“Game of Thrones” è troppo violento?

Una giornalista del Washington Post si chiede se ogni tanto non viene usata dagli sceneggiatori come pigra scorciatoia per impressionare il pubblico

di Alyssa Rosenberg – The Washington Post

Questo articolo contiene spoiler per chi non ha visto il secondo episodio della sesta stagione di Game of Thrones.

Il giorno dopo la trasmissione del secondo episodio della sesta stagione di Game of Thrones – in cui Ramsay Bolton (Iwan Rheon) finisce inevitabilmente col dare la sua matrigna Walda (Elizabeth Webster) in pasto a dei cani affamati – i commenti di due lettori nella chat che tengo ogni settimana sulla serie mi hanno spinto a cercare di definire meglio una questione notoriamente delicata: quand’è che – in Game of Thrones o qualsiasi altra serie ambientata in un mondo violento – la violenza diventa troppa?

Quando commento gli episodi della serie cerco di essere onesta sulle mie reazioni emotive, soprattutto perché gli articoli su Game of Thrones vanno scritti alla velocità della luce e pubblicati immediatamente, prima che io abbia la possibilità di soffermarmi a rifletterci su. Nel caso del secondo episodio della sesta stagione, questo ha significato ammettere che tutte le volte che compare Ramsay Bolton sullo schermo per me le cose prendono una piega sgradevole. Un lettore lunedì scorso mi ha scritto: «Non capisco come mai le persone si stupiscano della violenza di Game of Thrones. È ambientato in un mondo di ispirazione medievale, uno dei periodi più sanguinosi della storia (e non c’era ancora la polvere da sparo). L’autore dei libri da cui è tratta la serie, George R.R. Martin, ha fatto bene a non cercare di abbellire un’epoca così violenta (anche se sono delusa dal fatto che venga minimizzata l’importanza della religione nella vita quotidiana di chi viveva nel medioevo)».

Sono d’accordo fino a un certo punto. Una delle cose che fanno della serie di romanzi di Martin e di Game of Thrones una cosa nuova, rispetto alla tradizionale narrazione del genere fantasy, è come mettono da parte gli artifici retorici. I cavalieri – come Sansa Stark (Sophie Turner) impara sulla sua pelle – non hanno per forza un animo nobile. I re possono essere degli ubriaconi, degli idioti, o dei ragazzini malvagi. Dai matrimoni combinati non nascono necessariamente coppie appassionate, le donne sono regolarmente sottomesse e non hanno il diritto di rifiutare dei rapporti sessuali. La guerra è sporca e violenta. Ci sono anche persone normali, che però soffrono per colpa delle decisioni che i ricchi e i potenti fanno senza prenderli in considerazione.

In alcuni di questi casi, la volontà di girare scene di estrema violenza o di mostrare le conseguenze di una ferita o di una tortura serve a ribaltare l’immaginario che ci siamo costruiti sulle età dell’oro del passato. Le armature possono rafforzare chi le indossa, ma hanno anche effetti terribili quando le loro maglie metalliche vengono picchiate contro la pelle. Le immagini violente possono anche essere utili a spiegare allo spettatore il mondo in cui si svolgono gli eventi. Il motivo per cui la decapitazione di Ned Stark (Sean Bean) alla fine della prima stagione ci sconvolge tanto non ha soltanto a che vedere con il sangue e la violenza. Il punto è che la sua morte ci fa capire quello che personaggi come Cersei Lannister (Lena Headey) hanno fatto e sono disposti a fare per sopravvivere. In modo simile – anche se non amo guardare Ramsay Bolton mentre tortura e tormenta qualcuno – all’inizio alcune scene di questo tipo ci aiutano a renderci conto di quali comportamenti saranno tollerati se si è di sangue abbastanza nobile e figli di un uomo freddo e distaccato come Roose Bolton (Michael McElhatton).

Cosa succede però una volta che il pubblico ha capito come funziona? Immagino che tutti gli spettatori di Game of Thrones a questo punto si siano resi conto che la serie è ambientata in un mondo estremamente violento, in cui i ricchi fanno cose tremende ai poveri e gli uomini rivendicano il pieno controllo sul corpo delle donne. Quelli di noi che arrivano a scontrarsi con i propri limiti di tolleranza non chiedono che vengano cambiate le regole del mondo della serie. Semplicemente non c’è bisogno che vengano riproposte di continuo. Da un punto di vista narrativo, credo abbia senso che Ramsay Bolton uccida Walda e suo figlio, e non credo che questa parte di trama avrebbe dovuto essere cambiata. Però non c’era bisogno che io lo vedessi: la scena avrebbe potuto concludersi con Ramsay che chiede che vengano portati da lui la sua matrigna e il suo fratellastro. E anche se a molti fan di Game of Thrones piace fare supposizioni su quanto la morte di un personaggio sia vera o meno, credo che la risposta sarebbe stata abbastanza chiara anche senza il rumore della carne dilaniata in sottofondo e le immagini che si soffermano sul terrore di Walda (allo stesso modo, non avrebbe avuto senso che il matrimonio di Sansa con Ramsay Bolton le avesse portato altro che infelicità: ma comunque ci sarebbero stati altri modi per trasmettere l’agonia, come per esempio lasciare semplicemente che Sophie Turner, l’attrice che la interpreta, continuasse a recitare).

Detto questo, da persona che ha un debole per le scene di lotta ben girate, una domanda più generale di un’altra lettrice mi ha fatto riflettere sul tipo di violenza nella cultura pop che invece apprezzo. «Non riesco letteralmente a guardare», ha scritto la lettrice, «le scene in cui ci sono cadaveri, sparatorie o sangue. Mi copro gli occhi e mi faccio dire da mio marito quando la scena è finita. Credo di aver guardato la metà di Deadpool. Cosa ci trova la gente? Non lo capisco davvero. Mi preoccupa vedere quanto riesca facile alle persone».

Forse la mia non sarà una risposta rassicurante, ma la prima cosa che vorrei sottolineare è che la violenza nella cultura pop funziona un po’ come quando si balla; c’è un motivo se vengono chiamate “coreografie di lotta”. Le scene di lotta in Captain America: The Winter Soldier sono veloci, ma permettono allo spettatore di vedere ogni singola mossa dei personaggi e capire i loro punti di forza e debolezza. Anche queste cose fanno parte dei personaggi, e fanno capire che il Soldato d’Inverno (Sebastian Stan) è solo freddo istinto omicida, mentre Steve Rogers (Chris Evans) non vuole uccidere il suo avversario ma solo neutralizzarlo. Devo ammettere che, quando è ben fatta, apprezzo quel tipo di creatività malvagia che sta dietro la scena di una sparatoria. La scena iniziale di Deadpool non ha niente di salvifico (e non ho problemi ad ammettere di aver chiuso gli occhi quando nel film un personaggio viene trafitto da una sbarra d’acciaio) e lo stesso vale per la sparatoria che ne deriva. Ma per me scene come questa sono una specie di scultura cinetica, e non posso fare a meno di essere colpita dallo studio dei movimenti delle persone e degli oggetti nello spazio. Mi rendo conto che è una risposta un po’ “fredda”, ma è la verità.

Per me è così che in Game of Thrones funziona una scena come quella delle Nozze Rosse. Il massacro di Robb Stark (Richard Madden), della sua famiglia e dei suoi uomini non è bello da vedere. Però è efficace, e mette insieme i rancori diversi montati nel corso del tempo e la dissoluzione di alleanze da sempre instabili; mostra di cosa è capace un personaggio come Roose Bolton quando intravede l’opportunità di ottenere un vantaggio strategico, e mette in scena la tragica conclusione della distruzione della famiglia di Catelyn Stark (Michelle Fairley).

Questi dettagli funzionano perché la scena è brillante, ben coreografata e sfrutta in modo eccellente il claustrofobico castello di Walder Frey (David Bradley). Game of Thrones ha definito le regole del suo mondo usando scene di violenza sconvolgente, e ha fatto lo stesso per definire i suoi personaggi. Con qualche eccezione: vedere Olly (Brenock O’Connor) affondare un pugnale nel corpo di Jon Snow (Kit Harrington) la scorsa stagione è stata una prova eloquente del trauma che ha sofferto e dell’influenza negativa di Ser Alliser Thorne (Owen Teale), che aveva organizzato una ribellione contro Jon, all’epoca comandante dei Guardiani della Notte. Ma vedere Ramsay Bolton accoltellare suo padre e scatenare per l’ennesima volta i suoi cani non è niente che non abbia già visto, sia in termini “artistici” che di sviluppo dell’ambientazione o dei personaggi (anche se c’è un bel parallelo artistico tra il modo in cui Ramsay accoltella Roose e quello in cui Roose accoltellò Robb Stark). Perché sia vivace dal punto di vista creativo o moralmente sconvolgente, la violenza in Games of Thrones – o in qualsiasi altra serie o film – deve mostrarci qualcosa di nuovo.

© 2016 – The Washington Post