Forse non dovremmo dire ai bambini “potrai diventare quello che vuoi”

Secondo alcuni studi fa più male che bene: innanzitutto è statisticamente falso, e poi crea pressioni e diffonde un'immagine distorta della società

di Erica Reischer – Washington Post

(iStock)
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Quando mio figlio compì un anno, alcuni amici gli regalarono un libro illustrato di Snoopy intitolato Puoi essere qualsiasi cosa. Nelle pagine di questo divertente libro, Snoopy è impegnato in una serie di professioni notevoli: sportivo di successo, chirurgo, pilota di aerei e così via. Snoopy indossa di volta in volta i vestiti del lavoro in questione, è ritratto come «avvocato di fama mondiale», un «letterato di fama mondiale», e addirittura come un «impiegato di supermercato di fama mondiale»: Snoopy è superlativo in tutte le cose che fa. Il libro era grande e aveva colori brillanti; probabilmente era pensato per bambini più grandi, dal momento che le pagine erano fatte con carta tradizionale e non erano spesse e resistenti come nei libri cartonati. Quando mio figlio tentò di girare le sottili pagine di carta del libro con le sue manine cicciotelle, finì inevitabilmente col strapparle: si divertiva e così continuò. Lo lasciai fare e anzi qualche volta lo aiutai. Potreste pensare che la mia permissività fosse dettata da un carattere rilassato, o dalla volontà di lasciare libera la curiosità di mio figlio (e far sì che scoprisse che le pagine si strappano quando le tiri) per qualche tipo di nobile ideale. Ma non è così.

Il vero motivo per cui non mi dispiaceva che mio figlio strappasse le pagine del libro è che, come psicologa e genitore, ero profondamente contraria al suo messaggio, riassunto nella prima pagina: «Proprio come Snoopy, l’unico limite a ciò che puoi raggiungere è la tua immaginazione: puoi essere qualsiasi cosa». Per i genitori questo messaggio – cioè che i nostri figli possano fare qualsiasi cosa a cui decidono di dedicarsi – è molto affascinante. A quale genitore non piacerebbe credere che l’unico limite ai successi dei propri figli sia la loro immaginazione? Chi non vorrebbe incoraggiarli a perseguire le loro ambizioni e diventare un chirurgo o fondare un’azienda tecnologica? Cosa può esserci di sbagliato nel dire ai nostri figli che possono diventare qualsiasi cosa vogliano? Molte cose, in realtà.

Innanzitutto, alcuni studi dimostrano che perseguire obiettivi troppo ambiziosi può essere dannoso. Studiando organizzazioni che fissano obiettivi troppo alti per motivare i loro dipendenti a raggiungere risultati troppo alti, i ricercatori hanno scoperto che in realtà questi obiettivi ambiziosi spesso hanno controindicazioni notevoli. In particolare, i ricercatori hanno riscontrato un aumento di comportamenti non etici quando le persone si concentrano su un obiettivo il cui mancato raggiungimento può avere conseguenze negative. Gli autori di uno studio in particolare citano come esempio la sfortunata esperienza di alcuni dirigenti della catena di grande distribuzione americana Sears, Roebuck & Co negli anni Novanta. L’azienda alzò l’obiettivo delle entrate derivanti dal suo servizio di riparazioni di auto a 147 dollari l’ora, nella speranza di incoraggiare i dipendenti a vendere di più e aumentare la produttività. I dirigenti scoprirono invece che i dipendenti avevano iniziato a far pagare ai clienti più del dovuto e consigliavano riparazioni superflue. Come sottolineato da uno dei ricercatori: «Quando i dipendenti pensano solo a raggiungere il risultato, e sanno che il loro fallimento porterebbe a conseguenze negative, aumentano gli inganni».

Non è difficile trovare inquietanti analogie tra queste scoperte e le statistiche moderne sui nostri figli. Molti ragazzi raccontano di essere sotto grande pressione per andare bene a scuola e anche dopo; molti altri ammettono di aver copiato a scuola per far contenti i genitori. Secondo il professore della Rutgers University Donald McCabe, autorità riconosciuta sul tema dei ragazzi che copiano a scuola negli Stati Uniti (dove copiare è considerato un gesto molto grave e scorretto), «non c’è dubbio che gli studenti siano diventati in effetti più competitivi e che siano più sotto pressione. Il risultato è che tendono a giustificare di più sé stessi e gli altri studenti: e i genitori ne sono complici».

I genitori più attenti potrebbero giustamente sottolineare che il messaggio di Snoopy ai bambini si concentra sull’immaginazione («L’unico limite a ciò che puoi raggiungere è la tua immaginazione»), invece che su fattori essenziali come l’impegno e la perseveranza: lavorare sodo per raggiungere un obiettivo è più importante di immaginarlo. È vero, ma anche estendendo il messaggio del puoi fare qualsiasi cosa e aggiungendo all’equazione l’impegno, manca comunque qualcosa. Dire ai nostri figli che possono fare qualsiasi cosa, sia che li si incoraggi a usare l’immaginazione o a lavorare sodo, non tiene conto del ruolo cruciale del caso per ottenere grandi risultati. Non tutti i bambini che vogliono diventare un chirurgo o un grande sportivo ce la fanno, anche se ci si impegnano. Allo stesso tempo, ogni storia di successo è baciata dalla fortuna.

Per usare le parole del premio Nobel Daniel Kahneman: «Successo = Talento + Fortuna; Grande successo = Un po’ di talento in più + Molta fortuna». Se da una parte Kahneman riconosce che le capacità sono un componente fondamentale del successo, dall’altra nelle sue opere mette in evidenza il ruolo preponderante del caso. Può essere una pillola amara da mandar giù per chi è convinto che siamo i fautori del nostro destino, che quindi rifletterebbe in qualche modo le nostre qualità interiori, come le capacità, le motivazioni, o il valore. Questo modo di pensare prende implicitamente in considerazione un’equazione diversa: “Persone di successo = Persone che hanno le qualità giuste”. Questo ragionamento non è poi tanto lontano dal dire che i ricchi sono ricchi perché sono nati speciali, o perché hanno lavorato duramente e se lo meritano.

Ovviamente molte persone non si impegnano abbastanza per sviluppare le loro capacità e perseguire le opportunità, e quindi difficilmente raggiungeranno il successo anche se il fato si dovesse presentare davanti a loro. Ma non è vero il contrario: le persone con un curriculum nella media non necessariamente sono meno dotate o meritevoli. In una recente intervista al New York Times Magazine, l’attrice candidata all’Oscar Ellen Page ha raccontato il colpo di fortuna che ha dato il via alla sua carriera: quando andava al liceo un talent scout venne in visita nella sua scuola e sentì parlare di lei dal professore di teatro. Decise di farle un provino e il resto, come si dice, è storia. Senza dubbio Page è un’attrice di grande talento, ma anche senza il grande successo che ha avuto il suo talento continuerebbe a esistere. «Page a volte si chiede come sarebbe stata la sua vita se per caso quel giorno fosse stata malata. Dice che sarebbe andata all’università e avrebbe giocato a calcio».

Incoraggiando l’idea che il successo è innanzitutto dettato da variabili sotto il controllo dei loro figli – che includono anche fattori nobili, come le capacità e l’impegno – i genitori trascurano il grande peso del caso, danneggiandoli. Quando falliscono in qualcosa – come inevitabilmente facciamo tutti, prima o poi – i ragazzi non riconoscono il ruolo preponderante che ha il caso nel determinare i risultati della loro vita, il che potrebbe portarli a incolpare sé stessi o ad arrendersi. All’estremo opposto, chi riesce a raggiungere risultati notevoli potrebbe sopravvalutare il proprio ruolo nell’ottenerli, e considerare chi ha un curriculum più nella media come inferiore e meno meritevole. Secondo il giornalista e sociologo canadese Malcolm Gladwell, a livello sociale ignorare il ruolo del caso porta ad attribuire un valore eccessivo ai successi individuali e a non sfruttare le istituzioni collettive per attenuare le disuguaglianze.

Spero che l’obiettivo di Snoopy sia ricordarci che non dovremmo farci fermare da dannosi stereotipi socio-culturali, come l’idea che le ragazze non possano diventare matematiche o che le persone di colore non possano essere amministratori delegati. Sono pienamente d’accordo con questo concetto. Detto questo, è statisticamente provato che non tutti i bambini da grandi possano diventare giudici della Consulta, sportivi famosi, o scrittori di best seller. Il nostro futuro è plasmato da forze che vanno oltre il nostro controllo, come il caso, la genetica, o altri fattori determinati alla nascita. Sempre secondo la statistica la maggior parte di noi resterà nella media (che poi è la definizione stessa di “media”).

Dobbiamo chiederci perché per noi sia così terribile pensare che le opportunità che i nostri figli avranno in futuro non sono illimitate. Per quale motivo non ci piace l’idea di avere dei figli nella media? Come psicologa, considero libri come Puoi essere qualsiasi cosa come uno specchio delle nostre ansie sull’identità e sul futuro dei nostri figli. Sospetto che molti di noi coltivino segretamente il desiderio che i successi dei nostri figli diano una buona immagine del nostro lavoro di genitori e, più altruisticamente, che i loro grandi risultati possano garantire il loro benessere. Non voglio dire che i genitori non dovrebbero aspettarsi il meglio per i loro figli o incoraggiarli a impegnarsi e perseverare, ma solo che alla lunga concentarsi sui risultati in sé stessi è tutt’altro che utile per i nostri figli (e per noi stessi). Quando creiamo l’idea che ottenere grandi risultati sia meglio che restare nella media – e che chi ci riesce è più speciale o meritevole – riduciamo la capacità dei nostri figli di apprezzare sé stessi e gli altri.

© 2016 – Washington Post