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  • Mercoledì 17 febbraio 2016

L’uomo dietro a Obama

La storia straordinaria di Brian Mosteller, la persona che gestisce la vita quotidiana del presidente e sta sempre ai margini delle foto

di Colby Itkowitz - Washington Post

Barack Obama con Brian Mosteller e il suo assistente personale Reggie Love alla Casa Bianca nel 2009 (Pete Souza/White House via Getty Images)
Barack Obama con Brian Mosteller e il suo assistente personale Reggie Love alla Casa Bianca nel 2009 (Pete Souza/White House via Getty Images)

Appena fuori dallo Studio Ovale c’è una stanza rettangolare con due scrivanie di legno anonime, una di fianco all’altra. A una siede la segretaria personale di Obama, all’altra Brian Mosteller, l’uomo che si occupa delle piccole scocciature quotidiane in modo che non lo debba fare il presidente. In pochi hanno sentito parlare di Mosteller, ma se si guardano bene le foto scattate alla Casa Bianca, spesso lo si vede a margine dell’inquadratura, onnipresente. Dalla sua sedia, Mosteller è l’unica persona alla Casa Bianca che ha una visione diretta del presidente alla sua scrivania. Nessuno arriva allo Studio Ovale senza passare da lui.

La carica ufficiale di Mosteller è “direttore delle operazioni dello Studio Ovale”, anche se forse sarebbe più adatto “anticipatore in capo”. Quando Obama è a Washington, ogni mossa del presidente, ogni persona che incontra e ogni riunione a cui partecipa è minuziosamente organizzata da Mosteller. Mosteller sa in che punto del tavolo Obama vuole il suo bicchiere d’acqua durante le riunioni e chi vuole avere seduto accanto. Sa a che altezza preferisce il leggio. Scopre qual è la bevanda preferita dei capi di stato, in modo che Obama gliela possa offrire. Prepara gli appunti di Obama e li sistema in prima pagina dovunque il presidente debba parlare. Prima di un’intervista, avvisa Obama se per caso gli capita di avere un calzino arrotolato alla caviglia o se la sua camicia è stropicciata.

La settimana scorsa Obama è tornato a Springfield, in Illinois, per commemorare i nove anni dall’annuncio della sua candidatura alla Casa Bianca, un momento storico che all’epoca pochi avrebbero potuto intuire. Delle persone presenti quel giorno, sono rimasti in pochi. A differenza di alcuni collaboratori vicini a Obama che hanno avuto i loro momenti sotto le luci dei riflettori, Mosteller − che ha incontrato Obama per la prima volta proprio a Springfield quando è iniziata la sua campagna − ha deciso di rimanere nell’ombra. I suoi colleghi lo ammirano e lo descrivono come un eroe non celebrato dell’amministrazione: l’uomo dietro all’uomo, senza il quale Obama probabilmente non avrebbe la reputazione di essere così cool. Il profilo basso si adatta bene a Mosteller: deve rimanere concentrato. L’intera ala ovest della Casa Bianca – dove lavora lo staff allargato del presidente – si fida di lui, e nessuno si fida di lui più del presidente. Mosteller «conosce molto bene il presidente, fa attenzione a tutto», ha detto Valerie Jarrett, la storica consigliera di Obama. «Il presidente sa quanto Brian tenga a lui: non è un “tengo a te da lontano”, ma piuttosto un “mi occuperò di tutti i dettagli pratici della tua vita, dai piccoli ai grandi”. Il presidente si fida completamente di lui».

Il fascino della logistica

Mosteller, un uomo umile in maniera disarmante, ha 40 anni e non è mai stato troppo interessato alla politica intesa come sport sanguinoso. Da bambino, invece, guardava affascinato quando il presidente Reagan camminava verso il leggio nella East Hall della Casa Bianca per parlare alla nazione. Chi è che dà indicazioni al presidente quando parla? si ricorda di aver pensato; Cosa succede dietro le quinte per preparare un evento così importante? «Era qualcosa che andava oltre Akron, in Ohio, o il mio piccolo quartiere», ha detto Mosteller sulla sua passione per il protocollo. Rappresentava la possibilità di svolgere un ruolo dietro le quinte «più grande di me, che poteva influenzare cose più grandi di me».

Al college, Mosteller fece richiesta per un tirocinio estivo alla Casa Bianca durante la presidenza di Clinton. Iniziò a lavorare con l’ufficio responsabile della pianificazione delle attività del presidente e finì con il rimanere per tutti gli ultimi due anni dell’amministrazione. Concluse l’università a distanza e lavorò come collaboratore del presidente e della first lady per i viaggi nazionali e internazionali. Amava essere nell’ambiente, ma non voleva fare carriera in politica. Rifiutò un lavoro per la campagna elettorale di Al Gore e si spostò a ovest per lavorare alla preparazione delle Olimpiadi invernali del 2002 a Salt Lake City. Dopo essersi occupato di pianificazione logistica per diverse edizioni delle Olimpiadi, nel 2007 Mosteller si stabilì a Chicago, comprando casa e con l’intenzione di mettere radici.

Poi scoprì da una telefonata che un giovane senatore del suo stato stava per annunciare la candidatura alla presidenza. Obama aveva in programma due eventi per l’apertura della sua campagna. Prima avrebbe parlato a Springfield, dove Abraham Lincoln aveva annunciato la sua candidatura 149 anni prima. Poi si sarebbe spostato a Chicago. A Mosteller fu chiesto se poteva aiutare a organizzare il secondo evento. Mosteller accettò, chiarendo però che non aveva interesse a lasciare Chicago. Questo prima di incontrare Obama. Non fu l’arte oratoria del giovane Obama ad attrarre Mosteller (anche se ne rimase colpito, come gran parte dell’America all’epoca). Fu qualcosa di impalpabile che Mosteller oggi fatica a descrivere: Obama aveva una gentilezza e un’autenticità che lo spinse a lasciare tutto per partecipare alla sua squattrinata campagna elettorale, ha raccontato Mosteller. Prima della convention del 2008, Mosteller aveva in sostanza già assunto il ruolo che ricopre tutt’ora: essere gli occhi e le orecchie di Obama; guardare ogni evento dalla prospettiva di Obama; essere il difensore più agguerrito del presidente.

La notte delle elezioni del 2008, Mosteller aspettò il presidente eletto all’entrata per lo scarico merci dello Hyatt Regency hotel di Chicago. Scortò gli Obama alla camera d’albergo dove il suo team aveva appena seguito in televisione la vittoria decisiva, per poi riaccompagnarli all’ascensore e andare a Grant Park, dove il presidente eletto avrebbe salutato gli oltre 200mila sostenitori in festa. Quella notte Obama era silenzioso e pensieroso. Mosteller sapeva come lasciargli il suo spazio: sapeva quando dire al fotografo di Time di smettere di scattare, e aiutò a decidere il momento giusto per chiamare l’uomo che aveva appena sconfitto, il senatore John McCain.

Ma Mosteller non conosceva ancora del tutto Obama. In ascensore Mosteller spiegò a Obama come si sarebbe svolto il discorso della vittoria, un evento che aveva contribuito a organizzare. «E poi partono i fuochi d’artificio», disse Mosteller. «Niente fuochi d’artificio», rispose Obama: troppo appariscenti. Mosteller non fece una piega, anche se in quel momento i fuochi d’artificio provenienti dall’Indiana erano su una barca sul lago pronti per essere sparati. Chiamò la squadra sul posto e disse loro che potevano andare a casa. «Ero d’accordo con lui», disse Mosteller. «Il mio compito è assecondare i suoi desideri. C’era una pressione enorme su quell’uomo e la sua famiglia. Io mi occupo delle piccole pressioni che riesco a gestire, in modo che lui si possa concentrare su quelle più importanti».

Una volta Mosteller fu paragonato a Gary, il goffo e insicuro assistente del vicepresidente nella serie TV Veep – Vicepresidente incompetente. Ma Mosteller, imperturbabile ed esigente, non assomiglia per niente a quella caricatura, dicono i suoi colleghi. Reggie Love, l’assistente personale di Obama (il cosiddetto “body man”) fino al 2011, ricorda quando il presidente gli chiese come pronunciare una certa parola. Quando Love gli rispose, Obama non sembrava convinto. «Beh, chiediamo a Brian», disse il presidente.

Brian MostellerBrian Mosteller nel giugno 2013 alla Casa Bianca (AP Photo/Charles Dharapak)

Quante volte un capo parla di amore?

Mosteller −  che è un bell’uomo: alto e magro, con folti capelli scuri e occhi chiari − arriva ogni mattina alla sua ordinatissima scrivania almeno un’ora prima del presidente, e apre la porta davanti al Giardino delle Rose da cui entra Obama. Riempe la ciotola dell’acqua di Bo, il cane del presidente, che arriva per giocare. Mentre aspettano che il presidente arrivi, Mosteller e la segretaria personale di Obama, Ferial Govashiri, spesso accendono la musica e cantano insieme (ha anche un lato più leggero: tra tutte le celebrità che sono passate alla Casa Bianca, Mosteller − grande fan dei Muppet − fu il più emozionato, se non addirittura in soggezione, quando incontrò il Muppet Miss Piggy).

Quando Obama lascia l’ufficio, Mosteller rimane per spegnere le luci e chiudere tutto, come se lo Studio Ovale fosse un piccolo negozio di quartiere. Quando Obama è nello studio, Mosteller non si lascia sfuggire niente.

Di recente Obama ha partecipato a una tavola rotonda sulla ricerca sul cancro alla Casa Bianca. Avrebbe dovuto fare un discorso e rimanere per circa 45 minuti. Mosteller stava controllando il programma e si accorse che il momento esatto dell’uscita del presidente dalla stanza non era segnato. Ma Obama non avrebbe potuto semplicemente andarsene nel mezzo di un dibatto così importante e sentito. Mosteller allora modificò gli orari in modo che ci fosse chiaramente una pausa in cui il presidente avrebbe potuto lasciare la sala. Qualsiasi cosa per far filare liscia la giornata del presidente.

Ora che la presidenza di Obama è quasi finita, Mosteller sostiene che lavorare al fianco di qualcuno per così tanti anni abbia un vantaggio. Mosteller conosce le piccole fissazioni del suo capo e ne intuisce l’umore. «Il presidente è confortato dalla presenza di qualcuno come Brian», ha raccontato Josh Earnest, il responsabile della stampa alla Casa Bianca. «Al presidente non dispiace mettere scherzosamente in difficoltà i suoi collaboratori. Brian ha il livello di fiducia e la posizione per restituire il favore, almeno un po’».

Come qualsiasi collega di un ufficio vicino, Mosteller è la persona da cui Obama va per fare due chiacchiere o per sfogarsi durante la giornata. Scherzano su un ospite particolarmente prolisso o sulla reazione di Washington alla neve. E Mosteller è la persona che più di chiunque altro può prendersi la libertà di entrare nello Studio Ovale senza farsi annunciare. Un mattino del giugno 2015, Mosteller entrò di corsa nel mezzo della riunione giornaliera per annunciare che la Corte Suprema aveva difeso una parte fondamentale dell’Affordable Care Act  (la riforma sanitaria di Obama, conosciuta anche come Obamacare). Obama alzò il braccio in aria, un momento che fu immortalato per i posteri da Pete Souza, fotografo della Casa Bianca. Ma il ricordo forse più indelebile per Mosteller è un altro: quando la mattina dopo la Corte Suprema legalizzò il matrimonio gay. Mosteller, che dopo si è fidanzato ufficialmente, aveva detto al presidente di essere omosessuale fin dai primi giorni della sua campagna. All’annuncio della decisione, il presidente entrò nella parte esterna dello Studio Ovale, dove lavora Mosteller, e lo abbracciò in silenzio. La grandezza di quel momento rimase “non detta”, ha raccontato Mosteller.

Mosteller era presente anche quando nel 2012 Obama annunciò il suo sostegno per il matrimonio gay in un’intervista con Robin Roberts di ABC. Una volta finito, Obama chiese a Mosteller come se la fosse cavata. Mosteller, i cui occhi si riempirono di lacrime, si chiese se la sua vicinanza con il presidente ne avesse in minima parte influenzato il pensiero. «Da giovane, non potevo nemmeno immaginare che un giorno avrei potuto avere un compagno, e ora stavo parlando di questo tipo di relazione con il presidente degli Stati Uniti d’America, e non era solo un fatto pubblico, ma anche una cosa normale», ha detto Mosteller. «Quante volte capita che un capo parli di amore? E quante volte capita che un capo contribuisca al fatto che il tuo paese approvi il tuo amore?».

La lezione della resilienza

Riflettendo sulle due campagne elettorali e sulla presidenza di Obama, e su tutti quelli che hanno attraversato lo Studio Ovale, Mosteller dice di aver imparato quanto siano resilienti le persone. Ha osservato Obama tenere testa alle molte pressioni a cui è sottoposto un presidente, proprio come lui ha fatto con il suo lavoro, sostenendo il presidente. Ha guardato il popolo americano resistere a difficoltà economiche e di altro genere. Mosteller ha detto che la resilienza imparata in questi sette anni se la porterà dietro a lungo, anche quando la sua esperienza alla Casa Bianca sarà finita. «Una persona può essere in grado di gestire qualsiasi situazione. Quella persona può essere il presidente degli Stati Uniti d’America, un autista di un pullman, una donna disoccupata con quattro figli, un bambino disabile, o potrei essere io. Nella maggior parte dei casi, quello che ci frena è dentro di noi. Per il resto, è la comunità e, in alcuni casi, il governo che possono intervenire per aiutarti». Ora che ha fatto suo questo punto di vista, Mosteller dice che sono poche le cose che possono turbarlo. Il suo lavoro gli ha mostrato come le persone possano superare le difficoltà della vita e uscirne migliorate. «In un certo senso, quest’idea fa sembrare il mondo più piccolo, perché non c’è più posto, persona, progetto o impresa in grado di spaventarti», ha detto Mosteller.

Nove anni fa, Mosteller agì di pancia. Non sa cosa gli riserverà il futuro, ma va bene così, ne è quasi entusiasta. Ma per ora ha davanti ancora dieci mesi. E Obama ha bisogno di lui.

©2016 – Washington Post