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  • Giovedì 26 maggio 2016

Una giornata di scioperi e scontri in Francia

Ci sono stati 77 arresti, rallentamenti nelle centrali nucleari, nelle raffinerie, in porti e aeroporti: il problema è una riforma del lavoro che facilita i licenziamenti

 (AP Photo/Francois Mori)
(AP Photo/Francois Mori)

Giovedì 26 maggio in Francia è stata l’ottava giornata di mobilitazione contro una controversa riforma del lavoro che è stata approvata dall’Assemblea Nazionale senza discussione né voto, grazie a un particolare meccanismo parlamentare. La legge dovrà ora essere discussa al Senato dal prossimo 14 giugno, giorno in cui è già stata fissata una nuova grande protesta.

Alle manifestazioni di oggi hanno partecipato almeno 153 mila persone in tutta la Francia (secondo i dati del ministero dell’Interno), quasi 300 mila secondo il principale sindacato che ha organizzato gli scioperi, la CGT. Ci sono state manifestazioni a Brest, Rennes, Caen, Bordeaux, Marseille, Le Havre, Lione e in molte altre città. Il ministero ha detto che il corteo di Parigi era formato da 18 mila persone che hanno camminato tra Place de la Bastille e Place de la Nation, dove ci sono stati anche degli scontri con le forze dell’ordine. In tutto sono state arrestate 77 persone, 36 nella capitale. A Caen, il sito Normandie-Actu, ha filmato e pubblicato un caso di violenza da parte degli agenti: un manifestante è stato picchiato da un poliziotto. La polizia ha parlato di “legittima difesa”.

I lavoratori di tutte e diciannove le centrali nucleari presenti in Francia hanno deciso di aderire alla mobilitazione ma solo dodici reattori su 58 hanno subito tagli di produzione. Due centrali termiche sono rimaste invece completamente ferme. Ci sono stati rallentamenti o blocchi in sei raffinerie di petrolio su otto e si sono fermati anche i principali porti del paese e due depositi di petrolio in Corsica. Nelle proteste e negli scioperi sono stati coinvolti anche i settori dell’aviazione civile (il 15 per cento dei voli è stato per esempio annullato a Orly), delle ferrovie e dei trasporti pubblici locali. Una stazione di rifornimento su cinque ha avuto interruzioni parziali o totali della fornitura: il governo, già ieri, aveva comunque autorizzato l’uso delle riserve utilizzando quantità pari a 3 giorni di scorte su 115 disponibili.

Nonostante i disagi e le difficoltà a trovare il carburante un sondaggio realizzato negli ultimi giorni dice che sei francesi su dieci (il 62 per cento) ritengono che il movimento di protesta contro la legge sul lavoro sia giustificato. Per due francesi su tre, inoltre, la responsabilità dell’attuale situazione – in particolare dei blocchi delle raffinerie – è del governo, che sta cercando di far approvare la riforma con delle forzature. Solo il 37 per cento degli intervistati parla di «irresponsabilità» da parte dei sindacati.

I sindacati, soprattutto la CGT e il suo segretario generale Philippe Martinez, vogliono che la riforma sia ritirata. Il primo ministro Manuel Valls e il presidente Francois Hollande dicono invece che una «minoranza ha preso in ostaggio il paese e i consumatori» e che useranno la forza per sgomberare i blocchi delle raffinerie. Questa mattina Valls, intervistato da BFM-TV, ha parlato di possibili «cambiamenti» o «miglioramenti» di alcune parti delle legge. Ha ribadito però che la riforma non sarà ritirata e dopo una serie di domande su quali potessero essere le modifiche, ha solamente aggiunto: «Vedremo, ma non ci sarà alcun cambiamento nella filosofia del testo né all’articolo 2» (ci arriviamo). Ieri Bruno Le Roux, presidente del gruppo socialista all’Assemblea Nazionale, aveva invece ipotizzato una riscrittura di questo contestato articolo. Le Monde parla di «grande confusione all’interno della maggioranza sulla posizione da adottare contro le proteste» e Philippe Martinez della CGT ha detto che il presidente François Hollande «non ha più una maggioranza»: «Qual è oggi la posizione del governo? Siamo in imbarazzo, non sappiamo a chi rivolgerci».

Il testo passato all’Assemblea è diverso da quello che aveva presentato la ministra del Lavoro Myriam El Khomri lo scorso febbraio. Di fronte alle critiche di sindacati e studenti, il governo aveva rivisto la prima versione e la commissione Affari Sociali dell’Assemblea Nazionale aveva a sua volta modificato alcune disposizioni del disegno di legge. La riforma rende innanzitutto più semplici per le aziende i licenziamenti economici, riducendo al minimo la discrezionalità dei giudici: sostanzialmente amplia le cause di licenziamento senza reintegro del lavoratore o della lavoratrice, indicando tra le ragioni economiche anche modifiche dell’attività dal punto di vista tecnologico o della riorganizzazione aziendale. Nella seconda versione del testo è stata inserita una frase che esclude dalla “giusta causa” «le difficoltà economiche create artificiosamente dalle aziende per procedere con i licenziamenti».

Un altro punto contestato riguarda la retribuzione delle ore di straordinario, che verrebbe abbassata del 10 per cento di quella ordinaria (attualmente è di circa il 25 per cento in più nelle prime otto ore di straordinario). Di fatto, dicono i sindacati, se gli straordinari saranno più convenienti per i datori di lavoro, ce ne saranno molti di più: quindi l’orario di lavoro settimanale aumenterà con ridotti benefici per i lavoratori. Si prevede poi una maggiore flessibilità sempre per le imprese ad aumentare gli orari di lavoro, una minore frequenza delle contrattazioni con i sindacati, parametri più elevati (e quindi più difficili da raggiungere, per i sindacati) per rendere valido un referendum interno o un accordo.

La riforma, per chi la contesta, presenta infine all’articolo 2 un “rovesciamento della gerarchia delle norme”. Le regole obbligatorie, e non solo in diritto del lavoro, sono organizzate come in una piramide: la Costituzione non deve essere (o almeno non dovrebbe essere) in contrasto con un trattato internazionale firmato da quel paese, una legge deve essere coerente con la Costituzione, un contratto deve rispettare la legge. Il codice del lavoro è disciplinato dalla legge. I contratti collettivi non possono dunque essere meno favorevoli per i dipendenti di quanto non stabilisca la legge. I contratti d’azienda, allo stesso modo, non possono avere parametri più bassi (o tutelare meno il dipendente) di quanto non prevedano i contratti collettivi. E, infine, il singolo contratto di lavoro non può essere meno favorevole al dipendente di quanto previsto nell’accordo d’azienda.

Il nuovo disegno di legge dice che per quanto riguarda la durata del lavoro (che comprende orario, straordinari, ferie, congedi ecc) il primato va al contratto aziendale. In altre parole, dal punto di vista del dipendente, il contratto aziendale può essere “meno conveniente” dell’accordo collettivo fatto dai sindacati per quello specifico settore. Un esempio: il contratto collettivo concede al massimo 10 ore mensili o settimanali di straordinario. Il contratto aziendale non può, con la vecchia legge, concedere un numero di straordinari superiore alle 10 ore, per il principio della piramide. Con la nuova legge c’è invece un rovesciamento che di fatto annulla le contrattazioni più alte.