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  • Martedì 29 marzo 2016

Il modello di Uber è davvero replicabile?

Molte startup nate con ambizioni simili si trovano in difficoltà, dopo aver beneficiato dei grandi investimenti portati dal successo di Uber

(AP Photo/Jeff Chiu, File)
(AP Photo/Jeff Chiu, File)

Farhad Manjoo, rispettato giornalista che si occupa di tecnologia per il New York Times, ha scritto un articolo per sostenere che l’enorme successo economico di Uber – la famosa società che offre automobili con autista a pagamento tramite un’app e che attualmente vale circa 60 miliardi di dollari – sia difficilmente replicabile da altre start up che offrano in altri campi servizi basati sullo stesso modello di relazione con i clienti.

Per spiegare in termini pratici la sua teoria, Manjoo ha raccontato un esempio basato sulla sua esperienza. Manjoo abita a Palo Alto, a sud di San Francisco, e dice che da due anni usa frequentemente Luxe, un servizio che fornisce un parcheggiatore che su richiesta parcheggia e riporta la macchina all’utente, evitandogli così di perdere tempo a cercare parcheggio da solo. Il servizio costa 5 dollari all’ora per un massimo di 15 dollari al giorno (circa 13,3 euro): significa che un utente qualsiasi può arrivare con la macchina davanti al proprio ufficio, lasciarla in custodia a Luxe e riprenderla a fine giornata, il tutto per una tariffa più economica della maggior parte dei parcheggi pubblici o privati della città (non bisogna pagare una tariffa a parte per il parcheggio che Luxe sceglie di occupare). Nel 2014 Manjoo ha scritto sul New York Times un articolo molto positivo su Luxe, elencandone le potenzialità e sostenendo che la stessa azienda stimava di ridurre ancora i prezzi per aumentare ancora di più il giro dei propri clienti. Sono passati due anni, e Luxe non ha abbassato i prezzi: anzi, li ha aumentati – Manjoo dice che al momento paga circa 30 dollari al giorno – e il suo servizio non è migliorato sensibilmente.

Manjoo sostiene che quello di Luxe non sia l’unico caso di una start up nata con l’ambizione di emulare Uber, cioè fondamentalmente quella di fornire un servizio personalizzato e “di lusso” a prezzi di massa, che poi abbia ridotto di molto le sue aspettative. Secondo Manjoo questo ha a che fare più con Uber che con la validità di altri servizi come Luxe: Uber ha saputo individuare un mercato problematico – in diverse città nel mondo, come anche in Italia, il servizio di taxi è piuttosto sgradevole e arretrato – e ha offerto un prodotto migliore, diminuendo i prezzi solo gradualmente. Trovare altri mercati del genere, sostiene Manjoo, non è altrettanto facile: mentre lo è entrarci con prezzi molto concorrenziali oppure eccessivamente bassi – come nel caso di Luxe – per poi essere obbligati ad alzarli.

Nel 2014 e nel 2015 diverse start up hanno beneficiato di un diffuso entusiasmo degli investitori verso Uber, incassando molti soldi per sviluppare i loro progetti senza doversi preoccupare della loro sostenibilità economica per poi trovarsi a pochi mesi di distanza incapaci di trasformare quegli investimenti in un servizio profittevole. Nel 2015, il giornalista del Wall Street Journal Geoffrey Fowler aveva scritto che «ormai esiste un Uber per qualsiasi cosa. Personalmente ho una donna delle pulizie, un massaggiatore, un medico, uno chef, un parcheggiatore, un personal shopper, un fiorista e un barista, tutti con la loro app e la possibilità di essere sulla mia porta di casa in dieci minuti».

Adesso diverse start up del genere sono in difficoltà: Instacart, un’app che permette di fare la spesa online e di farsela consegnare a casa, pur venendo da un ottimo periodo e continuando a crescere ha aumentato le spese di spedizione per ogni consegna – passando da 4 a 6 dollari – e ha ridotto lo stipendio di alcuni suoi dipendenti che effettuano le consegne. Munchery, un servizio che permette di ricevere a domicilio dei pasti cucinati da ristoranti di fascia medio-alta, aveva promesso di riuscire a ridurre i costi delle sue portate per rendere il servizio più popolare, ma finora non è uscita dalla nicchia del “lusso” (un primo piatto costa in media 10 euro più il costo della consegna). Altri servizi simili come DoorDash hanno costi di consegna attorno ai 4-5 euro, a una cifra cioè con cui in un fast food si può mangiare un pasto completo.

Manjoo conclude che diverse app simili a Uber possano continuare a nascere e ad esistere, ma probabilmente senza il successo eccezionale ottenuto proprio da Uber, a meno di trovare un mercato ugualmente inefficiente come quello dei taxi.