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  • Mercoledì 6 aprile 2016

Il 90% delle condanne a morte eseguite nel mondo nel 2015 sono avvenute in tre paesi

Lo dice, tra le altre cose, il rapporto annuale di Amnesty International

di Ishaan Tharoor − The Washington Post

Il cartello di un attivista della Human Rights Commission of Pakistan (HRCP) durante una manifestazione nella capitale pakistana Islamabad, il 10 ottobre 2015 (AAMIR QURESHI/AFP/Getty Images)
Il cartello di un attivista della Human Rights Commission of Pakistan (HRCP) durante una manifestazione nella capitale pakistana Islamabad, il 10 ottobre 2015 (AAMIR QURESHI/AFP/Getty Images)

Nel 2015 sono state eseguite le condanne a morte di almeno 1.634 persone nel mondo, secondo i dati annuali di Amnesty International pubblicati martedì 5 aprile: è il numero più alto mai registrato dall’organizzazione dal 1989, e circa il cinquanta per cento più alto rispetto al 2014. Stando al rapporto, quasi il 90 per cento delle condanne a morte eseguite nel 2015 sono avvenute in tre paesi: Iran, Pakistan e Arabia Saudita. Le cifre, però, non comprendono le condanne a morte eseguite in Cina: dal 2009 infatti Amnesty International non ha più tentato di raccogliere dati sulle esecuzioni in Cina, viste la difficoltà e le limitazioni a reperire informazioni affidabili. Secondo i ricercatori è probabile che il numero annuale di condanne a morte eseguite in Cina sia nell’ordine delle migliaia, cosa che ne farebbe il paese con più esecuzioni al mondo.

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Il segretario generale di Amnesty International Salil Shetty ha detto in un comunicato che il numero delle persone giustiziate nel mondo non era così alto da 25 anni a questa parte. «Iran, Pakistan e Arabia Saudita hanno giustiziato un numero di persone senza precedenti, spesso dopo processi iniqui. Questo massacro deve finire», ha detto Shetty, sottolineando come solo una minoranza di stati nel mondo applichi ancora per legge la pena di morte. Tra questi, gli Stati Uniti spiccano per essere il solo paese nel continente americano ad aver eseguito condanne a morte nel 2015, posizionandosi con 28 esecuzioni al quarto posto nella classifica di Amnesty dopo Iran, Pakistan e Arabia Saudita.

Di seguito alcuni dettagli sui tre paesi tratti dal comunicato stampa di Amnesty International:

Il Pakistan ha proseguito l’ondata di esecuzioni iniziata nel dicembre 2014 con l’abolizione di una moratoria sull’applicazione della pena di morte per i civili. L’anno scorso nel paese sono state giustiziate oltre 320 persone, il numero più alto mai registrato  da Amnesty International in Pakistan.

L’Iran ha giustiziato almeno 977 persone nel 2015, contro le 743 dell’anno precedente, la maggior parte delle quali per reati legati al traffico di droga. L’Iran, in aperta violazione del diritto internazionale, è anche uno degli ultimi paesi rimasti al mondo a giustiziare minorenni: nel 2015 nel paese sono state giustiziate almeno quattro persone che avevano meno di 18 anni all’epoca del reato per cui sono state condannate.

L’anno scorso in Arabia Saudita sono state giustiziate almeno 158 persone, con un aumento del 76 per cento rispetto al 2014. La maggior parte dei condannati a morte sono stati decapitati, ma le autorità saudite hanno usato anche la fucilazione e in alcuni casi i cadaveri dei condannati uccisi sono stati esposti in pubblico.

L’Iran e l’Arabia Saudita sono avversari in Medio Oriente: il primo è uno stato teocratico sciita, mentre il secondo è un regno che si considera il custode dell’Islam sunnita. A gennaio l’esecuzione di un importante membro religioso sciita in Arabia Saudita ha provocato una pericolosa crisi politica tra i due paesi, e l’ambasciata saudita nella capitale iraniana Teheran è stata addirittura presa d’assalto da dei manifestanti. Il Pakistan, invece, ha reagito a un terribile attacco terroristico a Peshawar nel 2014 tornando ad applicare la pena di morte, che era stata sospesa in via ufficiosa. Le pene di morte applicate da allora, tuttavia, non hanno coinvolto più di tanto condannati accusati di reati legati al terrorismo, secondo Champa Patel dell’ufficio per l’Asia meridionale di Amnesty International. «In un periodo in cui la maggior parte dei paesi ha abolito la pena di morte, il fatto che il Pakistan abbia deciso di andare con grande velocità nella direzione opposta è preoccupante», ha detto Patel, «la pena di morte rappresenta sempre una violazione dei diritti, ma in Pakistan la sua applicazione è ancora più allarmante, vista le serie preoccupazioni sull’equità dei processi, che riguardano anche l’accesso insufficiente agli avvocati e la diffusione delle torture da parte della polizia per estorcere “confessioni”».

© 2016 − The Washington Post