Trent’anni fa uscì So

Ovvero il più famoso disco di Peter Gabriel, quello con cui si inventò ancora delle ulteriori cose rispetto a tutte quelle che aveva inventato fino ad allora

Peter Gabriel durante un concerto nel 1986 (AP Photo/Fred Jewell)
Peter Gabriel durante un concerto nel 1986 (AP Photo/Fred Jewell)

Il 18 maggio 1986 uscì in tutto il mondo So, il quinto disco di Peter Gabriel. Sarebbe diventato uno dei dischi più belli e apprezzati degli anni Ottanta, e il più innovativo per la carriera di Gabriel.
Fino ad allora Peter Gabriel era stato prima il leader e cantante della band progressive rock dei Genesis – rimpianto in eterno dai loro fans – e poi l’autore di quattro dischi propri originali ed eccellenti, noti anche per non avere titolo (si chiamavano tutti “Peter Gabriel”, o convenzionalmente da I a IV, o con nomi derivati dalle immagini in copertina). L’ultimo era uscito quattro anni prima, quello con “Shock the monkey” (che aveva cantato anche al Festival di Sanremo, esibizione di cui si ricorda un maldestro e rischioso dondolare su una fune). Ma nel frattempo il mondo e la musica stavano cambiando, e Peter Gabriel è sempre stato uno che teneva d’occhio il mondo. Quindi il suo nuovo disco ebbe non solo un titolo, ma anche suoni e inclinazioni nuove, molto distanti dal Peter Gabriel dei Genesis: più pop, più collaborazioni, più world music, più accessibilità, premiata da uno straordinario successo, a cominciare dal primo singolo “Sledgehammer“, persino ballabile. Tutto con la collaborazione di uno dei più importanti produttori di quegli anni, Daniel Lanois (famoso soprattutto per le cose con gli U2). Nelle sessioni di registrazione di quel disco, tra l’altro si creò un gruppo di lavoro di musicisti che avrebbe partecipato a molta musica di Peter Gabriel degli anni successivi (Tony Levin, David Rhodes, Jerry Marotta, Manu Katché).

In So poi c’erano altre quattro canzoni che uscirono come singoli: “Don’t give up” con Kate Bush, “Red rain” con Stewart Copeland dei Police, “In your eyes” con Youssou N’Dour, “Big time”. L’ultima canzone – che non fu inclusa inizialmente nel disco in vinile – “This is the picture” ha dentro Laurie Anderson e Nile Rodgers. “Sledgehammer” fu prima nelle classifiche americane (So secondo, e primo nel Regno unito e in Italia), e il suo video mise Gabriel anche al passo coi tempi – anzi un po’ più avanti – di MTV e dei videoclip. Nel 2012 Gabriel portò in giro per il mondo un concerto in cui rifaceva tutto il disco dall’inizio alla fine: e ancora oggi è uno dei migliori dischi rock della seconda epoca del rock, pieno di ritmi, pieno di ritmo.