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  • Venerdì 4 marzo 2016

Le trattative sui due ostaggi italiani liberati in Libia

Filippo Calcagno e Gino Pollicardo sono ancora sotto la tutela delle milizie di Sabrata, non è chiaro quando potranno tornare in Italia

Gino Pollicardo e Filippo Calcagno
Gino Pollicardo e Filippo Calcagno

Due cittadini italiani che erano tenuti in ostaggio in Libia, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, sono stati liberati venerdì 4 marzo. La notizia è stata confermata dal ministero degli Esteri italiano dopo che era stata anticipata da alcuni quotidiani nazionali. Al momento Calcagno e Pollicardo si trovano sotto la tutela del Consiglio militare di Sabrata, l’insieme di milizie che governa la città della Libia nord-occidentale dove sono stati liberati: la società di costruzioni per cui lavorano (la “Bonatti”) ha detto che i due saranno interrogati e poi dovrebbero essere consegnati alle autorità italiane.  Nonostante la conferma di ieri della liberazione da parte del ministero degli Esteri, la situazione rimane piuttosto complicata: non si sa esattamente quando e come Calcagno e Pollicardo potranno tornare in Italia, anche perché il Consiglio militare di Sabrata è un insieme di milizie che agisce praticamente in autonomia dal governo libico di Tripoli e già in passato molte famiglie locali hanno mostrato di non avere timore a collaborare con i terroristi. Il Corriere dice che questa mattina due funzionari italiani sono arrivati a Tripoli e poi sono ripartiti verso Sabrata per trattare sul rimpatrio dei due italiani. Non si hanno però altre informazioni certe a riguardo.

Calcagno e Pollicardo sono due dei quattro cittadini italiani rapiti in Libia lo scorso luglio. Non è ancora chiaro come si siano liberati dai sequestratori: la stampa italiana riporta diverse versioni – fuga o liberazione per l’intervento di qualcuno esterno – basate sulle testimonianze spesso poco attendibili di discutibili funzionari locali. Secondo il ministero degli Esteri italiano, gli altri due italiani rapiti a luglio – Salvatore Failla e Fausto Piano – potrebbero essere stati uccisi mercoledì durante una sparatoria a Sabrata. Non si sa con certezza chi avesse rapito i quattro cittadini italiani – tutti tecnici della società “Bonatti” – ma sembra che da diverso tempo fossero ostaggio dello Stato Islamico in Libia nella zona di Sabrata.

Cosa sta succedendo a Sabrata

Sabrata è una città di più di 100mila abitanti e a un’ottantina di chilometri a ovest di Tripoli, la capitale della Libia e sede di uno dei due Parlamenti che controllano ciascuno una parte del paese. La zona di Tripoli è controllata da “Alba della Libia”, una coalizione di milizie islamiste che si oppone all’altro Parlamento, quello di Tobruk, che si trova nell’est della Libia e che è riconosciuto internazionalmente. Sabrata si trova anche a pochi chilometri dall’impianto della Mellitah Oil and Gas, una società controllata di ENI e NOC (National Oil Corporation, la compagnia petrolifera nazionale della Libia), e vicino a dove parte il gasdotto Greenstream che porta il petrolio a Gela, in Sicilia. In teoria Sabrata si trova sotto il controllo del governo di Tripoli, ma da diverso tempo lo Stato Islamico in Libia ha cominciato a essere sempre più presente e a fare della città un centro delle sue operazioni.

Citando diverse sue fonti, il giornalista del Foglio Daniele Raineri ha scritto che «le famiglie più in vista della città hanno rapporti ambigui da una parte con le istituzioni e dall’altra con i gruppi terroristici». Ranieri ha scritto che questa «coabitazione discreta» è andata avanti fino al 19 febbraio, cioè fino a quando un bombardamento americano ha colpito una villa fuori Sabrata dove erano presenti miliziani dello Stato Islamico ed erano tenuti in ostaggio due cittadini serbi, uccisi nell’attacco. Da quel giorno le forze locali hanno cominciato a organizzarsi per frenare le operazioni dello Stato Islamico in Libia, anche a causa delle discussioni su un possibile intervento militare internazionale. Hanno creato un Centro di comando per la lotta allo Stato Islamico che mercoledì ha intercettato dei miliziani del gruppo che avevano in custodia due dei quattro italiani rapiti: Raineri ha scritto che Failla e Piano sarebbero stati uccisi nella sparatoria che ne è seguita.

Cosa sta facendo l’Italia

Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera a Tripoli, ha scritto che le operazioni per salvare gli ostaggi italiani sono state rese ancora più difficili dal «risentimento dei politici locali per il sostegno italiano al governo rivale a Tobruk» (i politici locali sono quelli che, come detto, fanno riferimento al governo di Tripoli, che controlla una parte della Libia occidentale). Il portavoce del primo ministro del governo di Tripoli ha detto al Corriere che il governo italiano – tramite la sua intelligence – aveva avviato una trattativa che però era arrivata a un punto morto. Secondo il portavoce, i rapitori avevano chiesto 12 milioni di euro e gli italiani ne avevano pagata una parte, ma l’intermediario si era dileguato con i soldi. Il pagamento parziale del riscatto e i successivi sviluppi, ovviamente, non sono stati confermati dal governo italiano.

Negli ultimi mesi lo Stato Islamico ha esteso parecchio il suo controllo in Libia, verso il confine con la Tunisia a ovest e verso le infrastrutture petrolifere libiche a est. La posizione ufficiale del governo italiano è invece rimasta la stessa: non ci sarà alcun intervento in Libia a meno che non sia chiesto dal governo di unità nazionale libico, un terzo governo che dovrebbe sostituire i due esistenti oggi. Il problema è che la formazione del nuovo governo sta incontrando molti problemi, anche per l’opposizione di alcune delle molte milizie che operano in Libia. Nell’attesa che la situazione si sblocchi (se mai si sbloccherà), Regno Unito, Stati Uniti e Francia hanno mandato in Libia dei reparti speciali che stanno svolgendo operazioni di intelligence, di modo da raccogliere informazioni sullo Stato Islamico. Da diverso tempo si parla anche di una presenza italiana, ma il governo italiano ha sempre smentito. Ieri alcuni giornali hanno scritto però che cinquanta incursori della forza speciale di paracadutisti “Col Moschin” stanno raggiungendo le squadre di agenti operativi dell’AISE (servizio segreto esterno italiano) già in Libia e concentrati nella zona di Tripoli e vicino alle infrastrutture petrolifere di Mellitah.