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  • Domenica 7 agosto 2016

Hillary Clinton e il caso Whitewater

Negli anni Novanta rischiò di essere incriminata per una storia simile a quella delle email: e come oggi, qualcuno disse che la passò liscia

di Rosalind S. Helderman – The Washington Post

Hillary Clinton dopo una testimonianza sul suo ruolo nell'ambito del caso Whitewater, il 26 gennaio 1996 (PAUL J. RICHARDS/AFP/Getty Images)
Hillary Clinton dopo una testimonianza sul suo ruolo nell'ambito del caso Whitewater, il 26 gennaio 1996 (PAUL J. RICHARDS/AFP/Getty Images)

I procuratori americani e gli agenti dell’FBI si sono tormentati per sedici ore per decidere se consigliare o meno al governo di aprire un’indagine formale su Hillary Clinton. Dopo aver soppesato ogni minima prova, esaminato pile di documenti ed escluso la possibilità che potesse essere condannata sulla base di quanto raccolto, hanno preso la loro difficile decisione: Clinton non deve essere formalmente accusata.

Quasi vent’anni prima che il direttore dell’FBI James B. Comey dichiarasse che «nessun procuratore ragionevole» avrebbe sporto un’accusa contro Clinton per il suo utilizzo di un server di email privato durante il suo mandato come segretario di Stato, Clinton aveva già scampato di poco un pericolo legale simile, nell’ambito dell’indagine Whitewater, che aveva occupato gran parte del mandato di suo marito Bill come presidente. L’inchiesta, coordinata negli anni Novanta dal procuratore indipendente Kenneth W. Starr, è ricordata soprattutto per l’indagine che cercò di stabilire se il presidente Bill Clinton avesse mentito sotto giuramento in merito alla sua relazione con la stagista Monica Lewinksy. Alcuni documenti interni dell’inchiesta, però, mostrano quanto all’epoca i procuratori fossero andati vicini a incriminare Hillary Clinton, arrivando addirittura a preparare la bozza di un atto d’accusa, che non è mai stata resa pubblica.

Come per l’attuale scandalo delle email, anche nel 1998 l’onestà di Clinton fu un punto centrale nell’indagine dei procuratori, che cercarono di capire se le versioni discordanti fornite da Clinton fossero un tentativo di insabbiare dei comportamenti illeciti. Come successo in questi giorni, Clinton fu interrogata per ore dalle autorità. Ma a differenza dell’indagine sulle email – in occasione della quale Comey ha sostenuto che il fatto che Clinton sia candidata alla presidenza non abbia avuto nessun effetto sulla decisione di non incriminarla – alcuni documenti degli anni Novanta dimostrano che i procuratori valutarono se la popolarità politica di Clinton avrebbe reso più difficile condannarla.


All’epoca, a essere messo in discussione era il lavoro legale svolto da Clinton negli anni Ottanta per conto di Madison Guaranty Savings and Loan, quando Clinton era un’avvocato dello studio legale Rose di Little Rock, in Arkansas. Madison Guaranty, una società che si occupava di risparmio e credito, era di proprietà di un socio d’affari dei Clinton, che fu successivamente condannato per frode in relazione a dei crediti inesigibili erogati dalla società. Clinton disse che il lavoro che aveva svolto era stato minimo e che non era a conoscenza degli illeciti compiuti da Madison Guaranty.

La vicenda serve a ricordare come l’etica e la capacità di giudizio di Clinton siano sotto osservazione da molto tempo – era già così nel periodo in cui era First Lady – e contribuisce a spiegare perché i dubbi dell’opinione pubblica sulla sua affidabilità siano così difficili da superare, e allo stesso tempo perché lei e i suoi sostenitori si sentano da tempo presi di mira dai loro avversari politici. Il Washington Post ha ottenuto i documenti delle delibere dei procuratori del 1998 dagli Archivi nazionali degli Stati Uniti, grazie al Freedom of Information Act. Gli Archivi nazionali si sono rifiutati di fornire al giornale delle copie della bozza dell’atto di accusa, sostenendo che l’accesso al documento era «riservato». Judicial Watch, un’associazione conservatrice americana, ha fatto causa agli Archivi nazionali, chiedendo la diffusione del documento. Tra i documenti ottenuti dal Washington Post c’è una nota scritta dai collaboratori di Starr, che riassume le prove raccolte contro Clinton. I procuratori si erano accorti che diverse dichiarazioni sotto giuramento fatte da Clinton tra il gennaio del 1994 e il febbraio del 1996 «riflettevano e contenevano resoconti notevolmente imprecisi». «Il punto, in generale, non è se le dichiarazioni sono o meno imprecise, ma se lo sono in modo volontario», continuavano i procuratori. I documenti dimostrano i dubbi dei procuratori sulla possibilità che i membri della giuria potessero essere influenzati da un processo largamente indiziario – cioè che non si basa su prove dirette – soprattutto visto l’importante ruolo di Clinton come First Lady.

In una nota ai suoi colleghi, il procuratore Paul Rosenzweig aveva esposto le possibilità di diversi possibili esiti, prevedendo un due per cento di possibilità che il giudice rigettasse la causa. «Assoluzione: 18 per cento; giuria non unanime: 70 per cento; condanna: 10 per cento», si legge nella nota. «Per me non è sufficiente». In un’intervista, Rosenzweig ha detto di aver riflettuto sulla decisione presa 18 anni fa dopo aver ascoltato le parole di Comey la settimana scorsa. Rosenzweig ha spiegato che la decisione di Comey gli ha «ricordato molto» le difficoltà affrontate all’epoca dall’Ufficio del procuratore indipendente. Ha raccontato che nel 1998 giunse alla conclusione che mettere insieme una giuria incondizionata da pregiudizi politici sarebbe stato talmente difficile da rendere le probabilità di una condanna troppo basse per portare avanti il caso da un punto di vista etico. «Per me quel caso fu deciso sulla base di fattori diversi dalla colpevolezza o dall’innocenza», ha detto Rosenzweig. «Credo che avrebbe avuto molte possibilità di finire con una condanna se fosse stato presentato a una giuria di 12 persone scelte a caso e se l’imputato fosse stata una persona diversa dalla signora Clinton, ma è un’ipotesi impossibile da fare».

Brian Fallon, un portavoce di Clinton, ha minimizzato i paragoni tra il modo in cui i procuratori hanno gestito l’indagine sulle email e l’inchiesta guidata da Starr negli anni Novanta. «Oggi come allora, gli investigatori hanno subìto una grande pressione dall’esterno per portare avanti un’azione penale motivata politicamente», ha detto Fallon. «La differenza è che, nel caso delle email il dipartimento Giustizia ha resistito a queste pressioni faziose e dei funzionari di carriera hanno consigliato all’unanimità che non fossero sporte accuse. Nell’indagine Whitewater, invece, che fu condotta da funzionari nominati, le forze politiche esercitarono una pressione sufficiente per produrre una bozza di atto d’accusa falsato. Davanti all’evidenza dei fatti, poi, l’Ufficio del procuratore indipendente è stato costretto a cedere e consegnare la bozza di documento al cestino della storia».

La drammatica decisione del 1998 fu raccontata nel libro del 2010 The Death of American Virtue: Clinton vs. Starr, in cui il professore di giurisprudenza Ken Gormley fornisce un resoconto completo della vicenda dell’impeachment di Bill Clinton, intervistando quasi tutte le principali persone coinvolte. Hillary Clinton è tra quelle con cui Gormley non parlò. Gormley scrisse che i procuratori e gli agenti dell’FBI si erano incontrati per discutere della questione alle otto del mattino di lunedì 27 aprile 1998 e che la sessione andò avanti fino quasi a mezzanotte. Il procuratore che aveva condotto l’indagine, durata quattro anni, sulle attività di Hillary Clinton alla Rose Law Firm, espose per ore ai suoi colleghi la sua tesi: il coinvolgimento di Clinton nel lavoro che aveva facilitato le attività illegali di Madison Guaranty era stato maggiore di quanto Clinton avesse riconosciuto.

I procuratori discussero di uno dei punti più delicati dell’indagine Whitewater: l’inattesa scoperta di alcune fatture risalenti al periodo in cui Clinton lavorava come avvocato, all’interno di un ripostiglio al terzo piano della residenza della Casa Bianca. Le fatture erano scomparse da due anni e gli assistenti che lavoravano alla Casa Bianca avevano detto di non essere riusciti a trovarle nonostante avessero fatto un’ampia ricerca dopo un mandato del tribunale. I documenti furono trovati nel 1996 dall’assistente esecutivo di Hillary Clinton, sopra un tavolo adiacente all’ufficio di Clinton. Durante un’intervista televisiva, Clinton disse alla giornalista Barbara Walters di essere contenta del ritrovamento dei documenti e che attribuiva la loro scomparsa alle milioni di pagine di documenti stipati in modo disordinato nella Casa Bianca. «Un mese fa le persone erano arrabbiate perché le fatture non si trovavano e pensavano che qualcuno potesse averle distrutte. Ora che le hanno trovate, sono comunque arrabbiate», disse Clinton.

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L’arrivo di Hillary Clinton al tribunale federale di Washington D.C. prima di testimoniare sul caso Whitewater, il 26 gennaio 1996 (PAUL RICHARDS/AFP/Getty Images)

La squadra di Starr sospettava che fosse stata Clinton ad aver orchestrato la misteriosa ricomparsa dei documenti. «Ci sono prove indiziarie del fatto che i documenti fossero stati lasciati sul tavolo da Hillary Clinton», scrissero i procuratori. La nota raccontava come gli avvocati avessero interrogato tutte le persone che avevano accesso alla stanza dove furono trovati i documenti, per poi concludere che Clinton era «l’unica persona alla Casa Bianca interessata in modo significativo ai documenti». Qualche tempo dopo, nel 1998, Starr definì al Congresso la scoperta delle fatture come un «mistero» che i suoi investigatori non erano riusciti a risolvere. Nella sua autobiografia La mia vita, la mia storia, Clinton respinge l’accusa secondo cui avrebbe provato a nascondere i documenti. Clinton scrive di aver pensato che fossero andati persi finché il suo assistente non li trovò: «di sicuro, non avevo motivo per occultarli e mi dispiace che non siano stati trovati prima». La squadra di Starr prese anche in considerazione il fatto che Clinton avrebbe probabilmente avuto diversi vantaggi se, come era previsto, il processo si fosse svolto in Arkansas o a Washington, dove probabilmente la giuria avrebbe sostenuto la First Lady. Invece di sporgere accuse contro Hillary Clinton, alla fine i procuratori decisero di concentrare le energie sul caso Lewinsky. Gormley, che oggi presiede la Duquesne University di Pittsburgh, ha raccontato che il suo studio approfondito del caso lo convinse che non ci fossero argomentazioni convincenti per incriminare Hillary Clinton. Gormley ha detto che l’incontro dell’aprile 1998 si tenne in un momento in cui l’indagine era bloccata e i che procuratori, che volevano perorare la causa, consideravano l’incriminazione di Hillary Clinton come una delle diverse strategie per portarla avanti. «Ho avuto l’impressione che i procuratori di Starr, in generale, si rendessero conto del fatto che non c’erano abbastanza prove», ha detto Gormley.

Rosenzweig, che oggi è un dirigente di una società di consulenza che si occupa di sicurezza interna, ha detto che ha continuato a credere che la decisione del gruppo di non incriminare Clinton sia stata giusta. Ciononostante, ha raccontato che dopo quella riunione durata un giorno intero si sentì «prosciugato, deluso e sgomento» per il fatto che una parte così lunga e meticolosa dell’indagine non avesse portato a niente. Oggi, molti Repubblicani stanno esprimendo frustrazioni simili riguardo all’indagine dell’FBI sulle email di Hillary Clinton. Comey ha detto di essere giunto alla conclusione che Clinton sia stata «estremamente negligente» nella gestione di materiale classificato, ma che non ci sono prove che abbia infranto la legge gestendo quel materiale volontariamente in modo scorretto. Comey ha ribadito che il fatto che Clinton sia una famosa ex segretaria di Stato, senatrice e First Lady non ha influenzato la decisione. La decisione dell’FBI, ha detto Rosenzweig, è diversa da quella presa all’epoca dai procuratori di Starr, che valutarono in modo specifico quanto la celebrità e la popolarità politica di Clinton avrebbe potuto influenzare la giuria in un processo penale. Secondo Rosenzweig, comunque, a Hillary Clinton non è stato concesso un trattamento speciale, né oggi né negli anni Novanta, come invece accusano spesso i Repubblicani. Dice però che il caso di Clinton mostra come le élite siano in genere trattate in modo diverso nel sistema giuridico. «Il nostro sistema giuridico è grandioso, ma imperfetto», ha detto.

In un’intervista, Gormley ha detto che la decisione di Comey gli ha ricordato un’altra vicenda del caso Whitewater: quando nel 1992, non molto tempo prima delle elezioni presidenziali, il procuratore distrettuale dell’Arkansas Charles Banks si rifiutò di riaprire un’indagine nello stato che avrebbe potuto coinvolgere i Clinton. Banks raccontò a Gormley di aver ricevuto pressioni da parte di funzionari di un’agenzia federale americana perché invece aprisse l’indagine. Banks, però, si rifiutò, nella convinzione che le prove disponibili non legittimassero l’apertura di un’inchiesta, nonostante avrebbe personalmente tratto dei vantaggi dalla rielezione del repubblicano George H.W. Bush. «Banks ebbe la sensibilità di capire che se si fosse fatto coinvolgere di nuovo da quel caso, con un’elezione presidenziale alle porte, avrebbe minato la fiducia dell’opinione pubblica americana nel sistema di giustizia», ha detto Gormley. «Comey mi ricorda quell’eroe non celebrato».

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