• TV
  • Venerdì 13 maggio 2016

La vera storia del Titanic, in un libro

Il naufragio dei naufragi, raccontato a cominciare dal ghiaccio

In this April 10, 1912 file photo the Titanic leaves Southampton, England. The tragic sinking of the Titanic nearly a century ago can be blamed on low grade rivets that the ship's builders used on some parts of the ill-fated liner, two experts on metals conclude in a new book. (AP Photo/FILE)
In this April 10, 1912 file photo the Titanic leaves Southampton, England. The tragic sinking of the Titanic nearly a century ago can be blamed on low grade rivets that the ship's builders used on some parts of the ill-fated liner, two experts on metals conclude in a new book. (AP Photo/FILE)

Al naufragio del Titanic è dedicato il libro “Lo spettro del ghiaccio“, dello scrittore e storico britannico Richard Davenport-Hines, pubblicato da Einaudi nel 2012. Il libro ricostruisce la storia del primo e ultimo viaggio del Titanic, il transatlantico partito dal porto inglese di Southampton diretto a New York, e affondato nelle prime ore del 15 aprile del 1912, dopo essere entrato in collisione con un iceberg nell’Oceano Atlantico del nord. Davenport-Hines racconta nei minimi particolari la vita dell’equipaggio, la disposizione delle cabine, i menu dei ristoranti, l’arredamento della nave e racconta le storie delle persone che l’hanno costruito – come l’armatore americano J.P. Morgan – e dei passeggeri che vi hanno viaggiato: dalle ricche famiglie come i Guggenheim e gli Astoria agli immigrati della terza classe (quelli di De Gregori, sì).

Davenport-Hines ha 59 anni ed è un importante storico britannico conosciuto per le sue biografie, in particolare quella del poeta inglese W.H. Auden. Collabora con la Literary Review e il Times Literary Supplement. Oltre allo “Spettro del ghiaccio” in Italia ha pubblicato “Una notte al Majestic. Proust e la cena modernista del 1922“. Questo è il prologo dello “Spettro del ghiaccio”, Dai monti di ghiaccio della Groenlandia. Se invece avete qualche curiosità sul film, qui c’è qualche consiglio:

– Il video del finale alternativo di Titanic: Rose mostra il gioiello che aveva tenuto nascosto, in realtà cambia molto poco.
– La domanda delle domande: perché Jack e Rose non salgono insieme sul pezzo di legno per salvarsi?: uno scontro tra utenti di Reddit per stabilire se ci entrassero tutti e due.
– Il Titanic in 10 film, se quello di James Cameron non vi è piaciuto: una lista, il primo è del 1912 e uscì solo 29 giorno dopo l’incidente.

***

Ciò che piú colpiva erano l’immobilità – la morte – e l’irraggiungibilità di quel nuovo mondo: ghiaccio, roccia e acqua ci circondavano; non un suono spezzava il silenzio; il mare non si frangeva sulla costa; né erano visibili uccello o forma di vita alcuna; il sole di mezzanotte, a quell’ora velato da una foschia trasparente, conferiva a monti e ghiacci un lustro misterioso e terribile; non un atomo di vegetazione parlava di vitalità della terra; e un torpore e uno stupore sembravano pervadere la solitudine.
Marchese di Dufferin e Ava, Letters from High Latitudes

Non ci furono testimoni. Non aveva l’aria di un evento storico. Un grosso blocco di ghiaccio si staccò da un ghiacciaio e con un potente boato precipitò in un fiordo. Probabilmente il ghiacciaio era lo Jakobshavn, origine della maggior parte degli iceberg piú imponenti del mondo e cent’anni fa anche quello che si spostava piú velocemente, procedendo di quasi venti metri al giorno dalla calotta glaciale verso la costa occidentale della Groenlandia. Circa il 10 per cento degli iceberg groenlandesi si stacca dalla fronte dello Jakobshavn: dopo la separazione netta e violenta dal ghiacciaio, a sua volta formato da neve densamente compattata caduta sulla calotta polare artica migliaia di anni fa, queste montagne di ghiaccio si inclinano e si capovolgono sulle acque fino a stabilizzarsi in posizione di equilibrio.

Sebbene a Jakobshavn vi sia un insediamento umano, la Groenlandia è quasi a perdita d’occhio una distesa fredda e inabitabile. In questa selvaggia terra di inerte cupezza è inutile sperare nella pietà degli elementi: inverni lunghi, bui e gelidi sono seguiti da estati brevi e piene di colori, tanto luminose che Matthew Henson, il nero americano che nel 1909 accompagnava Robert Peary al Polo Nord, paragonò la mezzanotte estiva di questo deserto ghiacciato a un tardo pomeriggio newyorchese del 4 di luglio. Qui la terra appartiene a orsi polari, renne, buoi muschiati, lupi, volpi e lepri artiche; aquile di mare a coda bianca dominano i cieli, specie intorno a Capo Farewell, il nero e il gracchiare dei corvi imperiali è ubiquo, urie e pernici bianche nordiche sono ambite prede di caccia e in generale c’è grande abbondanza di procellarie, zigoli delle nevi e falchi pellegrini. Vi sono anche pesci e trichechi, ma fino a poco tempo fa nessuno veniva nel fiordo per motivi di piacere. È dunque da questa landa di rocce primordiali e ghiacci eterni che prese le mosse l’iceberg piú famoso della storia.

Dal 2000 la lingua del ghiacciaio Jakobshavn si sta ritirando dalla costa a velocità allarmante, e il flusso di ghiaccio alle sue spalle ogni giorno accelera la sua corsa. Lo Jakobshavn rappresenta uno dei grandi punti nevralgici della crisi climatica globale: attualmente 35 miliardi di tonnellate di iceberg si staccano ogni anno dalla sua fronte e scivolano lungo il fiordo in direzione dell’oceano. La parte visibile di un iceberg rappresenta però solo un ottavo del volume totale: gli altri sette ottavi, sommersi, possono raggiungere profondità tali da farlo restare incagliato nei fondali del fiordo sino a quando non cede sotto l’impatto di nuovi iceberg provenienti dal ghiacciaio. Dunque gli iceberg si trovano per la maggior parte sotto il pelo dell’acqua, la loro deriva è determinata moltissimo dalle correnti e pochissimo dai venti.

Di quelli partiti dall’Islanda alcuni vengono spinti dalla corrente groenlandese orientale oltre Capo Farewell, dove insieme a migliaia di altri, generati dai ghiacciai occidentali, prendono a navigare verso la Baia di Baffin. Qui sono intercettati dalla Corrente del Labrador, che li trascina a sud verso i Grandi Banchi di Terranova; molti iceberg finiscono quindi per sbattere contro le coste del Labrador o i fondali settentrionali dei Banchi, disintegrandosi. I primi compaiono nella zona dei Grandi Banchi verso marzo – «gelidi mostri tanto belli da guardare, quanto pericolosi da toccare», per dirla con le parole di un capitano della Cunard in servizio nel Nord Atlantico – e alla fine di giugno non ne restano piú. Nelle annate normali, a sud di Terranova transitano fra i 300 e i 350 iceberg e una cinquantina supera i Grandi Banchi. Bombardamento escluso, non esistono altri mezzi per distruggere un iceberg se non aspettare che si sciolga, e i piú imponenti percorrono anche 2500 miglia prima di consumarsi al sole del 40° parallelo. In una giornata tersa, dal ponte di una nave di linea un grande iceberg può essere avvistato anche fino a venti miglia di distanza e sotto il sole si presenta come una massa candida e luminosa. In condizioni di nebbia fitta la sua sagoma scura si palesa invece solo a un centinaio di metri, e se in una notte limpida ma senza luna si annuncia a un quarto di miglio, nel chiarore lunare si staglia già a parecchie miglia.

Le foto del memoriale del Titanic a Belfast

Sulle acque salate si forma la banchisa, lastroni di ghiaccio accatastati dal vento e dalle correnti. Si tratta di distese inaccessibili e di una trappola per le navi, che riportano comunque gravi danni anche quando riescono a liberarsi dalla sua morsa. La banchisa va alla deriva dall’Artico tutto l’anno, trascinata verso sud dalla corrente del Labrador e integrata dal ghiaccio costiero, spesso incagliandosi nelle baie che incontra lungo la rotta. Diversamente dagli iceberg, è soggetta all’azione dei venti e ogni anno agli inizi di febbraio ricopre la maggior parte dei Grandi Banchi di Terranova. Qui, in balia di vento e correnti, continua il suo viaggio alla deriva sino a liquefarsi, difficile da rilevare a distanza, specie di notte ma percepibile grazie a un tremulo bagliore in cielo detto ice blink, riverbero di ghiaccio.

L’inverno artico a cavallo tra il 1911 e il 1912 fu eccezionalmente mite, fatto che accelerò il distacco degli iceberg dai ghiacciai affacciati sulla costa occidentale della Groenlandia: iceberg piú grandi della norma, e perciò piú lenti a sciogliersi nel corso della loro deriva verso sud. Nell’aprile 1912 l’Atlantico era dunque particolarmente ricco di formazioni galleggianti, che arrivavano oltretutto piú a sud del solito. Nei precedenti mesi di febbraio e marzo violente tempeste avevano flagellato il versante atlantico settentrionale di Terranova: l’Erna, nave da tremila tonnellate per la caccia alle foche, era scomparsa con a bordo trentasette uomini, e dopo due mesi di lotta per raggiungere Terranova dal Portogallo il Maggie, uno schooner semidistrutto, pieno di falle e con un morto a bordo, era infine rimasto imprigionato e schiacciato dalla massa del pack alla deriva. Ai primi di aprile le tempeste erano ormai diminuite, ma il Nord Atlantico era disseminato di pennoni, tavole di legno e carichi perduti. Oltre mille iceberg avevano raggiunto il limite orientale dei Grandi Banchi di Terranova, dove spesso per intere annate era difficile avvistarne anche solo uno e, mentre la corrente del Labrador li spingeva verso sud, un lastrone di ghiaccio del pack, un quadrato di cento miglia di lato, li accompagnava. In condizioni climatiche miti gli iceberg possono spaccarsi con forti detonazioni e generare grandi blocchi di ghiaccio chiamati growler, ma nell’aprile 1912 gli iceberg piú poderosi non si spaccarono e le loro masse dure e implacabili continuarono a dirigersi a una velocità di 25 miglia giornaliere verso le rotte navali del Nord Atlantico.

Le foto di Kate Winslet, che il 5 ottobre 2015 ha compiuto 40 anni

– L’Artico senza il ghiaccio, Si sta sciogliendo più velocemente di quanto previsto: nel 2050 potrebbe non essercene più
– Estate in Groenlandia, Fotografie bellissime e poco ferragostane da un posto in cui fa sempre più caldo, anche se non sembra

© 2012 Richard Davenport-Hines. All rights reserved
Richard Davenport-Hines asserts the moral right to be identified as the Author
© 2012 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino