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  • Venerdì 13 maggio 2016

Perché l’Atletico Madrid è speciale

Presto giocherà la sua seconda finale di Champions League in tre anni dopo aver eliminato le due squadre favorite, ed è merito soprattutto del suo allenatore

Diego Pablo Simeone durante un allenamento dell'Atletico Madrid (Denis Doyle/Getty Images)
Diego Pablo Simeone durante un allenamento dell'Atletico Madrid (Denis Doyle/Getty Images)

Quando nel dicembre del 2011 l’Atletico Madrid esonerò Gregorio Manzano, modesto allenatore spagnolo, nessuno si aspettava che nei successivi cinque anni la squadra – che è la seconda di Madrid per numero di tifosi e risultati ottenuti – sarebbe diventata una delle più forti d’Europa, né tantomeno che avrebbe raggiunto per due volte in tre anni la finale di Champions League. Tra meno di tre settimane l’Atletico Madrid la giocherà a Milano, per la seconda volta in tre anni contro il Real Madrid, che fino a pochi anni fa era la squadra di Madrid, l’unica davvero rilevante. Gran parte del merito è probabilmente del suo allenatore: Diego Pablo Simeone, detto “il Cholo”.

Due stagioni prima, nel 2009/2010, l’Atletico allenato dallo spagnolo Quique Sánchez Flores aveva vinto l’Europa League battendo in finale il Fulham, ottenendo così il primo trofeo dopo 14 anni di risultati modesti, una retrocessione e tante difficoltà. Quel campionato l’Atletico lo aveva terminato al nono posto e in estate era poi riuscito a battere l’Inter, vincitore della Champions League, nella Supercoppa UEFA. In quegli anni la squadra era formata perlopiù da giocatori spagnoli non molto noti al di fuori dei confini nazionali, che poi però lo sarebbero diventati, come Koke, Raul Garcia, Juanfran e Mario Suarez, ma anche da alcuni giocatori forti e conosciuti in tutto il mondo, come Sergio Aguero, Diego Forlan, José Antonio Reyes e Maxi Rodriguez. Nel 2011 l’Atletico terminò la Liga spagnola in settima posizione a pari merito con Atletico Bilbao e Siviglia, qualificandosi all’Europa League per un pelo e confermando le difficoltà del club nel mantenere un andamento stabile anche agli alti livelli.

Poi cambiò allenatore e arrivò l’argentino Diego Pablo Simeone, ex calciatore dell’Atletico che nel 1996 aveva vinto l’ultimo campionato spagnolo nella storia del club, e che negli anni precedenti aveva allenato in Argentina e in Italia – il Catania – con buoni risultati. Da allora l’Atletico Madrid ha vinto cinque trofei in cinque anni, compreso il campionato spagnolo solitamente prerogativa di Barcellona o Real Madrid, e ormai non è nemmeno più una sorpresa per il calcio europeo, abituati come siamo a vederlo giocarsi ogni anno le più importanti competizioni calcistiche continentali.

La caratteristica principale dell’Atletico di Simeone si descrive facilmente con un dato. Da quando Simeone è diventato allenatore dell’Atletico fino alla fine di aprile, la squadra ha giocato 256 partite, fra campionato, coppa, Champions ed Europa League, e per 135 volte è riuscito a non prendere gol. Si può partire da qui per spiegare come abbia fatto l’allenatore argentino a portare un club che pochi anni fa era considerato quello perdente e sfortunato di Madrid a giocarsi il campionato spagnolo e le finali della competizione per club più importante d’Europa con i rivali storici, e soprattutto molto più vincenti, del Real Madrid.

La maggior parte dei commentatori è concorde nel ritenere che l’Atletico di Simeone disponga di uno “spirito di gruppo” straordinario che gli permette di ottenere risultati sportivi superiori a quanto ci si potrebbe aspettare in base alla qualità della squadra. Parlando dell’Atletico prima della finale di Champions del 2014 contro il Real, Michael Robinson, ex giocatore e commentatore per una tv spagnola, disse: «Difendono bene, attaccano bene, ma non sono particolarmente brillanti in niente se non nel dare tutto quello che hanno».

A distanza di due anni le cose non sono cambiate. Nel 2013/2014 l’Atletico disputò una grande stagione: vinse il campionato, arrivò in finale di Champions dopo aver eliminato Milan, Barcellona e Chelsea e la perse ai tempi supplementari contro il Real. Gran parte delle azioni di attacco di quell’Atletico passavano per i piedi di quattro giocatori: Koke, Gabi, Arda Turan e Diego Costa, tutti calciatori di grande resistenza e tenacia, prima ancora che di talento. Diego Costa fu il giocatore che più sorprese per il numero di gol complessivi (35) che realizzò in quella stagione e per la facilità con cui gli riuscivano cose molto difficili: nelle sette stagioni che aveva passato in Spagna non aveva mai superato i 10 gol. A distanza di due anni, cinque degli undici giocatori che scesero in campo nella finale di Champions non giocano più con l’Atletico: Diego Costa e il portiere Courtois sono andati al Chelsea, David Villa è a New York e Arda Turan è passato al Barcellona. E se ne sono andati anche Raul Garcia, Miranda e Mario Suarez. Se fosse stato l’Atletico di dieci anni fa, la società non avrebbe saputo rimpiazzarli adeguatamente e la squadra sarebbe tornata alla normale dimensione dell’Atletico. Invece tutti i giocatori venduti sono stati adeguatamente sostituti ogni anno, permettendo alla squadra di lottare sempre su più fronti. L’anno scorso l’Atletico è arrivato terzo in campionato ed è stato eliminato ai quarti di Champions League dal Real Madrid. Quest’anno ha avuto la possibilità di vincere la Liga fino alla penultima giornata e il 28 maggio, a Milano, ha l’occasione di prendersi la rivincita contro il Real Madrid nella finale di Champions dopo aver passato i turni precedenti con prestazioni incredibilmente intense.

Probabilmente mai come quest’ultima parte di stagione l’Atletico ha evidenziato così tanto le caratteristiche del “cholismo”, termine con cui ci si riferisce allo stile di gioco e alla mentalità data alla squadra da Simeone. Nessun’altra squadra in questo periodo ha dimostrato di avere una forma fisica così impressionante e motivazioni così solide. La formazione preferita da Simeone, il 4-4-2, è entrata far parte della lista delle formazioni più caratteristiche degli ultimi anni del calcio europeo: un 4-4-2 dove tutti i giocatori pressano gli avversari nei momenti giusti, a intervalli, e che si muove compatto in mezzo al campo per tutti i 90 minuti, senza mai scomporsi: come se i calciatori fossero tutti legati tra loro con una corda invisibile. L’Atletico subisce pochissimi gol, vince la maggior parte dei contrasti, che vuol dire molte palle recuperate e poche perse, e Simeone ha abituato i giocatori a non rilassarsi mai, neppure per un secondo, e a commettere falli tutte le volte che la situazione lo richiede, cioè quando le tattiche della squadra non sono servite a fermare gli avversari.

Negli ultimi due incontri di Champions giocati in casa, contro Barcellona e Bayern Monaco, l’Atletico ha giocato le due partite che più rappresentano il “cholismo”. Il pressing a intermittenza dell’Atletico, studiato nei dettagli, partiva dai due attaccanti titolari, Antoine Griezmann e Fernando Torres, che sono riusciti a costringere gli avversari a giocare solo sulle fasce. Da lì in poi scattava la trappola: con gli esterni che pressavano a loro volta i terzini, i centrocampisti centrali che facevano lo stesso con gli avversari liberi in mezzo al campo togliendo agli avversari la possibilità di imporre il proprio gioco e costringendoli a commettere errori. L’Atletico è riuscito a passare in vantaggio per primo in entrambe le partite, poi si è chiuso nella propria metà campo, continuando a muoversi compatto senza che mai nessun giocatore andasse fuori posizione e aspettando l’occasione per ripartire in contropiede con Griezmann, probabilmente il più forte giocatore attualmente in rosa, e Fernando Torres.

 

Oltre al suo modo di giocare – tanto efficace quanto complesso e dispendioso – l’Atletico può contare su alcuni giocatori molto talentuosi: il portiere sloveno Jan Oblak, al momento uno dei migliori in Europa; il giovane Saúl Ñíguez, autore di un gol spettacolare nella partita di andata contro il Bayern e molti altri giovani promettenti che devono dimostrare ancora tutto, come Luciano Vietto, Angel Correa e Matias Kranevitter.

Un po’ come il Leicester City di quest’anno, che difficilmente avrebbe vinto la Premier League senza Ranieri in panchina, è probabile che l’Atletico non avrebbe mai raggiunto così tanti successi senza Simeone. L’argentino ha cambiato soprattutto la mentalità della squadra, abituata a vivere all’ombra dei rivali del Real Madrid, pur avendo una rosa formata da ottimi giocatori, come lo sono stati nell’ordine Sergio Aguero, Diego Forlan e Radamel Falcao prima che iniziasse il ciclo di Simeone. Lo stesso Simeone è il primo a sostenere la squadra nei momenti di difficoltà: lo si vede spesso incitare il pubblico dello stadio di casa o in trasferta mentre cerca in tutti i modi di trasmettere grinta e aggressività ai propri giocatori, a volte anche esagerando. Anche per questo lo stadio Vicente Calderon di Madrid è diventato uno dei campi d’Europa in cui è più difficile giocare, e soprattutto vincere.