 1959 i dirigenti della miniera vennero assolti dalle accuse di inadempienza. Nel 1961 fu poi condannato in appello a sei mesi Adolphe Cilicis, un ingegnere che dirigeva i lavori della miniera. Nel 1957 intanto erano riprese le attività della miniera di Bois du Cazier, che fu poi chiusa nel 1967.